Nicaragua: Natale senza prigionieri politici


Mónica Baltodano

Durante la lotta contro la dittatura somozista, il popolo nicaraguense ingaggiò importanti giornate per il rispetto dei diritti umani e la libertà dei suoi prigionieri politici. Nonostante il carattere criminale di quel regime, i familiari dei rei ebbero spazi per fare scioperi della fame e impugnare le proprie richieste, scenari dove serrarono le fila i principali movimenti sociali, organizzazioni studentesche delle università, scuole e istituti, associazioni di maestri, sindacati, sacerdoti, personalità e partiti dell’opposizione tradizionale.

Fecero anche attività internazionale presso governi, organizzazioni dei diritti umani e congressisti nordamericani, denunciando la situazione dei loro. Nella misura in cui si sviluppava la lotta contro la dittatura militare, si ottenne il sostegno internazionale e furono creati i comitati di solidarietà con la lotta del popolo nicaraguense, che accompagnavano attivamente le mobilitazioni, in particolare le campagne Natale senza prigionieri politici, realizzate ogni anno dall’inizio dei 70.

Il radicamento della Teologia della Liberazione in sacerdoti e settori credenti della popolazione fu evidente nel loro impegno nella lotta per la libertà del Nicaragua, creandosi, inoltre, un vero incontro tra marxisti e cristiani. Nel settembre 1970, in risposta ad una brutale retata di sedici militanti clandestini e collaboratori (intellettuali, maestri e professori), sacerdoti di diverse congregazioni e studenti dell’Università Centroamericana, inclusi P. Fernando Cardenal e il sacerdote Edgard Parrales -oggi prigioniero dell’orteghismo-, occuparono la cattedrale di Managua e iniziarono uno sciopero della fame. Da allora, l’occupazione di chiese sarebbe stata usata come una risorsa nelle giornate per i diritti dei prigionieri di coscienza.

Daniel Ortega era stato catturato alla fine del 1967, accusato di aver partecipato ad un assalto ad una banca. Nel marzo del 1969 fu condannato da un giuria di coscienza, varie volte interrotta dalle grida di giovani sandinisti, familiari e amici che andarono in tribunale per chiedere un verdetto di innocenza. Donna Lydia Saavedra de Ortega si organizzò con le madri di altri prigionieri e realizzò un lavoro belligerante per la libertà dei suoi figli o per migliorie nelle loro condizioni carcerarie.

I familiari facevano scioperi della fame nelle sedi della Croce Rossa e nelle chiese i cui sacerdoti li appoggiavano. Dal 1970, alle occupazioni di chiese si aggiunsero gli scioperi nelle scuole religiose. Contro le marce, i falò e i picchetti di fronte a chiese e scuole che avevano sospeso le proprie attività o erano occupate da studenti, la dittatura si scagliava con lacrimogeni e gruppi di scontro, integrati da ritirati della Guardia Nazionale (G.N.) e paramilitari -come oggi fa l’orteghismo-, per impedire che si avvicinassero degli abitanti che appoggiavano gli scioperanti.

Attraverso questi scioperi si ottennero importanti vittorie, come quella del 1971, quando la dittatura fu obbligata a liberare più di dieci prigionieri politici, tra cui alcuni dirigenti del FSLN. Nel dicembre del 1972, decine di giovani cristiani si riunirono nella cattedrale di Managua per iniziare un digiuno profetico. Quella giornata per la libertà dei prigionieri di allora fu rimandata dal terremoto che distrusse Managua e fece più di 15.000 morti.

Nel 1973 aumentò la richiesta di libertà a favore di Francisco Ramírez, un ex G.N. condannato a cinque anni per aver consegnato il proprio fucile al FSLN -pena che aveva scontato- e quella del professore salvadoregno Efraín Nortalwalton, detenuto per più di nove mesi senza che fossero stati formulati capi d’accusa. Quella giornata fu uno spartiacque, perché radicalizzò il movimento studentesco. Per la prima volta, i giovani affrontarono le bombe lacrimogene e sfidarono con le pietre la G.N., che li inseguiva fino nei quartieri popolari dove si riunivano gli studenti. La dittatura dovette liberare i due prigionieri.

Con il sequestro di funzionari somozisti, il FSLN realizzò due grandi operazioni di riscatto di prigionieri politici: nel dicembre 1974, quando furono liberati Daniel Ortega e altri sei prigionieri politici, e nell’agosto 1978, riscattando più di cinquanta rei. Ad ambedue le azioni partecipò Hugo Torres e, nella seconda, Dora María Téllez fu la principale negoziatrice. Ora, ambedue gli eroi sono prigionieri del regime orteghista.

Tra il 1977 e il 1978, fu sollevata la bandiera anche per la cessazione dell’isolamento totale di Tomás Borge e Marcio Jáen. Queste giornate furono di massa, dato che allora c’erano una maggiore organizzazione e coscienza popolare.

All’inizio del XXI secolo, in questo continente sembrava che le dittature repressive fossero riferimenti del passato, superati dalle transizioni alla democrazia. Tornando a guardare le strade percorse dal popolo nicaraguense, ci accorgiamo che la vittoria su quella dittatura di più di 40 anni non fu solo il risultato della lotta guerrigliera, ma, prima di tutto, della combinazione di tutte le forme di lotta, che coinvolsero ampi settori del popolo nelle città. Quelle battaglie costarono sangue e sacrifici, ma liberammo il Nicaragua. Nonostante i crimini del somozismo, bisogna riconoscere che c’era un diritto a scendere in strada, a protestare, a fare scioperi e ad essere presenti nei processi. Allora lottavamo con le armi in mano, alcuni furono anche protagonisti di esecuzioni di sbirri, come quello a cui partecipò Daniel Ortega. In cambio, la lotta dei prigionieri di ora è stata civica e pacifica. Come è possibile che la maggioranza siano detenuti solo per aver fatto delle dichiarazioni, come è avvenuto con Edgard Parrales? Alla fine del 2021, nelle carceri orteghiste permangono più di 160 prigionieri politici, alcuni con più di 10 anni, nelle più terribili condizioni in cui uno può immaginarsi, come Marvin Vargas.

Come protagonisti di quelle gesta contro Somoza, ci domandiamo: Perché coloro che subirono persecuzioni e carcere del somozismo negano ai prigionieri politici di ora i più elementari diritti? Come si sono trasformati in boia? Con quale etica possono farsi scudo se erano così umani come tutti quelli che oggi sono incarcerati per le proprie idee? Perché consideravamo crudele l’isolamento dei prigionieri del FSLN e oggi tengono in totale isolamento le dirigenti dell’UNAMOS: Dora María, Ana Margarita, Tamara e Suyén?

Perché negano a madri e familiari il diritto di fare scioperi della fame, come è avvenuto nel dicembre del 2019, quando circondarono la chiesa di Masaya e non fecero entrare nemmeno l’acqua potabile per le madri in sciopero?

Questi e molti altri dubbi ci muovono, dall’esilio, all’impegno di una permanente denuncia, fino a quando recupereremo il diritto a marciare, a protestare, a gridare, come gridiamo di volta in volta: Libertà per le prigioniere politiche! Fine dell’isolamento di Dora María, Suyén, Ana Margarita e Tamara! Libertà per tutti i prigionieri politici e libertà per il Nicaragua!

21 dicembre 2021

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mónica Baltodano, Navidad sin presos políticos” pubblicato il 21-12-2021 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/navidad-sin-presos-politicos/] ultimo accesso 28-12-2021.

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