L’Assalto alla forza morale del CONAMAQ.
Dopo aver perso la legittimità, al governo non rimane altro che la violenza fuori dal comune, una volta che ci sono state le crisi del gasolinazo (tumulti per la benzina, ndt), quando ha affrontato il suo popolo, e la crisi del conflitto del TIPNIS, quando ha affrontato le nazioni e i popoli indigeni. Ora è diventata chiara, completamente verificata, la decisa opzione per il modello coloniale estrattivista del capitalismo dipendente. Dopo aver approvato con le organizzazioni vicine una legge di consultazione dove scompare la consultazione con consenso e preventiva, nel constatare la consumazione del nuovo etnocidio perpetrato dal governo progressista l’esecutivo cerca nuovamente, per la sesta volta, di controllare il CONAMAQ e di dividerlo. Lo fa con gente senza nessuna rappresentanza, contro la legittimità delle sedici regioni e dei suyu (le quattro grandi suddivisioni dell’impero incaico, ndt) del CONAMAQ. Questa è una dimostrazione di disperazione, in piena campagna elettorale. Con audacia il governo ricorre anche alla polizia, che coadiuva nell’intervento, ledendo ridicolamente i diritti delle nazioni e dei popoli indigeni, consacrati nella Costituzione, oltre a infrangere i diritti fondamentali.
Perché lo fa in piena campagna elettorale? Perché rischia un maggiore discredito di quello che ha già? È che, dopo essersi incamminato verso una rottura etica e morale, senza precedenti, dopo aver puntato sull’estrattivismo etnocida e matricida, dopo essere franato come progetto politico, non gli rimane altro che la violenza? Perché i governi progressisti finiscono con l’incamminarsi non solo in profonde contraddizioni, inoccultabili, ma in una schietta pratica, non dissimulata, di controllo dispotico e di permanente repressione? Quali sono le condizioni e i fattori che finiscono per spingerlo in una simile caduta politica? Sembra che si tratti dell’intervento calamitoso di un insieme di condizioni, che sostengono l’avatar di altri insiemi di “variabili” che si danno, in parte, come eredità storica e, in parte, come caso sfortunato di eventi, che fatalmente ripetono la medesima condanna: coloro che si consacrano al potere “vendono la propria anima al diavolo”.
In questa congiuntura, di fronte all’aperta spudoratezza della violenza statale, la difesa dei diritti è prioritaria, la difesa dei diritti fondamentali, la difesa dei diritti delle nazioni e dei popoli indigeni, la difesa della Costituzione. Nessuno può rimanere silenzioso o silenziosa di fronte alla somma di soprusi; al contrario, con essendo indifferenti, tacendo, finiamo con l’essere complici della smisurata violenza; ma, anche della morte del cosiddetto “processo” di cambiamento. Peggio ancora, della sospensione della democrazia.
Ciò che sembra esserci dietro queste cattive condotte governative, oltre alla disperazione di controllare tutto, con imbrogli, è il dubbio di fronte alle elezioni. Dubbio di fronte alla risposta delle città, incluso del nucleo duro della campagna. Anche se può esserci un certo apprezzamento di una vittoria pirrica, in comparazione ai risultati delle precedenti elezioni, di una presumibile vittoria, conseguita con difficoltà, che non sembra giungere al 50%, con una grande difficoltà a superare il 30%, relativamente al nucleo duro, compromettendo le probabilità di un secondo turno. Nonostante le pretese di un immaginario vincitore, trovandosi scollegati dalla “realtà”, promuovendo e facendosi in quattro con una smisurata propaganda, manifestando una popolarità perduta, da qualche parte viene il dubbio. Questo dubbio è come il verme che si mangia il frutto. Per questo si punta sui favori, su grande scala, si propone la doppia tredicesima, solo per alcuni settori, non a tutti, come dovrebbe essere, volendo guadagnare i voti dei lavoratori o rassicurarli. D’altra parte, con la stessa presunzione, si teme una organizzazione che il governo non ha potuto dividere, come il CONAMAQ; si teme il suo potere di interpellanza e la sua solidità. La disperazione si trasforma in rabbia, per questo intervengono in modo vergognoso come hanno fatto, appoggiati dagli apparati repressivi dello stato. Non viene nascosto nulla. Nonostante che l’intervento sia stato effettuato di notte e sotto la pioggia. Si punta a sostenersi sulla fiducia dei simili, dei sostenitori, dei media ufficiali e privati che controlla. Si punta a coprire la sopraffazione con il fumo, come sono abituati. Non è la prima volta che lo fanno; però, nella misura in cui si allunga la lista, è sempre meno consistente ciò che si fa, per quanta più violenza utilizzino.
