La “guerra dell’Arauco” nel Wallmapu nuovamente si riattiva con altri mezzi.
A tutte le ed i martiri della lotta sociale e politica mapuche
Per la libertà di tutte e tutti i prigionieri mapuche
Per la libertà immediata di Héctor Llaitul
Dice il proverbio popolare “Tanto la gatta al lardo va che ci lascia lo zampino” è quello che è avvenuto con la detenzione del dirigente del Coordinamento Arauco Malleco (CAM) Héctor Llaitul. Le pressioni che sono state esercitate, di agire contro il dirigente mapuche, tanto sul governo del presidente Gabriel Boric e sulla sua Ministra dell’Interno Izkia Siches come sul Pubblico Ministero dal potere del capitale, da impresari delle imprese forestali, dalle autorità politiche (governatori, sindaci, parlamentari locali come nazionali di ampio spettro) come dai mezzi di comunicazione, tra gli altri, hanno dato risultati, Héctor Llaitul è stato incriminato per un insieme (cinque) eterogeneo di presunti delitti contro lo Stato di Diritto e gli è stata decretata la prigione preventiva.
La “guerra dell’Arauco” nel Wallmapu nuovamente si riattiva con altri mezzi, ma dal 1541 continua ad essere la stessa: la lotta del popolo nazione-mapuche per liberarsi dagli invasori, dai colonizzatori, dagli sfruttatori e da un variegato insieme di uomini e donne non mapuche che protetti dallo Stato Imperiale, prima, e dopo, dallo Stato cileno, hanno cercato di annichilire e far sparire un popolo-nazione, solo per esistere e abitare un territorio che gli appartiene da sempre.
L’annichilimento, la scomparsa forzata, dei popoli preesistenti all’invasione europea e nazionale sono stati una pratica di cinque secoli nel territori di Abya Yala; in Cile, per esempio, il popolo Ona, abitanti della cosiddetta Terra del Fuoco, nell’estremo Australe del Continente, fu finanziata dai grandi possidenti di Magallanes per invadere i loro territori per occuparli con migliaia di capi di ovini. Li sterminarono. Pertanto, che i grandi impresari capitalisti, che oggi occupano e sfruttano il Wallmapu, cerchino con tutti i mezzi legali e extralegali di far scomparire il popolo Mapuche non è in nessun modo una novità, è una costante storica e politica.
Ma è stata anche una costante storica e politica che il popolo-nazione mapuche si sollevi e resista apertamente a questa occupazione e tentativo di annichilimento. Per questo, la loro lotta è legittima. Ogni popolo ha il diritto di resistere a qualsiasi tentativo politico di sterminio.
In Cile, lo stato, come espressione del dominio della cultura cristiana occidentale e, certamente, capitalista, ha cercato in differenti modi di sottomettere, soggiogare e annichilire fisicamente e culturalmente il popolo mapuche. La pacificazione dell’Araucanía nel XIX secolo fu un’espressione della strategia politico-militare intrapresa dello stato cileno per sfollare i mapuche dalle loro terre, rinchiudendoli in “riserve”, in terre di cattiva qualità, per ucciderli di fame, negandogli la loro cultura, creando stereotipi su di loro: indigeni deboli, ignoranti, barbari, ubriachi, tra gli altri. Discriminazione razziale e culturale. Lo stato nazionale cileno, ha dichiarato la “guerra” a un popolo, solo perché questo aveva la “proprietà” di terre, boschi, fiumi, laghi, flora e fauna che il capitale privato, come anche statale, ambiva per incrementare la propria espansione e sviluppo per rendere possibile la propria riproduzione nel tempo. Devastare la natura e la vita umana, non sono limiti né frontiere per l’azione del capitale. Per 150 anni il capitale nazionale e internazionale protetto dallo stato nazionale ha depredato, sfruttato e raso al suolo tutto quello che per i mapuche è considerato vitale per la propria esistenza come cultura e popolo.
Il saccheggio di tutto quanto è mapuche è stato mostrato da tutti coloro che sono interessati a far conoscere questa devastazione, ossia, dagli stessi mapuche come anche dalle e dai cileni disgustati da tanta distruzione. Nonostante ciò, lo stato nazionale come anche la società cilena sono stati per lungo tempo sordi, cechi e muti. E, generalmente, hanno agito a favore dei grandi, medi e piccoli interessi del capitale. Solo negli ultimi anni, almeno, negli ultimi due decenni, si è risvegliata una certa sensibilità verso la situazione dei popoli originari e, specialmente, della lotta mapuche.
