Intervista a Fernando Machado, il difensore ufficiale che ha presentato l’habeas corpus per Santiago Maldonado.
Il funzionario spiega che le forze di sicurezza sono entrate nel Pu Lof in Resistenza di Cuchamen senza un ordine giudiziario.
Che i fuoristrada della Gendarmeria sono stati lavati e che gli indizi coincidono con le testimonianze dei membri della comunità.
Fernando Machado è il difensore ufficiale nel processo federale relativo all’indagine per la scomparsa forzata di Santiago Maldonado. È autore di uno dei tre habeas corpus che sono stati presentati per chiedere allo stato la sua localizzazione. Ed è colui che fin dal primo momento ha segnalato la responsabilità della Gendarmeria. Conversando con Página/12 spiega come sia giunto al Pu Lof in Resistenza di Cuschamen e che le prime perizie scartano che il ragazzo sia affogato nel fiume perché ha un alveo poco profondo e pieno di rami. Racconta anche che i fuoristrada della Gendarmeria sono stati lavati, che ad uno di questi è stata tolta la cintura di sicurezza e che il comandante della Gendarmeria locale che ha testimoniato tre giorni dopo la scomparsa ha detto di non conoscere tutti i dati. “La versione della comunità è abbastanza credibile, nel senso che lo avrebbe portato via la Gendarmeria. Tutte le prove sono combacianti con quella versione. In quel contesto senza dar luogo a dubbi sarebbe una scomparsa forzata”, ha affermato.
–Lei come è giunto all’indagine e quando è venuto a conoscenza della scomparsa?
–Sono il difensore ufficiale federale. Ho molteplici competenze. Mi hanno chiamato il 1° agosto pomeriggio perché c’era stato un episodio violento in un Pu Lof in Resistenza di Cushamen, dove era intervenuta la Gendarmeria Nazionale. Io assisto i detenuti. Quando una persona è detenuta, sono immediatamente stabiliti i diritti e le garanzie e questa persona entro le 24 o massimo 48 ore deve essere ricevuta in udienza dal giudice. Mi presento perché c’erano dei minori, per verificare come stavano, se c’erano, e assistere eventualmente i miei pupilli. Quello è stato il mio obiettivo iniziale. Quando sono giunto mi rendo conto di alcune circostanze e mi raccontano che c’era una persona che non trovavano. Abbiamo valutato di fare un habeas corpus. Il giorno dopo interpongo l’Habeas Corpus. Dopo si sono aggiunti altri due habeas corpus: quello promosso dal CELS e l’altro dall’APDH della provincia.
–Fin dal primo momento ha creduto che la Gendarmeria avesse portato via Santiago?
–È chiaro che l’unica forza di sicurezza che sia intervenuta in questo episodio è la Gendarmeria Nazionale. È stata fatta un’udienza nella quale sono comparso io, la procuratrice, l’APDH e un comandante della Gendarmeria. Sono state prese molte misure. Abbiamo chiesto una ricerca con un cane sul luogo dove è stato visto per l’ultima volta Santiago Maldonado. Il cane ha trovato un berretto che dai membri locali è stato riconosciuto come berretto di Santiago. Il cane ha preso una direzione, un sentiero che è assolutamente compatibile con ciò che avevano raccontato i membri della comunità, che è il luogo dove lo avevano visto per l’ultima volta. Si sono potute prendere le impronte dei veicoli della Gendarmeria all’interno del territorio che corrispondono anche al racconto della comunità. Dopo è entrata la Prefettura e ha fatto un’indagine su ambedue le sponde del fiume e al centro dell’alveo. E si è stabilito che la profondità è bassa: circa 1,30 e 1,40 metri nel punto di maggiore profondità e non è un alveo torrentizio. Nel letto ci sono molti pali e rami.
–Come dire, che non potrebbe essersene andato attraverso il fiume.
–Questo indica che è molto difficile affogare per la poca profondità. Ma se fosse affogato sarebbe rimasto impigliato nelle vicinanze tra i rami. Questa è stata la premessa che ha tratto la Prefettura non appena è uscita dal fiume. Dopo, sono state rilevate le tracce di odori nei fuoristrada. Sono quattro fuoristrada ed un camion. Due sono stati fatti a Esquel. E tre a El Bolsón. I due fuoristrada erano molto puliti. Estremamente puliti! Diciamo… come se fossero stati puliti, come lavati. Questo ha contribuito negativamente a rilevare le impronte o le tracce. Uno dei fuoristrada aveva una cintura di sicurezza rotta dal lato della porta del conduttore.
–Che hanno esaminato?
–Se c’è una cintura è perché qualcosa è immobile. Non si può modificare, non si può toccare. è molto più che sorprendente che un veicolo che è al servizio della Gendarmeria abbia la cintura rotta. Questo implica che la cintura è stata rotta. È una circostanza che intorbida le cose. Ci sono altre misure sui veicoli. Sono stati fatti dei rilevamenti di tracce e di odori. E problemi specifici che ha cercato la Polizia Scientifica che è venuta da Buenos Aires per fare il lavoro. In cammino ci sono altre misure. Ora stiamo aspettando il risultato delle prove. Questo è il punto a cui siamo.
–Dove hanno trovato il berretto?