Nello svolgimento dei fatti interviene anche lo zelo sottomesso degli adulatori, di coloro che vogliono fare una buona impressione, e si sforzano non solo di dare segnali di fedeltà senza ragionare, ma anche ignobili segnali di adesione, come sono queste decisioni di intervento, da parte di una falsa organizzazione “indigena”, organizzata affrettatamente, con gente di lungo corso di prebende. Sono quelli che vogliono entrare nelle liste elettorali che si sforzano di distinguersi con questi atti esaltati. Alla fine, il MAS si è trasformato in questo, in una massa gelatinosa di aderenti con prebende, clientelari, disposti a tutto per far parte delle prepotenze del potere, quantunque la loro orbita sia molto distante dal nucleo del potere.
Sono sintomi del degrado politico. Quello che all’inizio era discorso populista, con pretese di “ideologia”, si trasforma in schietta azione senza discorso e senza “ideologia”, solo grida: Uscite in ginocchio! È la vendetta dell’aguzzino verso le sue vittime vinte. Di questo tipo di gente sono pieni i corpi della repressione, che finiscono come torturatori. Questo tipo di gente è quello che fa da gruppo d’assalto del governo, questo tipo di gente si presta ai più screditati abusi di nome e rappresentanza. Questo tipo di gente non ha la minima idea della Costituzione e delle ragioni, cause, condizioni, che hanno aperto il “processo” che si dibatte di fronte alla sua stessa morte. Questo tipo di gente è il becchino del “processo” di cambiamento.
Come abbiamo detto prima, sembra una condanna, la trama si ripete. È un copione scritto dal potere, con un tale destino perturbatore per coloro che si consegnano alla voragine della sua logica di cattura, di controllo, di dominio e distruzione. Quello che comincia come speranza diventa frustrazione, quello che comincia con entusiasmo si trasforma in pusillanimità, le buone intenzioni sono pietre sul cammino verso l’inferno. I governi “rivoluzionari” si trasformano in contro-rivoluzionari, i “rivoluzionari” si trasformano in maniache caricature della farsa. La lotta contro la classe dominante trasforma i nuovi occupanti nella nuova classe dominante. La repressione verso i nemici si sposta sulla repressione intestina, all’interno, trasformando i critici o ribelli nei nemici più viscerali, più temuti e più odiati, gli fanno ricordare quelli che hanno abbandonato. Questa lacerazione è uno sforzo per l’oblio, per imporre una “realtà” condiscendente ai loro atti, dove le loro malefatte si trasformano in buone azioni.
La resistenza di fronte alla decadenza e al disfacimento politico, la resistenza di fronte alla restaurazione di quanto era prima, dello stato-nazione, del colonialismo, delle abituali pratiche prebendarie e clientelari, delle strutture e relazioni di potere instaurate storicamente, ha il CONAMAQ come referente e motore della resistenza. Il CONAMAQ come organizzazione indigena, impegnato nella decolonizzazione, nella difesa della Costituzione, nella difesa dei diritti delle nazioni e dei popoli indigeni, nella difesa della madre terra. La resistenza di fronte al dispotismo conta anche sulla resistenza del TIPNIS. Ambedue le istanze sono le forme materiali e organiche della resistenza. Intorno a loro si genera e rigenera la possibilità di continuare il processo e di approfondirlo, di riscattare il processo dalle mani dei suoi usurpatori, di avere l’opportunità di uscire dalla condanna storica della trama del potere. Per questo è indispensabile la difesa del CONAMAQ, la difesa del TIPNIS, la difesa della Costituzione. Un popolo che non lotta per i propri diritti non merita di esistere. È come un obbligo, un invito della memoria sociale a lottare, a persistere nella costruzione di alternative, a insistere nelle azioni alternative, che inventano linee di fuga, spazi liberati, e percorsi verso mondi possibili.
12-12-2013
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Prada Alcoreza, “El verdugo al acecho: desenlaces de la violencia estatal” pubblicato il 12-12-2013 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=178079&titular=el-verdugo-al-acecho:-desenlaces-de-la-violencia-estatal-] ultimo accesso 19-12-2013. |