Il colpo di stato in Ecuador ed i suoi rilevanti significati


Correa si allontana dalla caserma Quito 1 in mezzo al fumo dei lacrimogeni
In Ecuador l’abortito golpe poliziesco-militare, che è avvenuto il 30 settembre, ha sollevato numerosi interrogativi circa il ruolo che gli Stati Uniti ed i suoi alleati hanno svolto nello stesso, tra oligarchia tradizionale, movimenti sociali di sinistra, organizzazioni indigene e suoi partiti politici.
Articolo di James Petras

Mentre il Presidente Correa, tutti i governi dell’America Latina ed importanti settori del popolo ecuadoriano descrivevano le azioni violente come colpo di Stato, il principale organo di Wall Street, The Wall Street Journal, le tacciava di “protesta poliziesca”. I portavoce di Goldman Sachs e del Foreign Affairs Council definivano il tentativo di presa del potere da parte dell’esercito e della polizia contro il governo democraticamente eletto come una “crisi politica” autoindotta dal Presidente. Quando il golpe già era andato avanti, il movimento “indigeno” CONAIE, diffuse un comunicato condannando il governo, mentre il partito “indigeno” Pachacutik appoggiava l’espulsione del presidente e difendeva il colpo della polizia come “un giusto atto da parte dei servitori pubblici”.

Riassumendo, i patrocinatori imperiali del colpo di stato, determinati settori delle elite ecuadoriane ed il movimento indigeno minimizzarono la violenta sollevazione della polizia come colpo di stato, e per giustificare il loro appoggio allo stesso lo mimetizzarono con una “legittima protesta economica”. Come dire, la vittima del golpe delle elite si trasformava nel repressore della volontà popolare. La questione effettiva circa se fu o no un colpo di Stato è fondamentale per decidere se il governo ebbe ragione nel reprimere la sollevazione e se di fatto era stato messo in pericolo il sistema democratico.

I fatti circa il golpe

La polizia non si limitò a “protestare” contro le politiche economiche ma occupò l’Assemblea Nazionale e cercò di occupare gli edifici pubblici ed i gruppi di imprese dei mezzi di comunicazione. La forza aerea – o almeno i settori che collaborarono con la polizia – occupò l’aeroporto di Quito, coordinò una serie di azioni su questo obiettivo e bloccò le reti di trasporto strategiche… Assalirono e arrestarono il Presidente Correa, tenendolo come ostaggio sotto la custodia poliziesca di decine di poliziotti fortemente armati che resistettero violentemente alle Forze Speciali che finalmente liberarono il Presidente, provocando decine di feriti e dieci morti. Non c’è dubbio che i capi della sollevazione poliziesca avevano in mente qualcosa di più di una semplice “protesta” per gli incentivi aboliti: cercavano di abbattere il presidente ed erano disposti ad utilizzare le loro armi per ottenerlo. I dirigenti del colpo di stato utilizzarono le iniziali richieste economiche degli impiegati del settore pubblico come opportunità per abbattere il regime.

Il fatto che il golpe fracassasse è la conseguenza, in parte, del fermo e drammatico appello del Presidente affinché il popolo occupasse le strade per difendere la democrazia, un appello che fu diffuso ed ebbe migliaia di sostenitori e che non consentì ai golpisti di avere l’appoggio pubblico in strada.

Tutti i fatti sul terreno suggeriscono un forte proposito della polizia e di alcuni settori dell’esercito di impadronirsi del potere e di deporre il presidente, come dire, un colpo di stato qualunque sia il prisma sotto il quale si voglia esaminarlo. E così subito fu inteso da tutti i governi latinoamericani, da destra a sinistra, alcuni dei quali chiusero rapidamente le loro frontiere e minacciarono di rompere le relazioni se i capi del golpe avessero raggiunto l’obiettivo. L’unica eccezione è stata Washington, la cui prima risposta non fu di unirsi alla condanna ma di aspettare, per vedere quale fosse il risultato o, come il portavoce presidenziale Philip Crowley annunciò: “Stiamo seguendo gli avvenimenti”, riferendosi alla sollevazione come ad una “protesta” che sfidava il governo. Quando Washington comprese che il popolo ecuadoriano, tutti i governi latinoamericani ed il grosso delle forze armate si opponevano attivamente al colpo di stato e che questo era condannato al fallimento, la Segretaria di Stato Clinton chiamò Correa per annunciare l’ “appoggio” degli USA al suo governo, riferendosi al golpe come ad una semplice “interruzione dell’ordine democratico”.

