Perù: La voce e le idee ribelli di Hugo Blanco continueranno a risuonare in tutta l’Abya Yala


Precisamente in questo giorno in cui il compagno peruviano Hugo Blanco è partito verso un’altra dimensione per continuare la lotta, serve leggere questa intervista realizzata nel novembre del 2013 dal collega Fernando Arellano Ortiz. Da parte di Resumen Latinoamericano salutiamo Hugo Blanco, lottatore infaticabile e archetipo del rivoluzionario incandescente. HASTA LA VICTORIA SIEMPRE, COMPAÑERO.

“PER AFFRONTARE LA GUERRA DEL GRANDE CAPITALE CONTRO L’UMANITÀ, NON C’È ALTRO CHE COSTRUIRE POTERE DAL BASSO”, Hugo Blanco

Con l’esperienza che gli danno decenni di lotta e di resistenza popolare, Hugo Blanco Galdós, uno dei principali referenti della dirigenza politica e contadina del Perù, non esita a sottolineare che per affrontare l’infame sistema capitalista e il suo criminale modello di spoliazione dei popoli, il neoliberismo, non c’è altra alternativa che costruire potere dal basso.

Sostiene che insieme alla lotta per costruire potere bisogna smascherare i governi neoliberali, come quelli che in America Latina promuovono su richiesta degli Stati Uniti l’Alleanza per il Pacifico, i quali per giustificare l’implementazione delle politiche di libero mercato parlano di “progresso e sviluppo”, quando in realtà si tratta di mantenere “la guerra del grande capitale contro la natura e l’umanità”.

Nato a Cusco 79 anni fa, Hugo Blanco è tutto un personaggio per le vicissitudini della vita che ha dovuto schivare e la sua instancabile attività politica, sociale e giornalistica che porta avanti per resistere alle ingiustizie e al neoliberalismo che tormenta il suo paese.

A 16 anni, ancora studente, cominciò la sua attività di resistenza civile che lo ha caratterizzato lungo la sua vita. Ricorda che fu durante la dittatura di Manuel A. Odría, quando partecipò attivamente ad uno sciopero studentesco, che apprese che “l’azione collettiva energica contro l’ingiustizia è efficace”. Da allora la sua esistenza è trascorsa tra l’esilio, la resistenza, il carcere, la politica, l’organizzazione contadina e popolare, e l’esercizio del giornalismo.

Nel 1955 quando lavorava come operaio frigorifero in Argentina partecipò alla protesta contro il colpo di stato al presidente Juan Domingo Perón, successivamente agli inizi degli anni 60 prese parte attivamente alla lotta che rese possibile la prima riforma agraria in Perù per cui dovette organizzare un’autodifesa che gli costò una carcerazione di tre anni, in isolamento. Venne il processo e lo condannarono a 25 anni di prigione. La condanna non si fermò lì, il suo caso passò ad un tribunale militare nel quale il procuratore chiese la pena di morte. Le reazioni non si fecero aspettare, la solidarietà internazionale fu contundente e la campagna per la sua liberazione divenne sempre più forte per cui gli fu concessa un’amnistia. Dopo sette anni di prigione fu deportato in Messico, da lì viaggiò in Argentina dove di nuovo fu incarcerato per i suoi precedenti, ma grazie al fatto che in Cile si era installato il governo progressista di Salvador Allende fu ricevuto per collaborare nel cosiddetto Cordone Industriale che era una forma di organizzazione operaia di contenzione degli attacchi della destra fascista. A seguito del golpe contro Salvador Allende dovette cercare asilo nell’ambasciata di Svezia a Santiago e successivamente viaggiò in questo paese.

SOPRAVVISSUTO AL PLAN CÓNDOR

Dopo il suo periplo per l’Europa riuscì ad entrare negli Stati Uniti mediante un’arguzia legale, visitò 48 città nordamericane nelle quali tenne conferenze denunciando il ruolo imperialista di questo paese e la politica propagandistica e di facciata del governo di James Carter che preconizzava il rispetto dei diritti umani. Nel frattempo, in Perù, i suoi compagni di lotta approfittarono del fatto che la dittatura militare aveva convocato le elezioni per formare un’Assemblea Costituente per iscriverlo come candidato, per cui il governo dovette permettere il suo ritorno. La campagna elettorale si sviluppò in mezzo ad un’atmosfera di combattività e di confronto con il regime militare. Approfittando di un spazio televisivo concesso ai candidati, Blanco Galdós non esitò a dichiarare che “la lotta sociale era più importante delle elezioni” e fece appello a sostenere uno sciopero generale. Dopo poche ore era già prigioniero insieme ad altri dirigenti di sinistra.

