Siamo stanchi e stanche di ascoltare rimbombanti dichiarazioni che vogliono affermare come una verità indiscutibile la pretesa superiorità storica, sociale, culturale e, soprattutto, politica dell’Europa sull’America Latina. Nelle ultime settimane una moltitudine di dichiarazioni in questo senso è stata fatta da una parte importante della classe politica e mediatica, arrivando a sostenerlo come insulto sprezzante verso le altre forze sociali e politiche che vogliono semplicemente evidenziare che l’America Latina ha scelto altri percorsi e sta avanzando nell’organizzazione di sistemi politici, sociali ed economici differenti dal neoliberista, dominante in Europa. E, inoltre, queste stesse forze mostrano la necessità di conoscere e di tenere in considerazione questi nuovi progetti come alternative possibili, anche se sempre con la coscienza di vivere realtà differenti e che non è possibile né desiderabile, pertanto, la pura e semplice ripetizione.
Curiosamente questa condanna delle alternative che oggi vengono portate avanti nel continente americano, proviene soprattutto da settori di una periferia europea che è attaccata dalla grande frode verso i propri popoli, frode che la cosiddetta crisi economica comporta. Frode che si traduce nella distruzione del tradizionale modello di benessere sociale e nel conseguente impoverimento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione. Condannano, per voler criticare l’esistenza di altre opzioni come possibili alternative al sistema che ci impongono e che ci soffoca ogni giorno di più. Soprattutto perché la loro grande preoccupazione è la possibilità che la popolazione rivolga il proprio sguardo verso altri processi, scopra che ci sono alternative e decida di cercare indipendentemente altre opzioni, dando definitivamente le spalle al modello saccheggiatore, non solidale e ingiusto in cui sta affondando il modello dominante.
Ci dicono che non possiamo guardare verso l’America Latina perché i processi di questo continente nulla hanno a che vedere con le possibili e già urgenti soluzioni della grave situazione di crisi sistemica che stiamo vivendo in quello che fino a poco fa era conosciuto come il mondo ricco, “la vecchia Europa culla della civiltà”. E tutto questo, anche se è dimostrabile che ciò che negli ultimi decenni del secolo scorso è fallito in America Latina e ciò che ora fallisce su questo lato del mare, è in grande misura lo stesso, è il sistema dominante, l’imposizione assoluta del potere e degli interessi economici sul potere politico e sociale e sugli interessi delle maggioranze.
Per questo, siamo stanchi e stanche di ascoltare l’apparente insulto sprezzante, che riassumono con riduzionismi del tipo “vogliono una alternativa bolivariana”, come se questa fosse una opzione politica od economica impossibile, propria delle caverne, o di tempi più recenti ma sempre passati e superati. E tutto questo viene detto dal piedistallo oltraggiante di questa pretesa superiorità della vecchia civiltà europea, che parla come se non ci fosse opposizione né alternativa possibile. Convinta di essere la culla dell’unico mondo civilizzato possibile, padre e madre delle grandi idee politiche, sociali, economiche, artistiche e culturali. Ma anche procreatrice del colonialismo e del razzismo, così come alimentatrice del patriarcato, come sistema di dominio sulle persone e sui popoli e che continuano ad essere preannunciate in molte delle menzionate dichiarazioni sull’America Latina. Nonostante ciò, è precisamente questa Europa che oggi si dibatte senza altre soluzioni che non comportino un aggravamento delle condizioni di vita delle maggioranze, mentre cerca di disprezzare chi ha saputo trovare altri percorsi, altre opzioni possibili a partire dalla propria sovranità e dignità, come risposta alla crisi (imbroglio) già lì vissuta nei decenni recenti.
Vediamo, o detto meglio, mettiamo sul tavolo alcuni elementi della storia critica vissuta in America Latina negli ultimi tempi per poter vedere meglio se esistano realmente le tante pretese differenze con la nostra realtà di oggi.
La fine delle dittature militari negli anni 80 del secolo passato, ha collocato l’America Latina in una nuova fase, quella dei regimi democratici che vogliono realizzarsi a immagine e somiglianza dell’Europa e usando come modello, in molti casi, la transizione spagnola. Nonostante ciò, differenti autori hanno con ragione argomentato che l’ultraliberismo economico non è un compagno naturale della democrazia né del liberalismo politico, e ora questo principio è stato di nuovo dimostrato come tale. Organizzazioni come il FMI, la BM o il BID (Banca Interamericana di Sviluppo) metteranno apertamente in pratica i dettami economici della Scuola di Chicago, culla del neoliberismo più ortodosso, determinando e aumentando il dominio dei poteri economici sui politici.
