I grandi movimenti lasciano sempre tracce, a volte anche sentieri che possono essere percorsi tempo dopo da altri camminatori. L’energia collettiva che appare nelle mareggiate che scuotono dal basso in alto le nostre società, si trasformano e lasciano nella memoria dei popoli tracce indelebili, sensi comuni che che modellano i modi del rispetto di sé delle generazioni successive.
Ma non si limitano a ripetere, meccanicamente, quanto fatto dalle precedenti agitazioni ma incorporano nuovi materiali che sono apparsi tra i successivi sussulti. Si incorporano e legittimano pratiche da parte di giovani, donne, dissidenze sessuali e colori di pelle, ossia quelle che il patriarcato e il colonialismo ha inutilmente cercato di allontanare dagli scenari collettivi.
Lungo le nostre storie, le milizie che combatterono a fianco delle indipendenze lasciarono il posto, decenni dopo, al movimento operaio che mostrava modalità meticce tra l’eredità europea e le tradizioni locali. In Argentina, questo movimento generò estese e intense sollevazioni: dalla Settimana Tragica nel 1919 fino all’insurrezione del 17 Ottobre 1945. Per trasformarsi nella seconda metà del XX secolo nel movimento operaio più potente del mondo occidentale: due Cordobazos (1969 e 1971), due Rosariazos (1969) e una lunga decina di sommosse popolari che mobilitarono la classe lavoratrice per sfociare nelle giornate di giugno e luglio del 1975 che destituirono il capo della terrorista Triplice A, José López Rega.
Questo movimento poté essere bloccato solo con il terrorismo di stato che puntò al cuore del movimento operaio, le grandi fabbriche delle cinture industriali, alcune delle quali furono messe sotto controllo dall’alleanza militare-padronale installando caserme nelle loro depandance per arrestare e torturare lavoratori. Dal sentiero tracciato da questa classe sorse un potente movimento contro le scomparse di cui furono protagoniste le Madri e le Nonne.
Quando il neoliberalismo menemista dei 90 completò la distruzione industriale e delle imprese statali iniziata dalla dittatura, centinaia di migliaia di disoccupati si organizzarono nei propri territori in un inedito movimento dando vita a quello che conosciamo come piqueteri. Fu un movimento creativo e destituente, capace di reinventare il lavoro al di fuori dello stato e dei padroni, e poté gettare giù il governo di Fernando de la Rúa nel ciclo di lotte più importante dal decennio del 1970.
Toccò al progressismo il compito della controinsurrezione sociale con metodi differenti da quelli di Videla: i piani sociali e i programmi statali territoriali per disorganizzare collettivi di base e reclutare referenti nelle istituzioni. Con queste politiche lo stato riuscì a promuovere nei movimenti gerarchie interne e ad assoggettarli alla propria agenda e ai propri modi, neutralizzando ogni pretesa di autonomia.
Quel movimento si frammentò e si statalizzò, diventando una parte della trama kirchnerista con diverse intensità che variano tra l’adesione aperta e l’adesione rassegnata. Ma il ciclo piquetero non scomparve senza lasciare tracce, senza nemmeno permettere che alcune delle sue varie parti continuassero a pulsare in qualche tentativo emancipatore.
La Cooperativa di Produzione Agroecologica (COPA) e il Quartiere Comunitario Norita Cortiñas, nella località di Guernica vicino a dove nei decenni fu realizzata la maggiore occupazione di terre, fanno parte di queste “vestigia e resti”.
Guardando verso sud non si vedono altro che cespugli e terre solitarie. Verso nord, in direzione della capitale, spuntano alcune abitazioni disperse e precarie. Siamo ai confini tra Guernica (la piccola città capoluogo municipale Presidente Perón) nel sud del conurbano bonaerense, regione di storiche lotte e spazi dove i MTD (Movimenti di Lavoratori Disoccupati) avevano segnato la differenza con altri collettivi piqueteri, per la loro tensione orizzontale e autonoma.
L’ettaro che occupa la COPA è, inoltre, situato a solo tre chilometri dalla fine dell’autostrada Presidente Perón, strategica per le classi dominanti perché quando sarà ultimata unirà La Plata con l’acceso ovest di Buenos Aires, formando il terzo anello di circonvallazione dell’area metropolitana che con 83 chilometri attraverserà 15 municipi, chiudendo il cerchio su una città di 13 milioni di abitanti. I quasi 40 chilometri già terminati, attraversano una nidiata di quartieri privati tra Ezeiza e Guernica, molti dei quali in costruzione.
