Perù: La Boluarte punta solo sulla repressione con 45 morti in un mese di crisi e proteste


Mariana Álvarez Orellana

Dopo una tregua per le feste di fine anno, migliaia di peruviani sono tornati nelle strade per chiedere la rinuncia della presidente Dina Boluarte, la chiusura del Congresso e la convocazione di nuove elezioni, ottenendo come risposta una maggiore repressione e decine di morti e feriti.

Sembra chiaro che la scommessa del regime di Dina Boluarte -legale ma illegittimo- consiste nell’applicare la violenza e lasciar trascorrere il tempo fino a quando le proteste si esauriranno e rimarranno confinate in poche regioni del paese.

La profonda debolezza e l’estremo disorientamento politico della nuova presidente e del nuovo regime gli è scoppiato in faccia senza che sappiano cosa fare. In appena due settimane di proteste si sono contate 28 persone morte per spari di armi da fuoco effettuati dalla Polizia Nazionale e dall’Esercito Peruviano. Il paese già conta 45 morti in un mese di crisi e si prepara a nuove proteste.

Si tratta di omicidi perpetrati dalle forze dell’ordine nell’ambito delle proteste sociali e secondo il diritto internazionale questi fatti sono considerati come gravi violazioni dei diritti umani. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha informato che effettuerà una visita in Perù “per osservare la situazione dei diritti umani” nel contesto della crisi istituzionale e delle proteste sociali che si svolgono dallo scorso dicembre.

Ad applicare la repressione e guadagnare tempo punta anche la decisione del Congresso, dominato dalla destra e presieduto dal generale José Williams, di posticipare le prossime elezioni ad aprile del 2024, in attesa che per allora si sia diluito il malessere sociale e si sia costruito un progetto politico e di partito capace di perpetuare il controllo oligarchico sull’istituzione formalmente democratica.

Come è avvenuto fin dal primo giorno delle proteste popolari dopo la destituzione del presidente eletto democraticamente, Pedro Castillo, l’unica risposta del governo sostenuto dall’oligarchia e dall’ambasciata statunitense è stata di aumentare la repressione e ignorare lo scontento di coloro che non si rassegnano a vedere il mandato delle urne soppiantato da accordi delle cupole.

La repressione ha fatto dal 7 dicembre almeno 32 morti, 36 ospedalizzati tra il 4 e il 7 gennaio, e 17 feriti per proiettili o pietre solo venerdì 6 gennaio.

Al di là della congiuntura si osserva la cronica crisi politica che vive il Perù da almeno sei anni (e molti di più, se si considera il sinistro periodo dittatoriale fujimorista del decennio del 1990) che è il risultato di un intreccio legale che sabota in modo sistematico la governabilità e che rappresenta il principale ostacolo al funzionamento della democrazia.

Al sesto giorno di proteste nella regione di Puno, gli scontri tra manifestanti, uomini delle Forze Armate e della Polizia Nazionale avrebbero causato la morte di 17 civili e 52 feriti da arma da fuoco. Il Governo ha scelto di accusare i manifestanti di essere delle “orde di delinquenti” e di non riconoscere le richieste.

“Proteste di che, non si sta comprendendo chiaramente cosa state chiedendo (…) quello che state chiedendo è un pretesto per continuare a creare il caos”, ha affermato Dina Boluarte. Il primo ministro, Alberto Otárola, ha affermato in televisione che quanto avvenuto a Juliaca è stato “un attacco organizzato, sistematico, di vandalismo e di organizzazioni violente contro lo stato di diritto e contro le istituzioni”, che verrebbero finanziate con “denari esteri,  stranieri e oscuri del narcotraffico”.

La menzione ai “denari stranieri” si è inquadrata nella campagna che hanno cominciato l’Esecutivo, i congressisti e i mezzi di comunicazione come El Comercio, contro l’ex presidente della Bolivia, Evo Morales. Lunedì il Governo ha annunciato la proibizione di ingresso nel paese del dirigente boliviano insieme ad altri otto cittadini del vicino paese.

Morales è stato accusato di “minacciare l’ordine interno” e di essere stato “molto attivo propiziando una situazione di crisi”. Non è la prima volta che la destra peruviana accusa Morales: già nel 2021 la Commissione Relazioni Estere del Congresso lo aveva dichiarato “persona non grata”.

I fatti sono avvenuti a Juliaca, nel dipartimento di Puno, alla frontiera con la Bolivia, dove Evo ha molta influenza tra gli aymara. Lì si è svolta la quinta giornata consecutiva dello sciopero a tempo indefinito che è cominciato il passato 4 gennaio, con epicentro nel sud del paese, in particolare in questa regione a maggioranza aimara, fortemente mobilitata, dove si erano già registrati gravi incidenti con un altro tentativo di occupazione dell’aeroporto.

I fatti avvenuti a Juliaca hanno generato varie azioni di protesta nel paese, come a Cuzco, o Lima, dove negli ultimi giorni si sono registrate numerose detenzioni durante le proteste, come venerdì notte con 200 arresti. “Le detenzioni di massa e arbitrarie cercano di infondere timore e di scoraggiare l’esercizio del diritto alla protesta”, ha affermato il Coordinamento Nazionale dei Diritti Umani.

*Antropologa, docente e ricercatrice peruviana, analista associata al Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE, www.estrategia.la).

10 gennaio 2023

CLAE

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mariana Álvarez Orellana, Boluarte apuesta sólo a la represión: 45 muertos en un mes de crisis y protestaspubblicato il 10-01-2023 in CLAEsu [https://estrategia.la/2023/01/10/boluarte-apuesta-solo-a-la-represion-45-muertos-en-un-mes-de-crisis-y-protestas/] ultimo accesso 12-01-2023.

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