Il Chubutazo e la società in movimento: Come si è vinto?


Chubut finisce di fare quello che Mendoza ottenne nel dicembre del 2019. Di fronte ad una Legge pro attività mineraria e festeggiata dal governo nazionale, dal governo provinciale, dall’apparato giudiziario e di polizia, dal sistema mediatico e dalla lobby delle compagnie, la società ha conquistato le strade e ha ottenuto l’impensabile: che la stessa Legislatura che ha approvato questa Legge (14 voti contro 11) l’abrogasse una settimana dopo.

Come si è giunti ad un simile trionfo di una comunità, su un tema che è simultaneamente ambientale, sociale, produttivo, politico e culturale? Alcune chiavi: l’assembleare, l’orizzontalità delle decisioni, la convinzione e la conoscenza rigorosa (dalla legale fino alla scientifica) che si è andata arricchendo con il trascorrere del conflitto di questi anni.

Si può anche pensare a ciò che finisce di avvenire. Dove si stabilisce un’idea genuina di democrazia? Negli oscuri accordi di un pugno di politici che si credono di poter decidere sulla società, o nella capacità di questa società di esprimersi in strada? Lo ha fatto anche non solo come protesta ma con proposte e risultati chiari, come quella del referendum di Esquel nel 2003 (81% di voti contro l’installazione dell’attività megamineraria) o dei progetti di Iniziativa Popolare (che obbligano a dibattere la continuità o no dell’attività megamineraria), sistematicamente e incostituzionalmente negati dall’apparato politico.

Queste azioni mostrano una comunità sempre lontana dalla violenza, non dalla fermezza. Le abitanti e gli abitanti segnalano la presenza di infiltrati della polizia che hanno agitato il clima e sarebbero i responsabili degli incendi, come mezzo per criminalizzare la protesta e giustificare la repressione. Dall’altra parte, si pensa che qualche settore di manifestanti abbia potuto agire in questo modo. In nessun caso si menziona il contesto di violenza istituzionale a cui il governo sta sottoponendo la popolazione con ritardi negli stipendi statali, prepotenza nelle gestioni e non gestioni politiche, forme di repressione e controllo sociale denunciate in piena pandemia non facenti parte di un aspetto sanitario ma di un disciplinamento delle critiche, e gli abusi polizieschi che sono giunti fino a questi giorni di proteste con arresti arbitrari e bastonate ai manifestanti e ai giornalisti. Di questa violenza delle istituzioni di solito non si parla, né di solito sono denunciate, ma fa parte dello sfondo di tutto quello che avviene.

Altri elementi per spiegare il Chubutazo: la partecipazione di diverse generazioni, di diversi settori sociali, e di tutti i territori della provincia. L’autonomia rispetto allo stato e ai partiti politici. L’assenza di dirigenti (il protagonismo è sociale), la capacità di interazione, la creatività, la circolazione permanente di messaggi, informazioni, azioni, parole, immagini e fatti che hanno attecchito nella sensibilità sociale, e nella comprensione di tutto quello che è in gioco.

A tutto questo si può aggiungere la mancanza concreta e che inizia ad essere drammatica di acqua in una provincia enormemente ricca e impoverita dai disastri finanziari favoriti dalla cosiddetta “classe dirigente”, che distrugge l’economia, il lavoro, e anche i territori e i beni comuni.

Fanno anche parte di questo contesto il chiaro modo d’agire delle compagnie, che calcolano tanti profitti potenziali a partire dall’estrattivismo, che da decenni continuano essere insediate a Chubut cercando di cambiare la volontà della gente. È anche chiaro il modo di agire della classe politica, simbolizzato dal governatore Mariano Arcioni, che è giunto a ciò che gli editorialisti chiamano “sfere di potere” opponendosi all’attività megamineraria, passando dopo a proporre esattamente il contrario, secondo la vecchia teoria creola delle crespelle. Sono molte le spiegazioni, in una provincia che non ha mai smesso di essere mobilitata e attenta alle manovre di coloro che governano. Tanto che, una volta di più, hanno potuto mandarle all’aria.

In questo lavoro di Francisco Pandolfi, alcune voci che possono fornire delle tracce sul trionfo di quello che chiamano anche “Chubutaguazo”, e che simbolizzano quello che possono le comunità di fronte alle forze che si suppone molto più grandi.

