“Non c’è ancora una vera democrazia, per questo bisogna continuare a fare pressione”


Emma Gascó e Martín Cúneo

Intervista a Osvaldo Bayer, storico e scrittore argentino

Questo storico rilegge l’origine dell’attuale disuguaglianza nella distribuzione delle terre: la spogliazione sofferta dai popoli originari da parte dei grandi proprietari terrieri argentini.

Nel 1963, Osvaldo Bayer suggerì in una conferenza su Rauch (Buenos Aires) la realizzazione di un plebiscito per cambiare il nome del paese con quello di Arbolito. La proposta non avrebbe suscitato tante controversie se il nome originale non avesse fatto riferimento ad uno dei generali che diresse la prima grande campagna contro i popoli originari: quello di Arbolito, all’indigeno ranquel che lo uccise.

 La proposta nemmeno sarebbe stata così polemica se l’allora ministro degli Interni non si fosse chiamato Juan Enrique Rauch, il bisnipote di quel militare, che ordinò di incarcerare Bayer in una prigione di donne appena tornò nella capitale. Questo episodio, tra i tanti, parla dell’impegno di Osvaldo Bayer nei confronti della memoria dei popoli originari, così come con il  movimento operaio argentino, a cui dedicò libri come I Vendicatori della Patagonia Tragica, ricerca su cui si basò La Patagonia Ribelle (1973). In questo film, Héctor Alterio e Federico Luppi condivisero il manifesto con un giovane militante peronista che ha avuto un discreto ruolo straordinario: Néstor Kirchner.

DIAGONAL: Quale è l’origine della distribuzione della terra?

OSVALDO BAYER: La distribuzione della terra ebbe inizio sulla terra dove vivevano i popoli originari con le cosiddette “campagne del deserto”. Il più grande di questi massacri fu portato a termine dal generale Julio A. Roca nel 1879. La Società Rurale, creata nel 1866 dai proprietari terrieri della provincia di Buenos Aires, cofinanziò la campagna. L’Esercito argentino marciò sui popoli originari e perpetrò un vero genocidio. Roca ristabilì in Argentina la schiavitù – eliminata nel 1813 -. Nei quotidiani argentini si poteva leggere: “Oggi ripartizione di indigeni. Ad ogni famiglia che lo desideri si consegnerà un uomo come bracciante, una ragazza come serva e un ragazzino per fare le commissioni”. Furono distribuiti anche 42 milioni di ettari a 1.800 proprietari terrieri membri della Società Rurale. Al presidente della Società Rurale, il signor José María Martínez de Hoz, furono consegnati 2.500.000 ha. I Martínez de Hoz erano una famiglia di spagnoli che erano arrivati, come trafficanti di schiavi, nel vicereame di Rio della Plata quando era un dominio spagnolo. Successivamente si trasformarono in una famiglia di proprietari terrieri ed oggi dominano ancora la scena. A un punto tale che il ministro dell’Economia più famoso dell’ultima dittatura militare era bisnipote di quel trafficante di schiavi.

D.: Quali furono le giustificazioni per la “conquista del deserto”?

O.B.: Per prima cosa accusarono gli indigeni di essere dei ladroni, dicevano che portavano via le vacche. Per lottare contro questo incominciano a costruire il famoso fossato di Alsina, un fosso di cinque metri di profondità e tre di larghezza, dall’Atlantico alla cordigliera delle Ande. Furono fatti più di 360 chilometri di fossato. Però i popoli originari ebbero sfortuna. Morì Alsina ed il presidente Nicolás Avellaneda nominò, come ministro della Guerra, il generale Julio A. Roca. Roca decide di imitare la strategia nordamericana: importa 10.000 fucili a ripetizione per porre per sempre fine ai “selvaggi”. Con l’appoggio dei grandi quotidiani di Buenos Aires fu incominciata una grande campagna contro i popoli originari. Il risultato fu di 14.000 indigeni morti e circa 14.600 persone prese come schiavi, braccianti che sarebbero andati a lavorare nelle fortificazioni militari dell’isola Martín García [nel Río de la Plata] o nel taglio della canna da zucchero nella provincia di Tucumán. Le indigene furono ridotte a serve e furono separate dai propri figli. Per i membri dei popoli originari che si salvarono incominciò un periodo di indigenza, di molta povertà. Molti dei loro nipoti oggi fanno parte delle ville miseria.

D.: Oggi come viene insegnata in Argentina la storia di questa epoca?

O.B.: I grandi eroi della patria, oltre a quelli che lottarono per l’indipendenza contro la Spagna, sono quelli della conquista del deserto. I popoli originari furono sempre tacciati di essere selvaggi e gli eroi sono Roca, Bartolomé Mitre o Domingo Faustino Sarmiento. Sarmiento era un razzista insopportabile. Lui parlava sempre di “indigeni pidocchiosi”, nonostante avesse un 25% di sangue indio, da parte di sua madre. Roca ha il monumento più grande di Buenos Aires. In Patagonia, le strade principali si chiamano Julio A. Roca. Dieci anni fa abbiamo incominciato una campagna per cambiare questo ed abbiamo avuto alcuni trionfi. In alcuni paesi è stato cambiato il nome di via Roca con Popoli Originari. E abbiamo già raccolto più di un milione di chiavi di bronzo per costruire un monumento alla donna originaria che rimpiazzi nel centro di Buenos Aires quello di Roca.

09-06-2011

Diagonal

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Emma Gascó e Martín Cúneo“Todavía no hay una verdadera democracia, por eso hay que seguir empujando” traducido para Diagonal web por S., pubblicato l’ 09-06-2011 su [http://www.diagonalperiodico.net/Todavia-no-hay-una-verdadera.html?var_mode=calcul], ultimo accesso 09-06-2011.

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