Brasile: Un bagno di realtà e un incubo rimandato di quattro settimane


Aram Aharonian

Le urne dimostrano che i più poveri dei poveri delle periferie urbane non necessariamente hanno votato per il PT e il suo candidato.

La parità al primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile obbliga ad un secondo giro in quattro settimane (il 30 ottobre), rimandando così il cammino di una restaurazione della democrazia, di una ricostruzione e defascistizzazione del paese. Per vincere al primo turno, l’ex presidente Luiz Ignacio Lula da Silva aveva bisogno di più del 50 per cento dei voti per lasciare lungo il cammino l’attuale mandatario, l’ultradestra Jair Bolsonaro: gli è mancato poco più del due per cento.

Questa volta l’oligarchia, la destra, è riuscita ad evitare, o almeno rimandare, il ritorno di Lula alla presidenza, anche se tra le ipotesi che si maneggiano per l’immediato futuro ci sono anche quelle di un colpo di stato militare o di un attentato contro la vita del candidato progressista, l’ex presidente Lula, che ha vinto il primo turno per una piccola differenza, in un panorama di altissima polarizzazione che i precedenti sondaggi non avevano disegnato.

E ora che? L’ultradestra Jair Bolsonaro ha ripreso aria. Il lulismo ora farà sì che i candidati di centro (Simone Tebet e Ciro Gómez, che insieme sommano circa il 7 per cento dei voti), eliminati al primo turno, offrano il loro appoggio a Lula, ma questo non è per nulla sicuro.

Per qualsiasi analisi di futuro bisogna partire dalla realtà, perché la società brasiliana non è la medesima di quella di 19 anni fa, quando quel ex operaio metallurgico di Sao Bernardo do Campo e dirigente della Centrale Unica dei Lavoratori (CUT), guidando un’ondata di speranza, giunse al governo. E il potere?

Molto è successo in questi ultimi due decenni. Le urne dimostrano che i più poveri dei poveri delle periferie urbane non hanno necessariamente votato per il PT e il suo candidato. E come dimostrazione di questo, sarà difficile governare con una minoranza nel legislativo.

Rileviamo in questo ciclo la politicizzazione delle chiese evangeliche -che hanno preso il posto che i parroci cattolici hanno abbandonato-, l’uso delle reti sociali come formatore dell’immaginario collettivo e mobilitatore di masse e che la crisi ha rafforzato l’estrema destra di fronte ad un centrosinistra che rimasto senza un messaggio.

Nell’ultimo decennio, né Lula né il Partito dei Lavoratori, pieno di intellettuali, sono riusciti ad elaborare una proposta conforme alle realtà. Si sono solo riparati dietro la (mitica?) figura di una capo e si sono astenuti dal fare l’autocritica necessaria e formare quadri capaci di governare il paese. Alla destra non è interessato presentare proposte: si è attenuta ad attaccare impietosamente e continuamente Lula.

Lula ha giocato nella campagna elettorale per il primo turno con il ricordo del passato -di “no meu governo”-, di quel tempo quando c’era speranza. La strategia è stata di costruire un’alleanza che facesse scontrare la democrazia contro il neofascismo, sfuggendo così dalla polarizzazione tradizionale di sinistra contro destra.

Oggi possiamo parlare del ciclo lulista, contando i due governi successivi di Lula tra il 2003 e il 2010 e il primo di Dilma Roussef, quando il Brasile godette di stabilità politica, crescita economica, notevoli progressi di inclusione sociale, tanto materiale come simbolica: durante questi governi 35 milioni di persone superarono la povertà per entrare nella nuova classe media.

Nonostante ciò, durante i governi lulisti non si è progredì con un riforma politica (la cercò di fare Dilma Rousseff, e di fatto fu uno dei motivi della sua caduta). Dilma, che si promosse come erede di Lula, portò Michel Temer come vicepresidente. Quando giunse il momento, Dilma fu allontanata dal potere mediante un processo politico parlamentare falsato, pieno di irregolarità. Appena alcune manifestazioni pubbliche come reazione.

Tutto ha la sua contropartita. L’alleanza con le grandi imprese le impedì di portare avanti una riforma tributaria progressiva che cambiasse la distribuzione del potere, la legislazione del lavoro, salvo nel caso del lavoro domestico, rimase inalterata, e i profitti del settore finanziario batterono tutti i record. Ma anche da parte del potere fu incoraggiata una smobilitazione della militanza.

L’enorme elezione di Bolsonaro (43%), appanna la vittoria di Lula, che è rimasto ad appena due punti dal 50%, e dà respiro all’attuale presidente per dilettarsi con quello che ha minacciato durante la sua campagna elettorale: golpe militari e non riconoscimento dei risultati, nel caso in cui non gli piacciano. Inizia il pre-partita che si giocherà tra quattro settimane, quando il dibattito sarà solo contro Bolsonaro, e non di sei canditati contro di lui.

Quando Lula, inoltre, incomincerà a governare di nuovo, è certo che lo farà in un contesto di una seconda ondata progressista in Latinoamerica, ma Lula governerà senza i suoi “soci” più di sinistra degli inizi del secolo, Hugo Chávez, Evo Morales o Néstor Kirchner.

CLAE

04/10/2022

La Haine

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Aram AharonianUn baño de realidad y una pesadilla postergada por cuatro semanaspubblicato il 04-10-2022 in La Hainesu [https://www.lahaine.org/mundo.php/un-bano-de-realidad-y] ultimo accesso 10-10-2022.

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