L’ingresso violento di poliziotti ecuadoriani nell’ambasciata del Messico a Quito, segna un punto di inflessione nelle relazioni internazionali in America Latina. Certamente, non è la prima volta che succede qualcosa di simile. Le ambasciate sono state violate in varie occasioni, in particolare da regimi autoritari come successe a Montevideo nel 1976, quando i militari della dittatura entrarono nell’ambasciata del Venezuela per sequestrare una prigioniera politica che era fuggita dai suoi rapitori.
Ma è l’eccezione. Neppure le dittature di Pinochet e Videla osarono invadere ambasciate. In quelle del Cile si rifugiarono migliaia di militanti perseguitati le cui vite erano in pericolo. Durante i 17 anni del governo militare cileno le ambasciate furono rispettate. L’ex presidente argentino Héctor Cámpora per tre anni ricevette asilo nell’ambasciata del Messico a Buenos Aires, area che mai fu invasa dalla genocida giunta militare.
L’irruzione nell’ambasciata messicana a Quito per arrestare l’ex vicepresidente Jorge Glas segna una rottura, soprattutto per la scarsa reazione nella regione e nel mondo, che si limita a mere dichiarazioni. Andiamo verso la normalizzazione della violenza e la militarizzazione, il modo scelto da quelli in alto per risolvere tutti i problemi, da quelli sociali fino a quelli economici.
Nonostante ciò, credo che la gravità dei fatti di Quito, per mano del presidente Daniel Noboa, risiedano nel contesto geopolitico in cui si producono.
In primo luogo, la proliferazione delle guerre che già si stavano moltiplicando dalla crisi del 2008 e dalla Primavera Araba: Libia, Siria, Yemen, Afganistan, tra le più evidenti. Dopo, dall’invasione della Russia in Ucraina e la guerra di Israele a Gaza, assistiamo ad un aumento di guerre nelle quali appaiono direttamente coinvolte le principali potenze nucleari.
Questo risulta così evidente come la crescente insensibilità delle classi dominanti verso le sofferenze delle popolazioni, qualcosa che fa scoppiare di pianto relativamente al popolo palestinese.
In secondo luogo, l’America Latina sembra che sia al centro della lotta geopolitica tra Stati Uniti e Cina-Russia per l’egemonia nella regione. Secondo il think tank francese Laboratorio Europeo di Anticipazione Politica (LEAP), l’Asia e l’Africa già vivono una realtà multipolare, nella quale le potenze citate hanno una presenza importante, oltre all’India in Asia e l’Iran in Medio Oriente.
Nonostante ciò, l’America Latina presenta ancora una relazione di forze diversa, che favorisce l’unilateralismo di Washington, per cui il LEAP conclude che sarà la principale regione in disputa. L’editoriale del suo Bollettino 180, di dicembre 2023, segnala riguardo all’America Latina: “Considerata per molto tempo il cortile degli Stati Uniti, e più recentemente oggetto di un’attiva strategia di influenza da parte della Cina, ora è sul filo del rasoio, a volte cercando di costruirsi un futuro più autonomo, come il Brasile, o capace di essere propensa verso un lato o l’altro. L’elezione di Javier Milei, un libertario americanista, in Argentina, che doveva unirsi ai BRICS alla fine dell’anno, è l’incarnazione di questo gioco di influenze in corso, che si accentuerà nei prossimi anni” (https://geab.eu/es/magazine/geab-180/).
All’elezione di Milei si deve aggiungere Noboa, di destra, in Ecuador, anche la prospettiva di un governo di destra in Cile, l’acutizzazione della lotta interna nel MAS della Bolivia che indebolisce le forze progressiste e il possibile ritorno al potere di Bolsonaro in Brasile.
Il fatto più notevole è la recente deriva pro-statunitense del governo di Milei. La generale Laura Richardson nella sua recente visita in Argentina, ha segnalato la necessità che ambedue i paesi dispieghino le loro forze armate nella Terra del Fuoco, che è una zona strategica “per il trasporto internazionale” e come “porta d’entrata dell’Antartide”.
Di modo che il riposizionamento di Washington nella regione tende a consolidarla come spazio privilegiato dei suoi interessi globali, fatto che lascia presagire una crescente rivalità geopolitica, ma soprattutto una crescente tendenza alla militarizzazione.
È ora che parlino i popoli. Negli Stati Uniti e in Europa si sono registrate forti mobilitazioni che chiedono un cessate il fuoco di Israele e Hamas. Questo ha portato il governo di Joe Biden a mostrare una piccola crepa nelle sue relazioni con Israele, anche se continua ad essere il primo paese che lo rifornisce di armi. Ma la cosa più notevole è la crescente mobilitazione della società israeliana contro il primo ministro Netanyahu. Non si deve dimenticare che la mobilitazione della gioventù statunitense fu decisiva per metter fine alla guerra in Vietnam, nel decennio del 1960.
Per la stessa ragione, credo che le società civili latinoamericane abbiano la chiave per fermare la corrente militarista ora dominante. Nonostante ciò, per poter giocare un ruolo decisivo negli scenari nazionali, regionale e globale, i popoli devono superare la dipendenza politica e ideologica che stanno mostrando nei riguardi di governi e partiti progressisti.
8 aprile 2024
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “La violencia sustituye al derecho internacional”, pubblicato il 08-04-2024 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/la-violencia-sustituye-al-derecho-internacional/] ultimo accesso 13-04-2024. |