In Bolivia, governare obbedendo al popolo?


Alex Contreras Baspineiro

Dopo una “luna di miele” di cinque anni, vari movimenti sociali rappresentati dalla Centrale Operaia Boliviana (COB)  ed il Governo dello Stato Plurinazionale della Bolivia si fronteggiano.

Migliaia di lavoratori di differenti settori sociali, affiliati alla principale organizzazione degli operai nel paese, si trovano mobilitati a La Paz, sede del governo e del potere politico della Bolivia, per chiedere alle autorità un incremento salariale degno, l’abrogazione delle politiche neoliberali, la ripresa economica e l’approfondimento del processo di cambiamento.

Il governo ha offerto un aumento del salario minimo vitale da 679 a 815 boliviani ed ha aumentato del 10 per cento gli stipendi dei settori della sanità, istruzione, forze armate e polizia, questa percentuale deve servire come base per l’incremento salariale degli altri settori; gli operai vogliono un incremento dei loro salari maggiore ed inoltre esigono l’abrogazione del Decreto Supremo 21060, base del modello economico neoliberale, che viene applicato dal 1985.

Le migliaia di manifestanti, in sei giorni di mobilitazioni hanno apparentemente paralizzato un numero imprecisato di attività, ma soprattutto, hanno creato inquietudine nella cittadinanza per la convinzione dell’azione congiunta di minatori, operai, maestri, lavoratori della sanità, universitari, sindacati, studenti, cittadini ed altri settori sociali che rappresentano i nove dipartimenti del paese.

Pedro Morales, segretario esecutivo della Centrale Operaia Boliviana (COB), ha avvertito: “Attenzione. Noi non vorremmo che la situazione vada in un’altra direzione. Continuano ad arrivare compagni dall’interno e non stanno considerando le conseguenze perché ciò che stiamo reclamando al governo è del tutto giusto”.

La risposta del governo, che all’inizio rifiutava che il Presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, Evo Morales Ayma, dialogasse con i lavoratori, è incentrata nel non incrementare i salari di nessun punto.

Nelle mobilitazioni popolari si sente con più frequenza che “… se questo è il cambiamento, non vogliamo il cambiamento …” pronunciato da settori che precedentemente avevano appoggiato il Movimento al Socialismo (MAS) ma che ora esigono che si governi obbedendo al popolo.

Secondo il governo, la mobilitazione operaia “non è sindacale ma politica” per la vicinanza del rinnovo dei dirigenti nella COB; i lavoratori rispondono che quanto deciso è strettamente sindacale ed obbedisce all’innalzamento del costo della vita, ai salari da fame e perché non si possono applicare politiche neoliberali in questo corso.

Anche il presidente Morales ha accusato alcuni settori – soprattutto dei minatori – di cercare di creare le condizioni per “un colpo di Stato”, affermazione che è stata rifiutata da tutti i settori del movimento popolare boliviano.

Il dirigente minerario Jaime Solares ha criticato che le autorità di governo guadagnino circa 14 mila boliviani (2 mila dollari), mentre che gli operai arrivano a guadagnare solo un salario minimo di 815 boliviani (116 dollari).

Ha asserito che “la pazienza degli operai è terminata. Non è stato firmato nessun preaccordo. Se il Presidente non vuole dialogare con i poveri di questo paese, allora che ci dica in faccia che governerà con i neoliberali, gli impresari e le multinazionali ma che non si nasconda”.

LA VIOLENZA DELLA POLIZIA

Il rapporto, il coordinamento ed il lavoro congiunto tra i settori popolari e i movimenti sociali boliviani verso il governo ha fatto un giro di 180 gradi a partire dalla promulgazione del cosiddetto “gasolinazo”.

A dicembre dell’anno passato il “governo del cambiamento” pretese di imporre in Bolivia il Decreto Supremo 0748 che aumentava il prezzo di un litro di benzina da 3,74 boliviani a 6,47 (72 per cento) e il diesel da 3,72 boliviani a 6,80 (82 per cento).