(Francisco Pandolfi per www.lavaca.org) Una processione di allegria. Di abbracci e urla. Di grancasse e tamburi. Di bandiere e striscioni. Cambia il nome della città, la geografia, ma l’essenza è la medesima. In ogni località chubutense, centinaia, migliaia di persone camminano lentamente, come chi cerca che la manifestazione sia eterna. Nonne, adulti, giovani, bambini. Coppie, amicizie, famiglie intere. Ridono al grido di “se questo non è il popolo, il popolo dove sta”. Cantano: “Lotta, lotta, lotta e che si oda”; agitano, che “il popolo, unito, mai sarà vinto”. È perfino riapparso il “che se ne vadano tutti”. Non c’è da stupirsi. Questa è stata una settimana storica che lascerà un precedente in tutto il paese, che si aggiunge a quella di Mendoza nel 2019. La medesima Legislatura provinciale che mercoledì scorso aveva autorizzato l’attività megamineraria, ha abrogato la legge all’unanimità a causa della pressione popolare. E siccome le vittorie si festeggiano, c’è festa in tutto il Chubut.

Conoscenza e aspettative

La resistenza della provincia all’attività megamineraria ha quasi 20 anni. La battaglia iniziale fu vinta ad Esquel, il primo dei ribaditi NO è NO. Viviana Moreno fa parte dell’assemblea del No alla miniera di Esquel e racconta a lavaca come è cresciuto quel seme: “Il nostro cammino è basato sulla consapevolezza che abbiamo di ciò che l’attività megamineraria comporta; sappiamo molto chiaramente che ci opponiamo, e perché ci opponiamo. Per tutto questo tempo la diffusione delle informazioni è stata permanente e l’abbiamo sostenuta; la crescita della consapevolezza non si è mai fermata”. Questo include, per esempio, libri per l’infanzia, documentari, chiacchierate nei quartieri e nelle scuole e tutto quello che in maiuscolo può entrare nel terreno della Comunicazione.

Qual è stata la ricetta per abbattere la legge in meno di una settimana? “Il lavoro orizzontale, che non è per nulla facile. Siamo molte comunità, identità e idiosincrasie diverse di cui dobbiamo avere il consenso. L’assemblea potenzia, non c’è nulla di più arricchente di quello che si definisce lì: più numerosa ed eterogenea, più ricca è, perché se guardiamo da diverse angolature, è più facile prendere decisioni opportune. Il consenso comporta tempo, ma se giunge è perché abbiamo un obiettivo comune che è la difesa dell’acqua”.

Questa difesa è stata totale. La sintetizza Viviana: “Ha superato tutte le mie aspettative; quello che più mi ha sorpreso è stata la grande manifestazione in una città estrattivista come Comodoro Rivadavia, che vive del petrolio. Finora non avevamo l’idea della dimensione di quanta gente difende le risorse naturali”.

“La democrazia è nella strada”

Comodoro Rivadavia è la città del Chubut con maggiore popolazione. Lì vive Silvia de los Santos, avvocata, membro dell’Unione delle assemblee delle Comunità del Chubut (UACCh). Dice che non ha mai visto qualcosa di uguale. “Non è abituale che nella nostra città ci siano colonne di tre isolati, che marciano giorno dopo giorno. Siamo la capitale nazionale del petrolio, la maggioranza delle famiglie vive di questa attività o ha qualche familiare legato a qualche impresa. È molto difficile che la gente esca in strada, giacché qui c’è sempre stato lavoro quando da altre parti no. Nonostante ciò, la mancanza d’acqua è in tutta la provincia. Anche qua, a Comodoro pochi giorni fa in alcuni quartieri non c’è stata acqua per una settimana e si stanno avendo interruzioni programmate per la scarsezza”.

Silvia fa anche parte della Rete degli Avvocati per la Sovranità Alimentare. Dice di essere esaurita, ma felice. Tuttavia la stanchezza la sente nel corpo e nella mente. “Abbiamo passato molti giorni d’angoscia, molto terribili. Resistiamo nelle assemblee orizzontali, che sono transgenerazionali perché ci sono da anziani di 80 fino ai più giovani. Abbiamo invitato la gente ad unirsi e così lo ha fatto, con cartelli, mobilitandosi con i propri figli, portando i passeggini del bambino, con i loro cagnolini, uscendo per difendersi”.

Conclude: “Abbiamo dimostrato che la democrazia è in strada, non nei poteri, e che noi popoli abbiamo il potenziale di definire il nostro stesso futuro, anche di fronte alla dittatura estrattivista imposta dai gruppi economici”.

