Alfredo Serrano e Iñigo Errejón
Recentemente la Bolivia è tornata all’attualità mediatica internazionale per un aumento delle tensioni sociali: le proteste di gennaio 2011 per l’eliminazione dei sussidi alla benzina, la controversia per il progetto della strada che univa le vallate subandine con l’amazzonia, il cui secondo tratto passa per il Territorio Indigeno Parco Naturale Isiboro Secure (Tipnis), ed i risultati delle recenti elezioni di tutto l’organo giudiziario. La maggioranza delle letture, alcune conservatrici ed altre irresponsabilmente critiche, dimenticano tre aspetti fondamentali; da una parte, che in Bolivia la protesta sociale è il mezzo privilegiato per rivolgere le richieste politiche allo stato – e non un fatto anormale o necessariamente espressione di crisi –, dall’altra parte, che l’opposizione non potrà capitalizzare l’erosione governativa senza un programma, una leadership ed una proposta credibile per il paese; e per ultimo, la ridefinizione negli ultimi anni in Bolivia del termine politica e democrazia.
È innegabile, in ogni caso, che il blocco sociale su cui poggia il governo in Bolivia sta vivendo una espansione delle differenze al suo interno. Questo è un risultato paradossale della sconfitta dell’opposizione della destra regionalista, che si era trincerata nei dipartimenti orientali del paese per cercare di far collassare il processo di rifondazione dello stato. Superata la minaccia involuzionista, scompare anche il suo effetto di unire all’interno l’eterogeneo campo popolare.
Evo Morales ha orientato la sua azione di governo verso la creazione di norme e politiche pubbliche conformi alle aspettative riposte negli strati subalterni del paese: decolonizzazione statale, sviluppo e redistribuzione della ricchezza collettiva, recupero della sovranità, decentralizzazione e modifica della relazione con l’ambiente. Questo momento di costruzione è spesso meno epico della resistenza, ma cruciale affinché la nuova correlazione di forze si cristallizzi in nuove istituzioni che facciano diventare realtà le promesse di cambiamento a favore della maggioranza storicamente impoverita ed esclusa. Questo necessariamente implica l’apertura di dibattiti che possono essere critici all’interno del “blocco indigeno e popolare”, come, specialmente, per quanto riguarda il modello di sviluppo, nel quale entra in attrito il progetto “nazional-sviluppista” con l’immaginario del “vivere bene” di ispirazione eco-indigena. Il conflitto del Tipnis mette in evidenza questa tensione in una Bolivia in transizione, che deve conciliare l’equità sociale e la giustizia ambientale, e che ha la sfida di affrontare la dialettica tra le necessità congiunturali ed i cambiamenti strutturali.
È logico che questo processo sia essenzialmente “turbolento”. Il conflitto è sicuramente il segnale dell’ampiezza e della profondità della democratizzazione in marcia. In questo sta la Bolivia, con le sue contraddizioni ed il suo accelerato tempo storico, con le sue tensioni, puntando su una rivoluzione democratica che non lascia tutti contenti, ma dove tutti partecipano. La differenza radicale con il passato è nell’espansione del raggiungimento della sovranità popolare e dell’esistenza di un governo che risponde agli interessi ed alle richieste della sua società, in un processo dinamico di negoziazioni e rinegoziazioni che i classici chiamavano “democrazia”.
Tre fatti mostrano il nuovo momento politico. Primo, la rettifica nell’eliminazione dei sussidi alla benzina, secondo, l’applicazione del suffragio universale per eleggere il sistema giudiziario – previa preselezione dei candidati da parte dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale con i due terzi dei voti –, e terzo, la proposta – forse tardiva – di una legge breve che regoli il diritto a decidere dei popoli indigeni, accompagnata dalla rettifica della stessa da parte di Evo Morales dopo i negoziati con la marcia indigena, proponendo che definitivamente la strada non passi attraverso il Tipnis. Il futuro non sarà esente dai conflitti, ma la democrazia da protagonista è venuta, in ogni caso, per rimanere.
26-10-2011
Página 12
* Autori del libro “Ahora es cuando, carajo. Del asalto a la transformación del Estado en Bolivia”.
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
Alfredo Serrano e Iñigo Errejón, “Tensiones en el proceso de cambio” traducido para Voces de Colombia por S., pubblicato il 26-10-2011 su [http://www.pagina12.com.ar/diario/elmundo/4-179647-2011-10-25.html], ultimo accesso 09-11-2011. |