Le false interpretazioni dei conflitti socioambientali


Wilwer Vilca Quispe

 

Sono trascorse due settimane da quando Ollanta Humala si è insediato, un breve periodo nel quale il nuovo governo ha preso in quasi tutti i settori una serie di misure di emergenza destinate a rendere possibile la propria gestione. Una di quelle, l’attenzione ai conflitti socioambientali, che sono stati il tallone di Achille del governo precedente, che non ha saputo o non ha voluto considerare questo problema né intenderlo nella sua reale dimensione.

 

Nonostante ciò, le azioni immediate dell’amministrazione Humala sembrano seguire la dinamica del mea culpa del governo di Alan García: “non abbiamo saputo prevenire opportunamente i conflitti socioambientali”, si scusava il precedente presidente, ogni volta che un conflitto sovrastava il controllo della polizia o militare. Il risultato: più di un centinaio di morti tra civili, militari e poliziotti, a causa dell’ostinazione di imporre attività economiche che non hanno relazione con la vita delle popolazioni che chiedono di essere ascoltate e comprese.

 

Ora, dal gabinetto ministeriale presieduto da Salomón Lerner è stato annunciato l’avvio dell’Ufficio per la Gestione dei Conflitti Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del quale è stato nominato responsabile Víctor Caballero. Le domande che circolano tra le organizzazioni indigene, contadine ed agricole sono: con quale criterio interverrà questo ufficio, quale sarà la portata della sua competenza e fino a che punto potrà risolvere o prevenire i conflitti. Domande centrali se consideriamo che in nessun momento né il governo precedente né l’attuale hanno fatto riferimento alle principali cause dei conflitti socioambientali.

 

Per incominciare, bisogna rendere chiaro che i popoli e le comunità indigene non solo chiedono un dialogo su un problema specifico. Ciò che vogliono è sedersi con il governo fino a quando le proprie richieste saranno intese. Questo implica che il governo di Humala deve comprendere che i popoli indigeni stanno chiedendo il riconoscimento territoriale – territorio inteso come uno spazio di vita, non solo suolo, sottosuolo e aria –, cosa che passa attraverso il titolo di proprietà di più di 1700 comunità native nell’amazzonia; il riconoscimento del loro proprio modello di sviluppo o piani di vita, che non prevedono
attività estrattive su grande scala; la promulgazione della legge sulla consultazione, approvata dal Congresso il 19 maggio 2010; una politica combattiva sulla sicurezza con sovranità alimentare; l’annullamento e la modificazione di alcune leggi che sono state promulgate senza la consultazione dei popoli e delle comunità indigene. In sintesi, riconoscere i popoli indigeni territorialmente e non solo identificarli come semplici comunità culturalmente differenti o a stento identificate su una mappa etnolinguistica.

 

La dimensione delle richieste è tale che queste non possono essere risolte da un ufficio di prevenzione dei conflitti. È necessaria – e con urgenza – una politica integrale, multisettoriale, che coinvolga tutti i settori del governo. Se la risposta ai conflitti socioambientali si riduce ad una semplice “volontà di dialogo”, senza tenere in conto le richieste descritte, allora i conflitti non solo resteranno ma aumenteranno, forse con maggiore velocità che durante il governo di García (periodo in cui sono passati da 83 nel 2006 a 227 nel 2011, dei quali quasi la metà socioambientali), poiché l’attuale governo nella sua campagna ha promesso di prestargli attenzione e di risolverli. Di conseguenza, le speranze sono enormi e le delusioni possono essere fatali: provocherebbero più convulsioni sociali simili a quelle di Bagua (giugno 2009) o la recente situazione della sollevazione del popolo aymara (giugno 2011).

 

Inoltre, bisogna avvertire che il governo di García non considerò e invece ostacolò l’istituto della rappresentanza dei popoli e delle comunità indigene, per dialogare direttamente con i rappresentanti comunali dei popoli indigeni, con il presunto obiettivo di preparare un piano di sviluppo dal punto di vista degli stessi popoli. Questo meccanismo di scavalcare la rappresentanza delle organizzazioni ha generato più grandi conflitti, poiché chi ha influenza e sta in continuo dialogo con l’Esecutivo ed il Legislativo sono inequivocabilmente i rappresentanti delle organizzazioni a carattere nazionale e non i presidenti ed i leader locali delle comunità indigene. Diventa necessario dare una maggiore organicità alle tante volte illustrato Istituto Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Andini, Amazzonici e Afroperuviani (Indepa), oggi inquadrato presso il Ministero della Cultura, che deve garantire il rispetto degli istituti dei popoli e delle comunità indigene.

 

La domanda finale è se questo scenario è compreso dai consiglieri governativi e se lo stesso garantisce le condizioni minime per la creazione di spazi di dialogo e di accordo con le stesse organizzazioni indigene, per risolvere gli aspetti centrali delle loro richieste. Essendo così – come tutti speriamo – la questione centrale è se ciascun ministero è disposto a cedere, tenendo conto della pluralità del pensiero dei loro titolari. Tema più che preoccupante, poiché nonostante questa apparente diversità ideologica, tutti hanno ribadito che non cambierà il modello economico e l’andamento della crescita dell’economia nazionale, che chiaramente realizzato sul modello delle esportazioni di materie prime, soprattutto di metalli vari e di idrocarburi, che sono la madre di tutti i conflitti.

ALAI, América Latina en Movimiento

16-08-2011

–  Wilwer Vilca Quispe è consulente e consigliere di organizzazioni indigene nei paesi della Comunità  Andina. wilwer.vilca@gmail.com

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Wilwer Vilca Quispe “Las falsas interpretaciones a los conflictos socioambientales” traducido para ALAI, América Latina en Movimiento por S., pubblicato il 16-08-2011 su [http://alainet.org/active/48738 ], ultimo accesso 18-08-2011.

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