La mancanza d’acqua non è esclusiva di Comodoro, al contrario. È un denominatore comune in tutto il Chubut, che da agosto di quest’anno si trova in emergenza idrica. Comunque, il governo provinciale guidato da Mariano Arcioni, con il consenso dell’Esecutivo nazionale, ha cercato di autorizzare un’attività che consuma grandi quantità d’acqua e può ridurre la portata di fiumi o eliminare corsi d’acqua, cosa che già si verifica in differenti zone della provincia.

La zonificazione votata dal Potere Legislativo ha avallato l’attività megamineraria nella meseta centrale, dove l’impresa canadese Pan American Silver già si preparava ad attivare il Progetto Natale di sfruttamento dell’argento, rame e piombo.

Meseta: “Non abbiamo più acqua”

Yala Laubat è un villaggio rurale dentro la località di Lagunita Salada, nel dipartimento di Gastre (che con Telsen, sarebbero state le due zone autorizzate all’attività megamineraria). Vi vivono 60 persone suddivise in 18 famiglie ed è situata a solo 30 chilometri da dove la compagnia straniera aveva i propri macchinari pronti per cominciare a lavorare ufficialmente, anche se già da anni stanno facendo operazioni di esplorazione e carotaggio, il passo previo allo sfruttamento. Lì vive Mabel, docente. É stata operata recentemente, ma ugualmente si è messa una fascia ed è uscita a festeggiare: “Noi che viviamo nella meseta siamo molto grati a tutto il popolo, per il rotondo no. Se abbiamo vinto è perché la gente è stata resa cosciente da ciò che significa vivere senza acqua”.

La sua comunità lo sa bene. “10 mesi fa si è seccato il pozzo che ci riforniva, di solo 8 metri di profondità. Non avevamo più acqua. È desolante quello che viviamo, molto triste, non abbiamo la cosa più importante per la vita. Quando ce la portano, è dalle comunità vicine, ma non ci basta; siamo costretti a usarne pochi litri al giorno. Non possiamo produrre nulla, varie famiglie hanno orti, case di campagna, animali, come facciamo a pensare al futuro?

Il colmo è avvenuto venti giorni fa. “Si è rotto un camion cisterna che avrebbe dovuto portarci l’acqua e lo stesso vicepresidente del comune di Lagunita Salada, Carlos Milanahuel, ha chiamato la Pan American Silver affinché pagasse il noleggio. Siamo indignati. Chiedono di portarci l’acqua all’impresa che viene a togliercela”. La rabbia, si trasforma in speranza: “Ci rimane solo di continuare a resistere sul posto, denunciando e diffondendo quello che succede. Mi ha colpito molto vedere in questi giorni molti bambini coscienti di quello che stanno difendendo, con slogan sui cartelli, magliette, nelle loro manine, difendendo il proprio futuro”.

“La lotta non ha padrone”

Anche le e i lavoratori hanno giocato un ruolo importante nel capovolgere la storia. Tomás Montenegro è il segretario generale della Centrale dei Lavoratori dell’Argentina (CTA) Chubut. Descrive una delle principali cause del trionfo: “Non c’è persona né partito che può aggiudicarselo, perché la lotta non ha padrone. Abbiamo fatto una immensa rivolta popolare, perché se ottieni la percentuale di gente mobilitata rispetto alla quantità di abitanti, ti rendi conto che l’affluenza è stata tremendamente alta. Siamo giunti fino a qua per la coscienza collettiva costruita in questi due decenni”. La coincidenza con il passato recente è inevitabile: “A 20 anni da quando l’Argentina aveva gridato ‘che se ne vadano tutti’, in molti luoghi si è tornati a cantare la medesima cosa, come rifiuto verso i dirigenti politici che ci hanno portati fino a qui, senza ascoltare e soffocando la nostra voce”.

Nel corso di questa settimana ci sono state delle pietre miliari che Tomás racconta: “I pescatori, per esempio, hanno bloccato il porto di Rawson fino a quando non fosse caduta la legge, questo è stato molto significativo. Al di là delle differenze tra sindacati, unifichiamo le azioni con la CTA Autonoma e la CGT del Valle, perché l’attività mineraria danneggia allo stesso modo tutti noi”.

Quattro grandi sindacati (Petrolieri, Costruzioni, Camionisti e Commercio) si sono dichiarati a favore della zonificazione mineraria. Lo spiega Montenegro: “I patti del tavolo piccolo dei dirigenti non rappresentano i loro affiliati, come per esempio è avvenuto nel Commercio, dove molti lavoratori sono scesi a manifestare contro”. Un caso emblematico è stato quello delle azioni di protesta di lavoratrici e lavoratori del supermercato La Anónima.