Erano i tempi del Plan Cóndor, mediante il quale le dittature del Cono sud agivano in coordinazione per imprigionare, torturare e far scomparire coloro che consideravano nemici interni. Per questo la dittatura peruviana trasferì Blanco e i suoi compagni di sventura in una aereo militare in una caserma di Jujuy, Argentina. “Fortunatamente -ricorda- un giornalista fotografò l’aereo e per questo non poterono farci scomparire”. Dopo la sua permanenza in Argentina ritornò nuovamente in Svezia come esiliato ma senza abbassare la sua lotta per la quale era stato eletto in assenza alla Costituente con la più alta votazione della sinistra. Al ritorno nel suo paese dopo un anno in Europa, fu eletto prima deputato e dopo senatore, posizione che occupò fino all’autogolpe di Alberto Fujimori nell’aprile del 1992.

Tanto la dittatura fujimorista come il gruppo armato Sendero Luminoso lo condannarono a morte per cui decise di autoesiliarsi e di ritornare dopo quattro anni per lavorare con la Federazione Dipartimentale dei Contadini del Cusco. Attualmente dirige la rivista mensile Lucha Indígena e continua e percorrere il mondo invitato a tenere conferenze sulle sue lotte e la resistenza contro il progetto minerario del Conga nella regione peruviana della Cajamarca. Per parlare dell’estrattivismo minerario nel suo paese e delle organizzazioni contadine di resistenza, la Corte dei Conti Generale della Repubblica della Colombia lo ha invitato a partecipare al Seminario Internazionale “Politica rurale: rischi, sfide e prospettive” che ha recentemente realizzato a Bogotá.

PER LA VIA ELETTORALE NON C’È SPERANZA

Dialogando con l’Osservatorio Sociopolitico Latinoamericano WWW.CRONICON.NET, Hugo Blanco è categorico nell’affermare che i cambiamenti sociali non avverranno per via elettorale ma che, ribadisce, bisogna continuare ad impegnarsi a costruire potere dal basso.

– Se non è mediante una politica elettorale come si costruisce potere?

– Per la via delle elezioni non ho nessuna speranza, attraverso le elezioni non si sistema la situazione. All’orizzonte non si vede nemmeno che ci sarà una rivoluzione come la russa, la cinese o come la cubana. Non si intravede questo nel panorama per cui è necessario la costruzione di potere. La gente involontariamente, inconsciamente, senza saperlo, sta costruendo potere. Per esempio, gli zapatisti o le genti di Tlaxcala in Messico coscientemente stanno costruendo potere. In Colombia i compagni del Putumayo che stanno lottando per concretizzare un progetto educativo, stanno costruendo potere. Coloro che praticano la medicina naturale o alternativa e sono contro l’affare redditizio dei laboratori farmaceutici, anche loro stanno costruendo potere. Lo stanno facendo anche quelle cooperative di produttori di coltivazioni ecologiche che sono collegati ai consumatori. Ci sono alcuni luoghi dove si pratica il baratto o le fabbriche occupate dai lavoratori in Argentina, anche questo è costruzione di potere. Allora dal basso dobbiamo costruire potere.

– Nel suo paese in cui si privilegiano le politiche neoliberali per favorire il grande capitale, si sta costruendo potere?

– In Perù, concretamente nella regione di Conga, coloro che stanno lottando contro la grande attività mineraria contribuiscono a costruire potere ma non è qualcosa molto nota. Nel mio paese siamo in ritardo nella lotta sociale in comparazione con l’Ecuador e la Bolivia, in grande misura a causa della guerra interna che abbiamo vissuto per 20 anni e nella quale sono stati assassinati più di 70 mila peruviani, la maggior parte di loro indigeni e contadini. La Confederazione Contadina del Perù, a cui io appartengo, aveva basi popolari quasi in tutto il paese e dopo la guerra interna sono rimaste due o tre federazioni, per cui si è indebolita l’organizzazione.