Durante la passata rivolta popolare e cittadina dell’Ottobre del 2019 il paese contemplò, con stupore, che nelle grandi azioni collettive che occuparono gli spazi pubblici delle città del paese, migliaia di persone sollevarono e fecero sventolare gli emblemi, la bandiera, del popolo mapuche. Più tardi nella Convenzione Costituzionale, la rivendicazione dei popoli originari è diventata manifesta nei “seggi riservati” ai rappresentanti di questi popoli. Per ratificare, la presenza politica e storica delle nazioni preesistenti, è stata eletta una rappresentante del popolo-nazione mapuche come presidente della Convenzione. La presenza di Elisa Loncon è stata elogiata, celebrata e applaudita da molti. Non da tutti, i rappresentanti del capitale e dei settori dominanti in molte occasioni hanno espresso l’astio che gli produceva la presenza e il comportamento delle e dei rappresentanti delle prime nazioni, specialmente, dei mapuche.
La Costituzione Politica elaborata dalla Convenzione, con l’opposizione senza restrizioni delle e dei convenzionalisti ha raccolto la sensibilità espressa dalla cittadinanza a Ottobre e ha espresso in diverse norme il riconoscimento storico, politico, culturale e identitario delle prime nazioni, nell’Articolo 5. La dichiarazione normativa della plurinazionalità dello stato è un tratto rilevante della proposta costituzionale. Nonostante ciò, questi aspetti hanno meritato da parte della comunità nazionale, ossia, dalla società cilena, una forte reazione contraria, accusando la Convenzione di elaborare una Costituzione Indigenista. Il rifiuto di queste norme è pervenuto da diversi settori di cittadini non solo dei gruppi sociali dominanti ma anche di settori medi come popolari: mettendo allo scoperto che i profondi tratti razzisti e discriminatori della società cilena non sono un tema del passato ma, tutto il contrario, sopravvivono tra i cittadini nazionali.
Questa situazione contrasta con la rivendicazione di quanto è mapuche nelle manifestazioni di Ottobre e, sopratutto, per la condanna che molti settori sociali e politici fanno attualmente alla lotta che sollevano le diverse organizzazioni politiche e sociali mapuche nel Wallmapu.
La lotta mapuche è plurale e diversa. Non c’è un solo modo, loro implementano tanto la lotta politico-istituzionale come quella diretta, politico-militare, ossia, armata. Il CAM, organizzazione a cui partecipa Héctor Llaitul ha dichiarato la propria lotta diretta e attiva contro le imprese capitaliste forestali, idroelettriche, minerarie e salmoniere che attualmente, come abbiamo detto, devastano la vita umana e naturale del Wallmapu.
La lotta diretta e aperta del CAM non attacca né compie attentati contro le persone, ma contro i beni di capitale di queste imprese, possiede una componente etico-politica che né l’azione dello stato nazionale né dei proprietari di queste imprese possiedono: rispettare la vita umana.
Come si sa lo stato, attraverso le proprie istituzioni di polizia, negli ultimi anni ha ucciso numerosi mapuche. Crimini di lesa umanità, molti dei quali, certamente, sono rimasti impuniti. Lo stesso è avvenuto con le diverse azioni violente che sono state effettuate dai diversi gruppi armati non mapuche che agiscono nella macro-zona sud.
Orbene, in ogni conflitto politico ci sono perdite umane. Questo è deplorevole. Ma, la maggioranza dei morti sono stati del popolo mapuche. Tutti, certamente, siamo interessati a che la problematica storica e politica che colpisce il popolo nazione mapuche si risolva.
Questa soluzione è estremamente complessa. Certamente, non si risolve con le normative presenti nel testo costituzionale che sarà sottoposto a plebiscito il prossimo 4 settembre, ma che quelle siano un progresso è certo e, per questa ragione, si richiede la loro approvazione. La situazione sarebbe aggravata se si mantenesse l’attuale Costituzione. Se la cittadinanza scese ha sventolare la bandiera mapuche nell’Ottobre del 2019, il 4 settembre non potrebbe succedere il contrario. Sarebbe una leggerezza e un assurdo, o solo una “ragazzata” postmoderna, inconsistente, light, vuota.
