Autonomie dei popoli indigeni in Messico


Gilberto López y Rivas

Per coloro che dagli anni 70 del secolo passato hanno accompagnato il movimento indigeno nel nostro paese, la proposta autonomista nel suo significato contemporaneo non è presente nell’ambito dell’accademia che si dedica alla questione etnica né nella discussione delle organizzazioni indigene.

Una delle principali espressioni analitiche dell’antropologia critica messicana degli inizi del decennio degli 80 è la dichiarazione della fondazione del Consiglio Latinoamericano di Appoggio alle Lotte Indigene, CLALI, che nel 1981 viene organizzato nella Scuola Nazionale di Antropologia e Storia. In quel documento, nel quale si fanno proposte radicali della comunità di antropologi, non esiste un solo riferimento all’autonomia. Nel testo si analizzano in profondità le diverse correnti che predominavano in quel momento nella politica dello stato verso i popoli indigeni, l’integrazionista indigenista e l’etnopopulismo, ma non si problematizza il diritto alla libera determinazione e all’autonomia.

La costruzione del soggetto autonomista nei popoli originari del continente americano ha avuto flussi e riflussi, e si è permanentemente scontrata con l’opposizione e la repressione dei governi e dei poteri di fatto, nonostante ciò, questi processi si sono accumulati nella memoria storica dei popoli indigeni. In quella c’è la resistenza, molte volte eroica, alla dominazione e allo sfruttamento, e la costante lotta per il rispetto delle proprie forme tradizionali di organizzazione politica, delle proprie manifestazioni culturali e religiose.

Una ad una, queste storie hanno contribuito al consolidamento delle richieste, fino ad arrivare agli attuali governi autonomi, nei quali spicca l’esperienza dei maya zapatisti riuniti nell’EZLN.

Nonostante ciò, se volessimo fissare in una determinata data l’apparizione delle gesta storiche per gli autogoverni indigeni, bisogna risalire al movimento aymara e pachicuti che scosse le forme di organizzazione politica in Bolivia nell’anno 1952.

Da quel momento, e fino ad oggi, le lotte indigene hanno sicuramente segnato la rotta alle derive del nuovo governo.

Allo stesso modo, l’istituzione costituzionale di un regime di autonomia regionale nella Costa dei Caraibi del Nicaragua, nel 1987, ebbe un impatto a livello continentale nella misura in cui mostrò che le autonomie costituiscono un’alternativa realizzabile affinché gli stati nazionali rispondano alle storiche richieste dei popoli e possano superare situazioni di conflitto, anche armato, che avvengono in nazioni con popolazione plurietnica.

Un secondo evento che incise, tanto a livello teorico e mediatico come nelle mobilitazioni che generò su scala latinoamerica, ha a che vedere con le appassionate polemiche, mobilitazioni, incontri e disaccordi intorno al quinto centenario della “scoperta dell’America” nel 1992. La distorsione storica e la gestione politico manichea con cui i gruppi governativi di ciascun paese pretesero programmare la “celebrazione” dell’avvenimento che, particolarmente nel ricordo dei popoli originari e di origine africana significa schiavitù, genocidio ed etnocidio, contribuì a che, nel cammino di un processo di ricolonizzazione, e a partire delle ricorrenti crisi economiche e politiche sperimentate dagli stati neoliberali, i popoli abbiano assunto una posizione critica riguardo a queste “alternative di sviluppo” della modernità capitalista.

In Messico, a partire da discussioni che dettero come risultato gli Accordi di San Andrés, l’antica e desiderata richiesta di autogoverno, di riconoscimento politico e costituzionale dei sistemi normativi, della cultura e, soprattutto, della territorialità dei popoli indigeni, fu legata alla problematica della cosiddetta questione nazionale. Anche se alcune organizzazioni facevano del progetto autonomista la propria bandiera di lotta, le autonomie si stabiliscono con un carattere programmatico-politico che prende rilievo nazionale dopo la sollevazione zapatista.

Gli Accordi di San Andrés, firmati tra il governo federale e l’EZLN nel febbraio del 1996, furono frutto di un’analisi profonda e rigorosa da parte di dirigenti delle più diverse organizzazioni sociali e politiche, intellettuali, specialisti, giuristi, convocati dal comando zapatista nel processo di dialogo con la controparte governativa. È a partire da allora che le richieste di autonomia per i popoli indigeni si convertono in una delle principali rivendicazioni dei loro movimenti. Così, le autonomie realmente esistenti che contro vento e marea si stabiliscono nella geografia nazionale derivano principalmente dallo sforzo teorico, organizzativo e politico dell’EZLN, del Congresso Nazionale Indigeno (CNI), e di organizzazioni indigene regionali dell’Oaxaca, Guerrero, Michoacán, Veracruz e di altri stati in cui sono presenti  le resistenze dei popoli indigeni.

Foto Luis Castillo/ Archivio. Indigeni della comunità Triqui dell’Oaxaca a Città del Messico.

31 ottobre 2025

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Gilberto López y Rivas, Autonomías de pueblos indígenas en México”, pubblicato il 31-10-2025 in La Jornada, su [https://www.jornada.com.mx/noticia/2025/10/31/opinion/autonomias-de-pueblos-indigenas-en-mexico] ultimo accesso 06-11-2025.

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