“Il vero problema dell’America Latina non è la povertà ma la ricchezza”


Intervista all’analista ed attivista sociale uruguayano Raúl Zibechi

da Rebelión 30-07-2010

Fernando Arellano Ortiz Cronicón

L’analista internazionale ed attivista sociale uruguayano Raúl Zibechi sostiene che non sia possibile parlare di inganni: il modello neoliberale nonostante i perversi effetti che ha avuto nell’aumentare le ingiustizie sociali in America Latina, continua a funzionare, “però ora non ruota intorno alle privatizzazioni, all’apertura economica ed alle liberalizzazioni, ma di nuovo è tornato all’appropriazione delle risorse naturali”.

Ricercatore delle realtà socioeconomiche e politiche dei paesi latinoamericani, Zibechi considera  che i movimenti sociali hanno la sfida di continuare a fare pressione in lungo e largo nella regione per porre termine alla “lunga notte neoliberale”.

Questo analista internazionale che fu esiliato in Spagna per aver resistito a metà degli anni 70 alla dittatura in Uruguay, si è dedicato alla ricerca sociale ed alla docenza che alterna con le sue attività di scrittore e giornalista.  Si è dedicato  completamente a lavorare con i movimenti sociali, è membro del comitato di redazione del settimanale Brecha di Montevideo e come docente partecipa alla Multiversidad Franciscana de América Latina.

È, inoltre, un importante attivista sociale e consulente di organizzazioni sociali, di quartiere e di mezzi di comunicazione alternativi.

Di passaggio a Bogotà, dove ha tenuto un seminario sulle nuove forme di dominazione ed ha presentato il suo ultimo libro “America Latina: Controrivoluzione e povertà”, Zibechi ha parlato con l’Osservatorio Sociopolitico www.cronicon.net.

Ya Basta!

Questo intellettuale uruguayano nel suo discorso è stato deciso nel segnalare che “è totalmente falso che il problema centrale delle nostre società sia l’esistenza di una elevata percentuale di povertà. Il vero problema è la ricchezza, come dire l’esistenza di una classe sociale parassitaria, che non ha nessun ruolo positivo nella società anche se ha un sufficiente potere, tanto per influire sulle politiche statali, sui programmi pubblici e dei mezzi di comunicazione, come di allontanare l’attenzione dalla propria spudorata accumulazione di ricchezza”.

Una delle sue raccomandazioni è di “rompere con questa concezione della povertà come problema da risolvere e focalizzare l’attenzione sulla ricchezza, è un requisito per cambiare le politiche sociali”.

Si è lamentato del fatto che “il grande trionfo ideologico della Banca Mondiale è aver inoculato nelle sinistre, nei sindacati e negli intellettuali progressisti, l’idea che si possa porre fine alla povertà senza toccare la struttura della proprietà. Ossia, senza modificare le relazioni di potere”.

Ha criticato le cosiddette politiche assistenziali perché “non sradicano la povertà, non fanno fronte alle cause strutturali della marginalità e dell’esclusione sociale, al contrario, approfondiscono il modello individualista del neoliberalismo. Queste politiche incentrate sulla lotta alla povertà cercano di evitare il conflitto. Ossia, cercano l’annullamento di qualsiasi soggetto che sta “abbasso” e vogliono che esistano solo i soggetti statali o imprenditoriali”.

Ha spiegato che “i soggetti si formano nella lotta, nascono da quella e se la società si insedia nel potere in un periodo di letargo sociale, gli attori svaniscono. Tutta la politica della Banca Mondiale e delle elite globali e nazionali è di desoggettivizzare, per evitare che le differenze si trasformino in conflitto sociale”.

Da una prospettiva epistemologica, Zibechi ha richiamato i settori progressisti e di sinistra in America Latina “a scegliere il Ya Basta!, perché è una alternativa etica e politica molto valida”.

Ugualmente ha sottolineato che molti dei progetti e delle politiche sociali progressiste come l’economia solidaria, l’autonomia e la orizzontalità, l’educazione popolare, i movimenti sociali per la gestione produttiva, “sono nati dalla resistenza alle politiche di adeguamento strutturale del neoliberismo. Nonostante che l’economia solidaria non sia per nulla fuori dall’ambito del conflitto. Può essere un modo per raccogliere le forze, per affrontare il combattimento in migliori condizioni”.

Rinnovamento dell’apparato produttivo

Per Zibechi la crisi del neoliberalismo costituisce “una opportunità per sollecitare cambiamenti”, per questo considera che “è indispensabile immischiarsi nell’economia per cambiare la situazione attuale”. È che “l’America Latina non può ripetere l’esperienza negativa di far fallire i tentativi di costruire lo Stato Sociale lasciando spazio all’accumulazione originaria, in uno schema di una accumulazione di spoliazione, come la chiama il sociologo e politologo britannico David Harvey, che ha eroso il ruolo regolatore dei sindacati ed il loro carattere di confronto, causando una grande deindustrializzazione e un rinnovamento dell’apparato produttivo, con la sua inevitabile conseguenza di disoccupazione, crescente marginalizzazione dei settori popolari urbani ed esodo dei piccoli contadini verso le periferie urbane”.

Secondo il suo parere, svelare e “spiegare le forme di dominazione del modello neoliberale aiuta a smantellarle” e  sebbene queste siano molto potenti, lo è anche la resistenza.

Spiega che nell’attuale congiuntura la destra nel suo desiderio di ottenere un dominio egemonico non solo “compra” i dirigenti sindacali o di sinistra ma che cerca in diversi modi di avere il totale appoggio delle organizzazioni sociali.