La risposta del popolo boliviano fu schiacciante: rifiuto totale del “gasilinazo” e abrogazione del decreto; nonostante ciò, a partire da quella data, i prezzi dei prodotti del paniere familiare sono aumentati in maniera incontrollata colpendo di più i settori popolari.

Alle mobilitazioni operaie che furono fatte in questa circostanza, caratterizzate dall’unità dei differenti settori con lo scoppio di petardi di dinamite, il blocco delle strade e dei viali e per il loro forte modo di agire, si rispose con l’estrema violenza della polizia.

Ci sono feriti in ambedue i settori, come danni a proprietà private e statali.

Il principale dirigente della COB ha sollecitato le forze dell’ordine a non agire con “violenza reazionaria”; in caso contrario, gli operai avrebbero risposto con “violenza rivoluzionaria”.

Ricordando i giorni nefasti dei governi neoliberali, si possono vedere nel centro della sede del governo centinaia di poliziotti fortemente armati che calpestano i diritti umani.

Il ministro del Lavoro, Félix Rojas, ha avvertito i lavoratori che stavano facendo uno sciopero generale indefinito che, secondo legge, sei giorni continuativi non lavorati determinao un licenziamento immediato dal posto di lavoro.

L’attuale ministro, una volta dirigente sindacale, ha sottolineato che “sei giorni di assenza sono un licenziamento immediato. La legge è fatta per essere attuata, non è per metterle veli … Lo Stato che non attua le sue leggi perde autorità”.

Di fronte all’incapacità governativa nel trovare una soluzione ai problemi, gli operai nelle loro mobilitazioni chiedono anche la rinuncia dei ministri considerati antipopolari e neoliberali, e si sono sentite anche voci di revoca per alcune autorità. 

REALTÀ DIFFICILE

Le ultime inchieste fatte sul territorio nazionale fanno vedere un deterioramento accelerato dell’immagine presidenziale, ancor di più quella del vicepresidente, ma nella percezione cittadina la situazione è più drammatica verso la maggioranza dei ministri.

Dal 67 per cento di appoggio a Evo Morales Ayma nel 2007, le ultime inchieste sono cadute ad un appoggio inferiore al 25 per cento, il vicepresidente si trova con un appoggio del 21 per cento.

La maggioranza dei settori che si trovano mobilitati fecero o fanno parte del MAS, ma ora criticano il fatto che il processo sia monopolizzato da gruppuscoli tecnocratici e difensori del libero mercato.

Il dirigente minerario Jaime Solares ha ricordato che l’attuale governo è il prodotto della lotta popolare e delle “guerre” effettuate dai boliviani: la “guerra dell’acqua” nel 2000, la “guerra della coca” nel 2002 e la “guerra del gas” nel 2003.

Ha detto che “questo governo non solo non è del MAS né di Evo Morales, è il prodotto delle lotte, del dolore e del sangue sparso dal popolo boliviano; per ciò, stiamo reclamando i nostri diritti che sono i diritti dei più poveri e se il governo vuole continuare a dialogare lo faremo solo con il Presidente, gli operai vogliono dialogare con il padrone del circo non con i suoi pagliacci”.

La campagna mediatica e milionaria del governo boliviano circa la disposizione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): “dirigere obbedendo” gli è diventata, per il momento, troppo grande, in aspetti centrali e fondamentali come la politica economica.

Nonostante ciò, la maggioranza dei boliviani e delle boliviane, della campagna e della città, sono coscienti che il processo di cambiamento deve essere approfondito – non travisato – riguardo il vero mandato di governare obbedendo al popolo…

20-04-2011

Rebelión

  • Giornalista e scrittore boliviano, è stato portavoce del governo

alexadcb@hotmail.com

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Alex Contreras Baspineiro, “¿Gobernar obedeciendo al pueblo en Bolivia?”  traducido para Rebelión por S., pubblicato il 20-04-2011 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=126703&titular=¿gobernar-obedeciendo-al-pueblo-en-bolivia], ultimo accesso 20-04-2011.

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