Nel periodo precedente il ristabilimento della democrazia, i sindacati agirono soprattutto come osservatori passivi, in nessun modo si discusse di scioperi generali e nemmeno si parlò di forti mobilitazioni. La risposta degli alti ufficiali dell’esercito fu quella di opporsi in ogni caso al golpe, eccetto forse la forza aerea che occupò il principale aeroporto di Quito prima di trasferirlo alle unità antidroga delle forze di polizia. La polizia antinarcotici era in testa al golpe e non dovremmo sorprenderci, sapendo che negli ultimi cinque anni erano state sotto un intenso addestramento e indottrinamento statunitense.

Spiegazione delle diverse risposte al colpo di stato

Le risposte e le interpretazioni sul golpe variarono secondo i differenti gruppi di interesse obbiettivi e secondo le percezioni soggettive. I regimi latinoamericani unanimemente rifiutarono il golpe temendo un suo effetto moltiplicatore nella regione, nella quale altri golpe riuscito (dopo il golpe dell’anno scorso in Honduras) incoraggerebbe l’esercito e la polizia ad attuare nei propri paesi. I ricordi del recente passato in cui l’esercito smantellò tutte le istituzioni rappresentative ed incarcerò, torturò, assassinò ed esiliò i dirigenti politici sono stati un fattore chiave nel momento di rifiutare con forza il golpe in America Latina. In secondo luogo, in quasi tutta l’America Latina l’ordine politico esistente avvantaggia la classe capitalista e pone le basi per la stabilità politica e la prosperità delle elite. Nessun forte movimento di massa minacciava l’egemonia socio-economica capitalista e rendeva necessario l’appoggio di un golpe da parte delle elite economiche.

I sostenitori di Correa erano in strada, anche se non nelle cifre dei suoi precedenti appelli all’azione per abbattere l’ex Presidente Lucio Gutiérrez. Erano soprattutto sostenitori del partito. Altri appoggiavano le sue misure “antimperialiste” (la chiusura della base militare statunitense di Manta) o stavano difendendo le istituzioni democratiche, anche se si fossero posti in modo critico di fronte alle sue recenti politiche.

L’esitazione statunitense, modificando l’iniziale rifiuto a condannare il golpe con la successiva denuncia del golpe già fallito, aveva le sue ragioni d’essere nei legami di lunga durata con l’esercito e specialmente con la polizia. Tra il 2006-2011, l’aiuto degli USA alla polizia ed ai militari raggiungerà la cifra totale di 94 milioni di dollari, dei quali 89 milioni saranno diretti alla “guerra contro il narcotraffico”. Tra il 2006 ed il 2008, i poliziotti ed i militari ecuadoriani addestrati sono arrivati a 941.526, essendo collegati a “programmi antidroga”. È stato proprio il settore antidroga della polizia quello che ha giocato un ruolo importante durante il fallito golpe nell’occupazione degli aeroporti di Quito. Gli USA avevano veramente molti motivi per appoggiare il golpe. Correa giunse al potere abbattendo la marionetta clientelista pro-statunitense Lucio Gutiérrez e decimando i partiti oligarchici che erano responsabili di dollarizzare l’economia e di abbracciare la dottrina del libero mercato di Washington. Correa mise in dubbio il debito estero, rifiutandosi di pagare i debiti creati in circostanze fraudolente. E la cosa più importante, Correa era alleato del Presidente venezuelano  Hugo Chávez, membro dell’ALBA e forte oppositore della Colombia, il principale alleato di Washington nella regione. La politica dell’Ecuador indebolì la strategia di Washington di “circondare il Venezuela” con regimi ostili. Avendo già appoggiato il riuscito golpe militare contro il Presidente dell’Honduras Zelaya, alleato di Chávez, Washington aveva tutto da guadagnare da un golpe militare che espellesse dall’ALBA un altro membro. Washington sta perseguendo una “triplice strategia”: 1) diplomatica, offrendo il miglioramento delle relazioni; 2) sovversiva, creando una capacità di sovversione finanziando la polizia e l’esercito; e 3) finanziaria, attraverso l’AID, la NED, la Banca Mondiale e settori delle ONG del movimento indigeno, specialmente Pachacutik e gruppi dissidenti legati a Lucio Gutiérrez.