–Il berretto era lungo il percorso che hanno indicato i membri della comunità e secondo quanto riferiscono stavano scappando in direzione del fiume per attraversarlo. Gli altri della comunità attraversano il fiume ma Santiago no, perché non sapeva nuotare. Allora si è impaurito e probabilmente è lì che è stato acciuffato. Questo è ciò che spiega la comunità. Il berretto era lungo quel percorso. Coincide con quella versione.
–Che ha visto sul terreno il primo giorno?
–Il panorama era abbastanza desolante. C’erano resti di un fuoco perché secondo quello che dicono, la Gendarmeria gli aveva bruciato alcune tende, alcune sedie, degli utensili. Non so se è stato in una capanna, è qualcosa di precario e piccolo. E c’erano tracce delle bruciature. Le persone mi raccontavano di come è avvenuto l’ingresso e tutte le apparenze indicano che ci sia stato un sviluppo violento. C’erano tracce di bossoli vuoti di proiettili antisommossa. Io li ho raccolti e presentati in tribunale. Bossoli vuoti. Tre capsule sparate senza contenuto. Successivamente loro hanno dichiarato che c’era stata una sparatoria con proiettili di gomma e da fuoco.
–Perché la Gendarmeria stava lì?
–Fin dal giorno precedente la Gendarmeria era appostata lungo la strada. C’era stato un blocco stradale e c’era stato l’ordine di sgomberarla. Le relazioni della comunità mapuche con le forze di sicurezza sono tese e violente. C’è un quadro di mutuo odio, con abbastanza suscettibilità. Quando sono andato il giorno dopo, la Gendarmeria aveva degli atteggiamenti provocatori. Si fermava davanti con il veicolo. Lo bloccava. Mostra sempre un atteggiamento abbastanza bellicoso. Passano piano piano lungo la strada, fermano il fuoristrada. Guardano. Proseguono. Tornano a passare. Si fermano. C’è una situazione di ostilità. Non è piacevole. Ci sono molti conflitti collaterali a questo fatto lamentevole di ora, per cui io cerco di trovare Santiago.
–Che ha dichiarato il comandante della Gendarmeria?
–Il suo intervento è stato abbastanza deplorevole. Ha detto di esserci stato la notte precedente. Di non esserci stato durante l’episodio concreto. Ha attirato la mia attenzione il poco impegno che ha mostrato, essendo trascorsi vari giorni. Mi è sembrato che la questione fosse troppo seria, come per dire che non c’era stato perché così avrebbe potuto dare qualche informazione.
–Ha parlato di Pablo Nocetti, il capo di Gabinetto del Ministro per la Sicurezza?
–No. Fondamentalmente ha detto: non ci sono stato. Non lo so. Ci sono stato la notte precedente. Non ho visto. Non so nulla. Bisogna comprendere che questo è avvenuto in due momenti differenti. La notte precedente era stato ristabilito il transito sulla Strada 40 con una ordinanza giudiziaria. Questo lo avrebbero apparentemente fatto perché ci sarebbe stata -dico probabilmente- un’aggressione, poiché loro starebbero facendo una specie di resistenza all’autorità, come dicono, starebbero commettendo un delitto in flagranza. Quello è lo scenario di quei fatti violenti. Nella strada l’ordine era già stato ristabilito. Come dire, sono entrati senza un ordine giudiziario. L’ordine era già stato ristabilito la notte precedente e questo avviene il 1°, alle 11.00 del mattino, ma per circostanze differenti a quelle dell’ordine giudiziario.
–I membri della comunità si rifiutano di deporre?
–C’è timore di rappresaglie. È reale ed è ciò che manifestano. Ma hanno anche un punto di vista culturale differente. Non sono abilitati all’interno a fare dichiarazioni perché c’è una specie di portavoce che può parlare a nome della comunità. In termini di prova servono ugualmente perché posso ricostruire le prove in base agli indizi o a prove indirette e giungere alle conclusioni senza avere la presenza di un testimone. Quando si accumulano vari testimoni e dati che convergono su un medesimo punto, questi testimoni sono equivalenti a qualsiasi altro.
–In questo momento qual è la conclusione? Che è successo a Santiago?
–Per quel che penso e con un margine di errore, è molto improbabile che Santiago sia affogato, per cui rimangono due scenari. C’erano due gruppi in quel luogo: la comunità mapuche e la Gendarmeria. Se mi chiedi di chi sospetto di più: bene, finora le prove indicano che la versione della comunità sia abbastanza credibile, nel senso che lo avrebbe portato via la Gendarmeria. Tutte le prove sono coincidenti con quella versione. Sarebbe la principale ipotesi.
–Può parlare della figura giuridica della scomparsa forzata?
–In quel contesto senza dubbio sarebbe una scomparsa forzata. Ma dovrebbe essere già apparso. Se ci fosse un arresto illegale, non potrebbero essere passate più di 48 ore per essere portati davanti ad un giudice.
–Avete chiesto collaborazione al governo nazionale?
–Ho chiesto delle misure al giudice. Non le chiedo politiche, ma misure legate al ritrovamento di Santiago per ritrovarlo in vita.
–Ha qualche indizio che sia vivo?
–Sinceramente spero e desidero che appaia in vita. È quello che desidero.
9 agosto 2017
Página/12
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
“Las pruebas que comprometen a Gendarmería” pubblicato il 09-08-2017 in Página/12, su [http://www.pagina12.com.ar/55376-las-pruebas-que-comprometen-a-gendarmeria] ultimo accesso 17-08-2017. |