La cittadinanza non può rimanere inoperosa di fronte all’arresto di Héctor Llaitul. Detenzione propiziata e auspicata dal capitale. Il governo di Gabriel Boric è stato incapace e debole nel resistere alla pressioni dei poteri politici, economici e della comunicazione del capitale.
Disgraziatamente, l’attuale governo non ha né la forza, né la rettitudine, né l’abilità politica e nemmeno il personale competente per affrontare in modo decisivo il potere, il capitale. Nemmeno possiedono una visione né una strategia per trattare il conflitto nel Wallmapu. La sua intenzione iniziale di “dialogare” senza considerare gli elementi propri della cultura del popolo mapuche, è stata un fiasco. Non è come giungere e salire su un’automobile ed entrare nel territorio mapuche. Bisogna rispettare, e questo governo rispetta solo e si inchina come un lacchè di fronte ai desideri e alle pressioni della destra e del capitale imprenditoriale.
Dopo l’imbarazzo ministeriale, la Ministra dell’Interno, incalzata dalla destra politica ha dovuto piegarsi e iniziare la persecuzione del massimo dirigente del CAM. È dunque paradossale che il governo vada contro Llaitul e non contro tutte e tutti i membri che fanno parte del CAM, dato che i delitti che sono attribuiti a Llaitul non sono personali ma collettivi. Fatto che prova che è un tentativo di decapitare il movimento, senza comprendere che questa lotta è collettiva. Per questa ragione, potranno mettere Llaitul in carcere, ma, con questo non fermeranno la lotta mapuche.
La detenzione e le pressioni politiche su Llaitul, come da mesi l’occupazione militare, è un altro modo di dare garanzie al capitale che potrà continuare ad operare nel Wallmapu, senza problemi. Ma, lì il governo sbaglia, la lotta del popolo mapuche non dipende dall’esistenza di uno o di un’altro dirigente, è fondamentalmente una lotta di un collettivo, di un popolo.
La prigione politica di Llaitul deve essere vista come un’opportunità affinché la società civile cilena si pronunci in modo congiunto con il popolo mapuche per la sua libertà. Si deve configurare una grande alleanza sociale e politica anticapitalista che chieda l’uscita dal Wallmapu di tutte le imprese che operano lì. Si deve avanzare nella restituzione non di terre ai mapuche ma del territorio che lo Stato Nazionale usurpò nel XIX secolo. Concedergli autonomia territoriale e, soprattutto, autodeterminazione governativa.
Senza che quanto sopra implichi lo smembramento dello stato plurinazionale, ma che siamo capaci di dar vita ad una nuova forma di organizzazione politica che permetta a tuttx di poter vivere in questo territorio chiamato Cile. Ma, questo implica, questo sì, che il problema non sono le e i cileni, né i mapuche o altri gruppi sociali e culturali, il problema, fondamentale, è il capitalismo saccheggiatore e selvaggio.
Nonostante tutte le “buone ondate” con i mapuche da parte dei cittadini nazionali, né le elogiate ovazioni all’ex presidente della Convenzione, Elisa Loncon, e tante altre, niente di questo darà una soluzione alla devastazione del popolo mapuche, ma si frena l’azione del capitalismo. La lotta sociale e politica deve essere contro l’attuale forma di stato e governo, espressioni politiche del dominio capitalista.
Inutile dire che il desiderio espresso da Elisa Loncon al momento di assumere la presidenza della Convenzione il passato 4 luglio 2021, di “rifondare il Cile”, se l’è portato via il vento. Senza distruggere le strutture di potere esistenti nel paese, sarà impossibile farlo.
La criminalizzazione della lotta sociale, culturale e politica mapuche obbliga tuttx coloro che sono scesi a sventolare la bandiera mapuche alla lotta per la libertà di tutti i prigionieri politici mapuche e di Héctor Llaitul.
Quindi, siamo tutti Llaitul?!!
27/08/2022
Rebelion
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Juan Carlos Gómez Leyton, “¿Todos Somos Llaitul?”, pubblicato il 27-08-2022 in Rebelion, su [https://rebelion.org/todos-somos-llaitul/] ultimo accesso 29-09-2022. |