I dirigenti del movimento indigeno, di fronte al golpe, diedero diverse risposte. La posizione più estrema fu quella adottata dal quasi moribondo partito elettorale Pachacutik (destinatario degli aiuti statunitensi), che appoggiò il golpe della polizia e chiamò le masse a creare un “fronte unico”, un appello che cadde nelle orecchie dei sordi. Il gruppo del movimento indigeno (CONAIE) adottò il complicato parere di negare che si stesse attuando un golpe, anche se rifiutava la violenza poliziesca e poneva una serie di richieste e critiche relativamente alle politiche ed ai metodi di governo di Correa. Non fece alcuno sforzo né per opporsi né per appoggiare il golpe. Come dire, a differenza del suo passato militante e antidittatoriale, virtualmente la CONAIE si convertì in un attore marginale.

La passività della CONAIE e della maggioranza dei sindacati ha le sue radici nei profondi disaccordi con le politiche del regime di Correa.

La vulnerabilità autoindotta di  Correa: la sua svolta a destra

Durante l’emergere del movimento cittadino di cinque anni fa, Rafael Correa giocò un importante ruolo nel deporre il regime autoritario, corrotto e pro-imperialista di Lucio Gutiérrez. Una volta eletto Presidente, mise in pratica alcune delle sue principali promesse elettorali: cacciò gli USA dalla base militare di Manta; rifiutò i pagamenti sul debito estero che si basavano su una contabilità illegale; aumentò i salari, aumentò il salario minimo, facilitando i crediti ed i prestiti a basso interesse per le piccole imprese. Promise anche di consultare e tenere in conto i movimenti indigeni e sociali urbani, tutto ciò avrebbe portato all’elezione di una assemblea costituzionale per l’elaborazione di una nuova costituzione. Nel 2007, la lista di Correa con il suo nuovo partito Alianza País vinse nell’assemblea legislativa con una maggioranza di due terzi. Nonostante ciò, per fare fronte alla diminuzione delle entrate a causa della recessione mondiale, Correa fece una brusca svolta a destra. Firmò vantaggiosi contratti con compagnie minerarie multinazionali garantendo diritti di sfruttamento su terre reclamate da comunità indigene senza consultarsi con loro, nonostante la passata storia di catastrofiche contaminazioni delle terre, dell’acqua e dell’ecosistema indigeno. Quando le comunità locali si mossero per bloccare gli accordi, Correa inviò l’esercito e represse duramente le proteste. Nei successivi sforzi per la negoziazione, Correa sentì solo la propria voce e ripudiò i dirigenti indigeni accusandoli di essere una “banda di banditi” ed “elementi reazionari” che stavano bloccando la “modernizzazione del paese”.

Successivamente, Correa proseguì l’offensiva contro i funzionari pubblici, promuovendo norme legislative che riducevano i salari, gli incentivi e le promozioni, rinnegando i contratti basati su accordi tra sindacati e legislatori. Nello stesso modo, Correa emanò nuove leggi sull’organizzazione dell’università, che si guadagnò il rifiuto dei professori, dell’amministrazione e degli studenti. Ugualmente pregiudiziale per la popolarità di Correa tra i settori organizzati delle classi salariali medie fu il suo stile autoritario nell’imporre il suo programma, il linguaggio spregiativo che utilizzò nell’accusare i suoi interlocutori e la sua insistenza nel negoziare solo per screditare i suoi colleghi.

Contrariamente all’affermazione di Correa di essere un pioniere del “socialismo del XXI secolo”, è, invece, stato tutt’al più l’organizzatore di una strategia personale per il capitalismo del XXI secolo, basato su una economia dollarizzata, su investimenti stranieri su grande scala nel settore minerario e petrolifero, sui servizi finanziari e sull’austerità sociale.