Questa è una delle principali ragioni per cui l’occupazione di terre a Guernica è stata violentemente sgombrata. Ricordiamo: lunedì 20 luglio 2020 circa 2.000 famiglie, all’incirca 10.000 persone e 3.000 bambine e bambini, occuparono un terreno di cento ettari nel distretto Presidente Perón, a 37 chilometri dal centro di Buenos Aires. Ad ottobre sono state sgombrate da quattromila agenti armati inviati dal governatore progressista Axel Kicillof.
Iniziamo il tour e il giro nel capannone della COPA dove si tengono le riunioni, si pranza e si cucina: Julián, Romina, Fabiana, Luna, Paula e una quantità di nomi impossibili da ricordare. Sono circa 15 nel giro, in grande maggioranza giovani donne, alcune tecniche agrarie, ma dicono che nel campo partecipano circa 60 persone che giungono al centinaio se si includono quelle del secondo spazio, a poca distanza.
Ricordano che il lavoro di quartiere cominciò circa dodici anni fa contro le fumigazioni e promuovendo orti agroecologici che fornivano alimenti alle mense popolari, e venivano divise anche sementi tra i vicini.
Il tour lo iniziano Romina e Luna con il primo dei sei spazi: il “caracol medicinale” , dove coltivano piante medicinali che formano una spirale. “Qui la terra è molto erosa a causa del vento e della siccità, per questo abbiamo deciso di lasciare alcuni maggesi di pascolo anche se sembra un po’ impreciso, per recuperare il suolo, e apportare materia organica agli appezzamenti dove coltiviamo”. Preparano un concime organico di nome “bocashi” (di origine giapponese) a base di melassa, lievito, minerali e sterco che è pronto in solo quindici giorni.
Al centro del caracol (chiocciola, ndt) c’è un piccolo stagno che serve ad irrigare le piante, che si distribuiscono nello spazio in base alla quantità d’acqua di cui hanno bisogno: rosmarino, lavanda, consolida per i dolori muscolari, carqueja, salvia e una lista molto lunga. I profumi e gli aromi si mescolano, mentre svolazzano api attratte dai fiori sbocciati in questa fredda primavera.
Nel terreno spiccano alcuni alberi nativi come anacahuita e pitanga che sfidano le formiche, il principale predatore che affrontano. Ci fermiamo in alcune coltivazioni assaggiando verdure di diversi sapori. “Questo settore si chiama Berta, per Berta Cáceres”, dice Romina di fronte a vari orti dove spiccano lattughe e barbabietole. Ad una certa distanza appaiono compostiere dove depositano i residui organici.
Indicano un pascolo, insistono sul fatto che è il modo per evitare che avanzi l’erosione, in una regione dove la terra è poco fertile e lo strato di humus è molto sottile. Ci indicano due abitazioni dove dormono a turno le persone che curano il campo, mentre le altre giungono a lavorare quotidianamente poiché ad ogni persona toccano due giornate settimanali.
I membri della COPA non sono occupanti ma hanno comprato la terra collettivamente. Definiscono la cooperativa come “autonoma, autogestita e orizzontale, senza padroni”. Tutti e tutte ricevono programmi sociali che mettono in comune, “come si faceva all’inizio del movimento piquetero”, ricorda Julián che partecipò ai MTD della zona sud, tra cui spiccarono Solano, Lanús e Glew, formando il settore più autonomo del movimento.
Romina indica delle coltivazioni di segale che si alzano per almeno un metro. “È il concime verde che serve anche ad arricchire il suolo, e dopo recuperiamo i semi per il prossimo anno”, spiega Nati. Julián aggiunge che “quando venimmo nel campo la terra era secca e screpolata perché tiravano fuori la migliore per costruire mattoni e il suolo era più basso degli altri campi”. Il risultato è che il terreno si inonda con le grandi piogge invernali, per questo lasciano spazi a pascolo affinché scorra l’acqua e scavano fossati per il deflusso.