Si produce allora il fatto conosciuto come crisi del debito (si sostituisca oggi con bolla immobiliare e finanziaria) che si verifica come conseguenza di ciò che potremmo chiamare liberalizzazione degli interessi bancari. Così, la maggioranza dei paesi del sud vedranno come vistosamente aumenta fino a livelli impagabili, dalla notte al mattino, il proprio indebitamento. Il passo seguente è attuare con la forza le politiche corrispondenti affinché questi paesi rispondano alle richieste di pagamento, fatto che trae con sé le conseguenti misure di aggiustamento strutturale, con drastici tagli alla già allora ridotta spesa pubblica, privatizzazione dei settori strategici della produzione o di quegli altri fino ad allora pubblici (salute, educazione …). Altri elementi saranno la caduta del salario reale, la crescita dell’economia informale, il deterioramento degli investimenti sociali o la continua fuga di capitali e la corruzione incontrollata. Allo stesso tempo, tutte le misure imposte saranno dirette alla pratica scomparsa dello stato, della politica, che ora assume il ruolo di semplice ed obbediente amministratrice dei dettami del potere economico. Il corollario di tutto ciò passa attraverso la distruzione della sempre esigua classe media, l’impoverimento della maggioranza della popolazione e l’enorme aumento del solco della disuguaglianza; sarà l’età d’oro per alcuni pochi e l’età oscura per le maggioranze sociali.
In questo contesto globale del continente e parafrasando il grande storiografo britannico E. Hobsbawn, bisogna ricordare che l’America Latina è sempre stata una zona di rivoluzione, realizzata, imminente o possibile. Così, lo scenario finale di questa fase delle politiche neoliberiste permette di comprendere meglio che erano date tutte le condizioni necessarie per iniziare un nuovo ciclo (ribelle) che si va ad aprire negli ultimi anni del XX secolo e che è andato acutizzandosi e organizzandosi nelle sue nuove e diverse alternative trasformatrici negli anni già trascorsi del presente XXI secolo. I livelli di disuguaglianza e di ingiustizia sociale erano nuovamente arrivati ai massimi insopportabili e la popolazione comprendeva che il sistema imposto non era minimamente accettabile, aprendo nei vari paesi percorsi differenti, ma con una grande coincidenza sulla necessità di cercare e proporre alternative di maggiore equità e giustizia sociale, così come di vera democrazia, supplendo allo svuotamento che di questa avevano fatto le elite.
Ora si andrà imponendo il controllo dello stato sull’economia e la politica tornerà ad essere al centro, come asse organizzatore delle nuove proposte, abbiamo già parlato di modelli diversi di economia, già di nuove strutture statali. Si prendono così decisioni per la nazionalizzazione dei settori strategici precedentemente privatizzati. Allo stesso modo si aprono percorsi per l’estensione della salute e dell’educazione, si presta maggiore attenzione ai più anziani e ai dipendenti, o si cerca nella democrazia partecipativa, superando quella meramente rappresentativa la cui caratteristica più importante sta nel semplice voto ogni certi anni. E tutto quanto sopra, tenendo presente in gran misura la necessità di andare più a fondo in un non terminato processo di decolonizzazione e depatriarcalizzazione, affinché le basi, non solo politiche o economiche ma anche sociali, culturali ed etiche, delle nuove società siano realmente nuove e più giuste. Si recupererà, tra le altre cose, la ragion d’essere dello stato centrata sulla redistribuzione della ricchezza per attenuare la spaccatura della disuguaglianza e mettere fine all’impoverimento di grandi strati della popolazione. Così l’America Latina, in uno spazio storico di cambiamenti e trasformazioni, oggi fa da laboratorio politico, economico, sociale e culturale, nel quale si è trasformata, per organizzare nuovi processi e sistemi.
Quest’ultimo è, in un modo o in un altro, ciò che l’Europa ha fatto per secoli e oggi non riconosce di aver perduto l’iniziativa. Si rifiuta di accettare questa perdita di protagonismo e continua ad essere ancorata ad un ingannevole riflesso di pretesa superiorità. La classe politica e mediatica a cui all’inizio alludevamo continua a ostinarsi nel disprezzo dell’America Latina come creatrice di alternative. Per mantenere il proprio modello di dominio e potere, questa stessa classe si nasconde dietro una analisi delle carenze del continente americano, sempre sotto il prisma che questo deve combaciare con l’immagine e la similitudine desiderata, secondo i suoi vecchi postulati ideologici. Così, continua a focalizzare la propria povera analisi dell’America Latina sull’apparente immaturità politica, sulle accuse di debolezza istituzionale, su alcune non consolidate strutture democratiche o su insufficienti riforme economiche. Continuano a voler dettare il cammino dove i popoli americani debbano andare, senza percepire il fracasso dei loro stessi modelli e la propria totale mancanza di diritto a questo.
Per tutto quanto detto precedentemente, diventa evidente la domanda se non ci sia più di un sospetto tra tutta la prima parte descritta, quella della creazione e delle misure adottate durante la crisi e le sue gravi conseguenze sulla popolazione nel continente latinoamericano alla fine dello scorso secolo, e ciò che oggi viviamo (soffriamo) nella vecchia periferia europea. Se la risposta è affermativa, bisogna analogamente mettersi a lavorare perché anche la seconda, quella della ricerca di alternative possibili al sistema dominante, sia una realtà. E l’America Latina oggi può avere da darci più di quanto molti interessi politici, economici e mediatici sostengano.
Jesus González Pazos. Membro di Mugarik Gabe
10-05-2013
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da: |
Jesus González Pazos, “Enseñanzas sobre la crisis desde América Latina” pubblicato il 10-05-2013 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=167960] ultimo accesso 20-05-2013. |