Nonostante la “svolta a destra” di Correa, dipendeva anche dall’appoggio politico e finanziario del Venezuela e dei suoi alleati cubani e boliviani. Come conseguenza, Correa fu tra l’incudine ed il martello: perse l’appoggio della sinistra sociale a causa delle politiche economiche favorevoli alle “estrazioni” straniere e dell’austerità dei programmi interni, e non ottenne l’appoggio statunitense per i suoi legami con Chávez e Cuba.

Il risultato è stato che Correa si allontanò così tanto dai sindacati e dai movimenti sociali ed indigeni che per neutralizzare il golpe fu capace di garantire solo un numero molto limitato di “potere in strada”. Fu ugualmente importante il fatto che gli USA ed i suoi collaboratori videro nel calante appoggio organizzato e nella crescita della protesta sociale una opportunità per sondare il terreno per un possibile colpo di Stato attraverso i suoi più fedeli collaboratori nella polizia e, in minor grado, nella forza aerea. La sollevazione della polizia è stata una prova, una ventata per andare avanti, senza nessun compromesso dichiarato, aspettando il suo successo o fallimento. Se il golpe della polizia avesse avuto il sufficiente appoggio militare, Washington ed i suoi oligarchi politici e civili sarebbero potuti intervenire, invocando una “conclusione negoziata” che rovesciasse Correa o lo “convertisse” in un cliente “pragmatico”. Come dire, un golpe “riuscito” avrebbe eliminato un altro alleato di Chávez, ma anche un golpe fallito avrebbe in futuro messo Correa sull’avviso.

Riflessioni finali, come conclusione

L’evoluzione del colpo di stato della polizia si è convertita in una farsa: i golpisti calcolarono male gli appoggi su quali contavano nell’esercito così come tra i sindacati e le organizzazioni indigene scontente. Rimasero soli senza pena né gloria. In mancanza di leader nazionali e non avendo una qualsiasi strategia coerente, il tentativo fu soffocato in poche ore. Calcolarono male la volontà degli USA di compromettersi, una volta che risultò chiaro che i golpisti mancavano di appoggi tra le elite militari ed erano del tutto inetti. Quello che poteva essere cominciato come un golpe terminò come una opera buffa con un breve scambio di colpi con l’esercito in un ospedale della polizia.

D’altra parte, il fatto che alla fine Correa potesse contare solo sulle sue forze speciali di elite per essere liberato dalla polizia, rivela la tragedia di un leader popolare. Un leader che cominciò con un grandissimo appoggio popolare, promettendo di mantenere finalmente la richiesta dei contadini di riforma agraria, la richiesta degli indigeni di sovranità nel negoziare le ricchezze minerarie e le richieste delle classi lavoratrici urbane di giuste remunerazioni, e finì col tornare al Palazzo Presidenziale protetto dai veicoli blindati dell’esercito.

Il fallito colpo di stato in Ecuador pone un interrogativo politico più amplio: La quasi scomparsa di Correa, significa la fine dell’esperimento dei “nuovi regimi di centro-sinistra” che cercano di “equilibrare” una vigorosa crescita basata sull’esportazione con moderati redditi sociali? Tutti i risultati dei regimi di centro-sinistra si sono basati sulla loro capacità di sovvenzionare e promuovere il capitale agro-minerario interno ed estero aumentando l’impiego, i salari ed gli assegni di sussistenza (programmi contro la povertà). Questa “formula politica” è stata favorita dal boom della domanda dell’Asia e di altri mercati mondiali, e dai prezzi, storicamente alti, delle materie prime. Quando nel 2008 scoppiò la crisi, l’Ecuador era l’anello più debole in America Latina essendo legato al dollaro ed essendo incapace di “stimolare” la crescita o di proteggere l’economia. In condizioni di crisi, Correa decise di reprimere i movimenti sociali ed i sindacati e fece grandi sforzi per assicurarsi l’appoggio delle multinazionali del settore minerario e petrolifero. La polizia e l’esercito ecuadoriani, inoltre, erano molto più vulnerabili alle infiltrazioni delle agenzie statunitensi a causa di estesi programmi di formazione e di finanziamento, a differenza della Bolivia e del Venezuela, che avevano espulso queste agenzie per attività sovversive. Al contrario dell’Argentina e del Brasile, Correa mancava della capacità di “conciliare” i diversi settori dei movimenti sociali attraverso negoziati e concessioni. Da qui, la penetrazione tra le comunità indigene delle ONG finanziate dall’impero che promuovevano il “separatismo”, e le politiche di identità non gli facilitavano proprio questa conciliazione.