LA FARSA DEL GOVERNO DI HUMALA

Riferendosi al governo di Ollanta Humala, questo lottatore popolare fa un sintetico e chiarificatore profilo dell’attuale presidente peruviano:

– La leadership di Humala è prefabbricata, è una farsa. Lui è stato un fujimorista servile e per questo lo fecero comandante in una caserma a Locumba nel dipartimento di Tacna. Quando Vladirmiro Montesinos, il consigliere di Fujimori, aveva bisogno di fuggire gli ordinò di insorgere, allora Humala fece uscire i soldati dalla guarnigione e dopo chiamò Radio Programas del Perú (RPP) per annunciare che si era sollevato contro la dittatura. In quella sollevazione contro il governo di Fujimori non ci fu nessun ferito, nemmeno un graffio. Quando Valentín Paniagua giunse al governo si arrese di fronte a lui, fu per pochi giorni in prigione, dopo gli fu concessa un’amnistia e nel governo di Alejandro Toledo fu inviato come aggiunto militare in Francia e in Corea del Sud. Humala, inoltre, è orgoglioso delle congratulazioni che ricevette dai suoi superiori. In Perù gli alti comandi militari si congratulavano negli anni della guerra interna solo con coloro che uccidevano nella selva. E ci furono militari che si rifiutarono di uccidere innocenti e dovettero scappare dal paese per non essere uccisi loro, ma con Humala si congratularono. E curiosamente il suo curriculum militare è andato perso.

LA GENTE HA BISOGNO DI ACQUA E NON DI ORO PER VIVERE

Blanco Galdós è enfatico quando parla dell’estrattivismo. Sebbene appoggi e metta in rilievo i governi progressisti del Sudamerica “perché hanno veramente preso misure contro l’impero e contro le politiche neoliberali, e sono anche sorti grazie a forti movimenti popolari”, è critico di progetti come la costruzione della strada nel Tipnis in Bolivia, e lo sfruttamento del Parco Yasuní in Ecuador, e la mancanza di attenzione verso la comunità indigena degli yukpas in Venezuela da parte del governo del presidente Hugo Chávez. “La gente -sostiene in tono enfatico- per vivere ha bisogno di acqua e non di oro. Siccome ora non ci sono più vene d’oro, quello che si fa è far esplodere quattro tonnellate di roccia per tirar fuori un grano di oro, questo in qualsiasi parte è un disastro ed è nocivo, nel caso del progetto Conga in Perù è criminale. Senza oro, ripeto, si può vivere, ora se serve per alcuni strumenti ce n’è abbastanza depositato nelle banche del mondo”.

Hugo Blanco durante l’intervista concessa al direttore dell’Osservatorio Sociopolitico Latinoamericano, Fernando Arellano Ortiz a Bogotá. (Fotos Marco A. González).

“Nel Conga, l’impresa mineraria sta armando squadroni paramilitari con contadini della regione di Cajamarca affinché attacchino i propri paesani e vicini della regione che si oppongono al progetto minerario. Fatto che finisce con l’essere uno scontro tra contadini. Questo si deve al fatto che è il grande capitale che governa il Perù”.

– Data la sua posizione di fermo difensore dell’ambiente, si considera vicino all’ecosocialismo?

– Quando sto in Europa dico che sono ecosocialista, ma quando sto in Latinoamerica mi vergogno di dire che lo sono perché un mapuche cileno mi dice che loro sono contro il governo socialista della Bachelet e gli indigeni boliviani ed ecuadoriani mi dicono che stanno lottando contro l’ecosocialismo. Ma sì, io mi considero ecosocialista.

Bogotá, novembre del 2013.

25 giugno 2023

Resumen Latinoamericano

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Perú. La voz y las ideas rebeldes de Hugo Blanco seguirán resonando en toda Abya Yala /Entrevista al revolucionario que no dejó de luchar jamáspubblicato il 25-06-2023 in Resumen Latinoamericanosu [https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/06/25/peru-la-voz-y-las-ideas-rebeldes-de-hugo-blanco-seguiran-resonando-en-toda-abya-yala-entrevista-al-revolucionario-que-no-dejo-de-luchar-jamas/] ultimo accesso 27-06-2023.

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