Nonostante l’accerchiamento mediatico

Claudia Barrionuevo è la Segretaria Aggiunta della CTA Autonoma. Ha la voce rauca. “La voce che mi rimane per aver gridato fino alla stanchezza, per la rabbia contenuta, per il dolore, per la repressione. Ora bisogna festeggiare, ma già domani bisogna continuare a lavorare, sempre in stato d’allarme”, specifica da Trelew, una città con precedenti di ribellione di fronte alle ingiustizie. Nonostante ciò, Claudia afferma che nelle ultime ore ci sono state le mobilitazioni più massicce della storia. “E sono state anche le più grandi di tutta la provincia”.

Come si è vinto? “Oltre alla presenza di massa, abbiamo avuto un’immediata reazione. E la repressione non ha spaventato la gente, al contrario, ha prodotto molta più rabbia e necessità di mettere il corpo”.

Come ci si è organizzati? Ogni assemblea ha i propri rappresentanti, anche ogni città; le decisioni si prendono in una multisettoriale, a cui anche noi, il resto delle organizzazioni, abbiamo partecipato. Lì si è finito con il mettere in comune le strategie di lotta”. Chiarisce: “La multisettoriale non discute i mandati delle assemblee, ma organizza come portarli avanti”.

In quanto all’importanza delle e dei lavoratori, Claudia parla, del micro e del macro: “È stata fondamentale la partecipazione di tutti gli attori della società. Dai commercianti che nei loro negozi hanno proibito l’ingresso dei legislatori che hanno approvato la zonificazione, come i lavoratori che si sono pronunciati contro le propri sindacati che erano a favore dell’estrattivismo; fino ai sindacati che non appartenevano a nessuna delle centrali e che allo stesso modo sono stati in strada unificando il grido di ‘no alla miniera’. Nonostante l’accerchiamento mediatico che abbiamo avuto a livello nazionale, abbiamo mostrato dignità e integrità, è stato impressionante”.

Le nuove minacce e l’ondata

Da Rawson, la capitale della provincia e centro delle mobilitazioni più grosse, parla con “le emozioni a fior di pelle” Pablo Palicio Lada, membro dell’UACCh (Unione delle Assemblee Cittadine Chubutensi) e referente storico che nel secolo passato fu militante antinucleare.

Continua ancora ad essere emozionato “per l’inarrestabile ondata in ogni città, marciando due volte al giorno quando era necessario, senza che mai declinasse l’intensità; per vedere tanta gente che mai avevo visto in strada, per sentire che quando le patate sono bruciate, il popolo è stato in piedi”.

Pablo considera che la conquista si basa sul fatto che dopo la vittoria di Esquel nel 2002, si sono moltiplicati i semi. E che oggi in ogni quartiere della provincia c’è qualche parola d’ordine che allude alla difesa dell’acqua; che moltissime auto portano calcomanie con frasi sulla coscienza ambientale; che in molti negozi, invece di cartelli con offerte, si avvisa che l’acqua non si vende, si difende. “La forza che è emersa in questi giorni nessuno se la immaginava. Siamo stati una marea di persone ed emozioni, mettendo dei limiti ai corrotti e agli autocrati. A loro, tutto gli è tornato come un boomerang. Ma non possiamo rilassarci, bisogna festeggiare e metterci di nuovo i guanti, perché già minacciano con nuove cose, come l’idea di fare un referendum per la zonificazione. Arcioni deve intendere che è già stata referendata attraverso tutta la gente che è uscita in strada”.

Il Chubut è piegato da qualsiasi punto lo si analizzi, nonostante abbia solo 500 mila abitanti e sia la quarta provincia esportatrice. C’è qualcosa che è maturato in questa società, come propone Pablo, che illumina un cammino per il resto dei popoli: “Quando si prendono le redini del proprio destino, succedono questo tipo di cose. Quando si sopporta una repressione come quella che mai avevo visto nella mia vita, che sembrava una guerra con i poliziotti che sparavano a chiunque, succedono questo tipo di cose. Quando incominciano ad aver paura di noi, perché non abbiamo paura, la forza popolare diventa incontenibile. Così abbiamo costruito il Chubutazo”.

Tutte le immagini di Chubut, condivise da Luan-Colectiva de Acción Fotográfica.

22 dicembre 2021

lavaca

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
El Chubutazo y la sociedad en movimiento: ¿Cómo se ganó?” pubblicato il 22-12-2021 in lavaca, su [https://lavaca.org/notas/chubutazo-y-la-sociedad-en-movimiento-como-se-gano/] ultimo accesso 05-01-2022.

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