Ha posto l’esempio del caso colombiano, in cui le istituzioni “non solo cooptano gli angelini (allusione ad Angelino Garzón, eletto vicepresidente) [ex sindacalista e uomo di sinistra negli anni 80. ndt] ma intere organizzazioni sociali”, come attualmente sta succedendo con la Confederazione Generale del Lavoro (CGT) attraverso il salto che il suo presidente Julio Roberto Gómez ha fatto dal partito di sinistra Polo Democratico al santismo [Juan Manuel Santos, eletto presidente. ndt], l’espressione più conservatrice e oligarchica delle istituzioni in Colombia.

Delegittimato, ma non sconfitto

Per Zibechi, il modello neoliberale nei paesi dell’America Latina “continua a funzionare ma non ruota più intorno alle privatizzazioni, all’apertura economica ed alle liberalizzazioni, ma si è rivolto all’appropriazione dei beni comuni. La principale novità della congiuntura regionale consiste nel fatto che l’Accordo di Washington è stato delegittimato ma il neoliberismo non è stato sconfitto. Al contrario, in questa tappa l’accumulazione attraverso le spoliazioni, fissata sul modello estrattivista [estrazione delle risorse minerali. ndt], continua ad approfondirsi attraverso le miniere a cielo aperto trasnazionali, le monocoltivazioni di soia, di canna da zucchero e di palma, e delle corporazioni della riforestazione e della cellulosa. Queste iniziative, dirette sempre da grandi multinazionali, si appropriano dei beni comuni, in particolare acqua e territori, per trasformare la natura in derrate (commodities) esportate nei paesi centrali o emergenti come la Cina e l’India”.

“I risultati – aggiunge – sono evidenti: le banche hanno i maggiori profitti della loro storia e la crescita economica si basa sulla esportazione di derrate e minerali, in una specie di rinnovamento della struttura produttiva dei paesi. Sono i criteri che stanno seguendo i paesi della regione, aldilà delle forze politiche incaricate di dirigere i governi”.

Le politiche sociali che sono state avviate in vari paesi della regione “accompagnano e compensano l’approfondimento del modello neoliberale”.

L’estrattivismo: un aspetto del modello neoliberale

–  Secondo lei, l’America Latina sta attraversando un periodo di seppellimento della “triste e lunga notte neoliberale”, per utilizzare una frase del presidente ecuadoriano Rafael Correa, grazie in buona misura alle opposizioni sociali che si sono rafforzate durante la precedente decade?

–  Sì e no. Sì, perché ci sono state lunghe ed intense resistenze, che hanno prodotto importanti cambiamenti, però i nuovi governi stanno sviluppando politiche che non portano fuori dal neoliberismo ma che, al contrario, lo sostengono, di conseguenza, credo che questa affermazione di Correa dovrebbe essere puntualizzata meglio. E non posso essere d’accordo con ciò, poiché di fatto in questi giorni in Ecuador c’è un conflitto con i dirigenti indigeni accusati di sabotaggio e terrorismo, quindi questo è relativo e bisogna fare un po’ più di pressione.

–  Parliamo del suo paese, l’Uruguay. Cosa si può pensare del fatto che dopo 34 anni di esistenza il Fronte Ampio sia riuscito ad arrivare al potere, prima con Tabaré Vázquez ed ora con un ex guerrigliero come Pepe Mujica?

–  Bene, a causa di una lunga accumulazione elettorale che si è risolta in uno schiacciante trionfo con più del 50% e per l’egemonia del Fronte Ampio nella società uruguayana. Questo è consolidato e non credo che presto cambierà.

–  In Uruguay il governo del Fronte Amplio conserva alcune politiche neoliberali?

–  Sostiene l’estrattivismo e questo è un problema, a mio modo di vedere, poiché non si riesce ad uscire dalle politiche che da molto tempo sono state applicate. Credo che l’estrattivismo sia parte del modello neoliberale.

–  In questo senso è d’accordo con l’ex ministro dello Stato ecuadoriano, Alberto Acosta, che nel suo ultimo libro sostiene che la maledizione dei paesi dell’America Latina sia l’abbondanza di risorse naturali?

–  Sono totalmente d’accordo, la differenza per me è che gli Stati plurinazionali tendono a riprodurre la logica di dominio di un qualsiasi Stato.

–  Quale è la sua visione sull’attuale evoluzione delle opposizioni sociali in America Latina? Ci sarà la possibilità che si apra uno spazio ad un nuovo modello economico?

–  Deplorevolmente non vedo strumenti di un nuovo modello economico di sviluppo e ciò che vedo mi preoccupa molto, proprio perché i nostri paesi sono basati sull’estrattivismo.

–  Qual è la sua opinione sui governi progressisti dell’America Latina?

–  Ci sono due tipi di governi progressisti: quelli di Brasile, Uruguay ed Argentina che sono governi socialdemocratici alleati con settori del capitale, e i governi di Venezuela, Ecuador e Bolivia, dove i movimenti sono molto forti e continuano sempre più a far pressione.

–  Nel caso di paesi come Perù, Colombia e Messico, avrà influito il fatto che furono vicereami dell’impero spagnolo, che lasciò una impronta culturale e politica che ha permesso un consolidamento a destra e, pertanto, i loro dirigenti sono riluttanti ai cambiamenti sociopolitici?

–  Sì, e per la debolezza dei movimenti sociali che non sono riusciti ad affrontare questi governi, e perciò l’egemonia del capitale finanziario continua ad essere molto importante.

–  Come vede l’orizzonte politico in Colombia?

–  Molto complesso e finché i movimenti sociali non riusciranno a rinforzarsi, ad uscire con forza e a conquistare le strade, non credo che riusciranno a sconfiggere questo.

tradotto dal Comitato Carlos Fonseca

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