Nonostante ciò, nonostante le specificità dell’Ecuador, il fallito colpo di stato mette in evidenza la relativa importanza di risolvere le richieste basilari socio-economiche se si vuole che i progetti macroeconomici di centrosinistra abbiano successo. Eccetto il Venezuela, nessuno dei regimi di centro-sinistra sta sviluppando riforme strutturali (riforma agraria), nazionalizzazione dei settori strategici, redistribuzione delle entrate. Anche il regime di Chávez in Venezuela ha perso una gran parte dell’appoggio popolare a causa della negligenza riguardo i servizi essenziali (sicurezza pubblica, raccolta dei rifiuti, fornitura di acqua ed energia elettrica, distribuzione degli alimenti) a causa della corruzione e dell’incompetenza. Con il passare del tempo, il centro-sinistra non potrà più dipendere dai dirigenti “carismatici” per compensare l’assenza di cambiamenti strutturali. I regimi debbono sostenere il miglioramento dei salari e delle prestazioni dei servizi pubblici in un clima di “dialogo sociale”. L’assenza di continue riforme sociali, mentre le elite agro-minerarie prosperano, apre le porte  al ritorno della destra e provoca divisioni nelle coalizioni sociali su cui si appoggiano i regimi di centro-sinistra. E la cosa più importante è che l’implosione del centro-destra fornisce l’opportunità a Washington per sovvertire ed abbattere i regimi, tornando alla sua relativamente indipendente politica estera e riaffermando la sua egemonia.

Le basi istituzionali del centro-sinistra sono fragili in tutte le sue parti, specialmente tra la polizia e l’esercito, poiché gli ufficiali continuano ancora a partecipare a programmi governativi con le agenzie militari, narco-poliziesche e di servizi segreti statunitensi. I regimi di centro-sinistra – eccetto il Venezuela – hanno continuato a partecipare ad ogni tipo di programmi congiunti militari. Il centro-sinistra non ha trasformato lo Stato. È ugualmente importante il fatto che ha promosso le basi economiche della destra pro-statunitense attraverso la sua strategia di esportazione dei minerali e dei prodotti agricoli. Ha ignorato il fatto che la stabilità politica è temporanea e si basava su un equilibrio del potere sociale risultante dalle ribellioni popolari del periodo tra gli anni 2000 e 2005. Il centro-sinistra ignora la realtà, per cui nella misura in cui la classe capitalista prospera, come conseguenza delle strategie minerario-agricole di esportazione, lo stesso succede alla destra politica. E come la ricchezza ed il potere politico delle elite esportatrici aumentano, come il centro-sinistra si sposta verso la Destra, come è accaduto a Correa, così ci sarà maggiore conflitto sociale ed un nuovo ciclo di agitazione politica; se non è mediante le urne sarà mediante le pallottole, attraverso colpi di Stato o sollevazioni popolari.

Il riuscito colpo di Stato in Honduras (2009) ed il recente e fallito colpo di Stato in Ecuador sono sintomatici di una sempre più profonda crisi della politica “post neoliberale”. L’assenza di una alternativa socialista, la frammentazione dei movimenti sociali, l’adozione di “politiche di identità” debilitano gravemente una alternativa organizzata efficace, quando i regimi di centro-sinistra entrano in crisi. Per il momento, la maggioranza degli “intellettuali critici” si afferrano al centro-sinistra contando su una “svolta a sinistra”, su una correzione politica, invece di intraprendere il difficile ma necessario cammino della ricostruzione di una classe indipendente basata sul movimento socialista.

13-10-2010

rCR

tratto da Rebelión e tradotto dallo spagnolo

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
James Petras, “El golpe de Estado en Ecuador – Sus amplios significados” traducido para Rebelión por S., pubblicato il 13-10-2010 su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=114748], ultimo accesso 14-10-2010.

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