La serra è enorme, approssimativamente di dieci metri per dieci, ed è il cuore produttivo della cooperativa. Spiccano i pomodori “cioccolato” che sono sostenuti da corde di tela per evitare le plastiche e “non far male alla pianta”, prosegue Luna. Li hanno costruiti grazie ad un progetto dell’INTA (Istituto Nazionale di Tecnologia Agropastorale), e realizzano tutto il processo: con i semi producono piantine che dopo trapiantano nella serra.
Seminano calendole che attraggono i gorgoglioni e in questo modo non danneggiano le altre coltivazioni. Coltivano le verdure immaginabili in questo clima, dalla lattuga violetta e gli spinaci fino a carote e barbabietole, ed evidenziano che controllano le piaghe in modo manuale, con purina che loro elaborano e saponi. Utilizzano anche predatori naturali che si sviluppano nello stesso campo.
Dopo percorriamo un secondo vivaio dove crescono alberi nativi che sogliono vendere, e lo spazio dedicato ai semi giacché non li comprano ma lasciano le loro coltivazioni “fare i semi” per raccoglierli. La casa dei semi brilla piena di mais multicolori appesi per essere seccati. Alla fine, più di 30 arnie formano l’alveare, dalle quali estraggono 350 chili di miele ogni anno. Molto vicino il pollaio affronta l’attacco di cani e lacerti.
Hanno dovuto fare una perforazione di 70 metri per procurarsi acqua di qualità perché le prime due falde sono contaminate. Uno dei loro obiettivi politici consiste nel tessere reti con produttori agroecologici e produttori locali e mantengono strette relazioni con il movimento dei popoli affumicati.
La COPA è anche un “semenzaio sociale”, giacché le persone che attraversano questo spazio possono essere semi in altri luoghi, mettendosi in relazione in altri modi con i posti vicini e le persone, riproducendo i modi del movimento e moltiplicando l’organizzazione.
Insomma, hanno recuperato alcune caratteristiche del primo movimento piquetero che nacque nel decennio del 1990, durante la fase privatizzatrice del neoliberalismo. Ricevere piani sociali e metterli in comune per sostenere l’attività, in modo che l’assemblea decida la destinazione del denaro, non è più qualcosa di comune nei movimenti. Al contrario, le organizzazioni vicine allo stato e al governo hanno caratteristiche molto differenti: i programmi li distribuisce una persona, il “puntero” (la persona di punta, n.d.t.), che effettua una ripartizione individuale senza passare per le assemblee mentre i beneficiari sono recettori passivi. Questo garantisce la dipendenza e la spoliticizzazione collettive.
Il 20 giugno di quest’anno elettorale è stato inaugurato il Quartiere Comunitario Norita Cortiñas, a venti isolati dalla COPA e molto vicino al centro di Guernica. Sono 60 famiglie che avevano partecipato alla grande occupazione del 2020 e sono rimaste organizzate nell’Assemblea per la Terra e l’Abitazione della zona sud. Ed è anche il frutto dell’impegno di varie organizzazioni, il Fronte delle Organizzazioni in Lotta (FOL), la COPA e la corrente Marabunta, spazio che riunisce vari collettivi.
La costruzione di abitazioni sta facendo i suo primi passi con mingas o lavoro solidale che sono decisi nelle assemblee settimanali. Non si tratta solo di costruire abitazioni ma di creare spazi collettivi per altri modi di vivere sulla base della solidarietà, il mutuo sostegno e il femminismo, fatto che presuppone di prendere in considerazione l’educazione, gli svaghi, le piazze e i centri culturali.
Mentre il governo progressista dedica ampi terreni ai club di campagna e ai quartieri privati ai quali hanno accesso solo i più privilegiati, “la via dell’autogestione ha permesso attraverso meccanismi di mutuo sostegno, risparmi propri dei compagnx e risorse delle organizzazioni sociali, di accedere all’acquisto di due ettari, che hanno dato una soluzione a quasi 60 famiglie del conurbano”, indica il FOL. È la concretezza su piccola scala di quello che non si è potuto ottenere con l’occupazione di cento ettari per duemila famiglie nel 2020 ed è anche un trionfo sulla speculazione immobiliare.
Foto: Raúl Zibechi
4 novembre 2023
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “Argentina. Rastros y restos del movimiento piquetero”, pubblicato il 04-11-2023 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/argentina-rastros-y-restos-del-movimiento-piquetero/] ultimo accesso 09-11-2023. |