Intervista al giornalista Raúl Zibechi, coordinatore del libro “Le lotte del popolo mapuche” (Eds. Baladre y Zambra).
“Oggi sarà un giorno storico del modo di agire razzista e terrorista dello stato cileno e del governo del criminale Sebastián Piñera”, manifestava il passato 12 ottobre la Comunità Mapuche Autonoma del territorio di Temucuicui, in risposta allo “Stato d’Emergenza” di 15 giorni decretato dal presidente, che aumenta l’uso delle Forze Armate. Allo stesso tempo si dimostra, secondo la dichiarazione comunitaria “il sonoro fracasso dello stato” e “la mancanza di volontà politica”.
La spiegazione dei meccanismi di repressione figurano, tra gli altri contenuti, nel libro collettivo “Le lotte del popolo mapuche”, coordinato dal giornalista e ricercatore Raúl Zibechi, e dall’antropologo Edgars Martínez. Pubblicato da Coordinación Baladre e Iniciativas Sociales Zambra, all’edizione hanno collaborato Ecologisti in Azione, CGT e il Centro di Documentazione sullo Zapatismo (CEDOZ). Recentemente Baladre e Zambra hanno pubblicato saggi di Zibechi come “I popoli rompono l’accerchiamento. Tempi di collasso”. La seguente intervista è stata effettuata per mezzo della posta elettronica.
-In cosa consistette la cosiddetta Pacificazione dell’Araucanía, dispiegata dallo stato cileno tra il 1861 e il 1883? Che conseguenze ebbe?
Fu un’invasione militare del territorio mapuche la cui autonomia era stata riconosciuta anche dalla Corona spagnola, perché non poterono mai conquistarli né dominarli. Quando ci fu l’indipendenza il Cile era un piccolo paese la cui borghesia cominciò ad espandersi militarmente verso nord e sud, attaccando i popoli originari.
Nel caso del Wall Mapu, le conseguenze furono disastrose per il popolo mapuche: persero la maggior parte delle loro terre, la popolazione si ridusse, come conseguenza del genocidio e della dispersione, si impoverirono e furono confinati in spazzi delimitati dove la sopravvivenza divenne molto difficile.
-Il libro comincia con un riferimento all’assassinio di Camilo Catrillanca, nel novembre del 2018, la conferma della sentenza da parte della Corte Suprema contro sette ex carabinieri per il crimine, nel maggio del 2021, e la repressione nella Comunità di Temucuicui. Che conseguenze ebbe l’assassinio del giovane comunero?
L’assassinio di Camilo fu il momento di maggior espansione del movimento mapuche tra il popolo cileno, molto di più che di fronte a crimini precedenti o di fronte agli scioperi della fame del bicentenario.
Migliaia di cileni, da nord a sud, scesero nelle strade, eressero barricate, fecero suonare le casseruole, in un’inedita dimostrazione di appoggio al popolo mapuche. A Santiago, per esempio, in vari quartieri ci furono per 15 giorni blocchi stradali con incendi. L’importanza di questo sostegno al popolo mapuche lo abbiamo recentemente compreso, per lo meno nel mio caso, quando nella rivolta del 2019 la bandiera mapuche fu quella che sventolò in tutte le manifestazioni, allontanando le altre bandiere, inclusa quella dello Stato del Cile.
-Pensi che la sinistra politica e il movimento sociale cileno si siano fatti carico delle rivendicazioni dei popoli originari?
Per nulla. In questo medesimo momento, una Convenzione Costituente presieduta da una donna mapuche e quando siamo a poche settimane dalle elezioni presidenziali, il governo decreta lo stato d’emergenza e invia soldati e carri armati nel Wall Mapu. La reazione della sinistra è simbolica, quando non dovrebbe essere altro che abbandonare le istituzioni, in questo modo si trasformano in complici della militarizzazione di tutto un popolo.
Ci dovrebbero essere fatti concreti, non solo dichiarazioni. Per la sinistra egemonica il tema mapuche è appena un punto elettorale, la sua popolazione un mucchio di voti, e poco di più. Ma questo non succede solo in Cile, in tutta la regione latinoamericana le sinistre non prendono sul serio i popoli originari. Appoggiare la nomina di una donna mapuche alla guida della Convenzione Costituente, non si armonizza con la passività di fronte alla militarizzazione.
-Nei giornali La Jornada e Desinformémonos hai scritto sui rischi per il movimento mapuche che implica la Convenzione Costituente. Dov’è il pericolo?
Il principale pericolo, come stiamo vedendo, è lo svuotamento del movimento popolare che sbanda verso le istituzioni e abbandona la strada e l’organizzazione autonoma. Lo fa perché crede che con una buona Costituzione e un governo progressista, le cose cambieranno. Nonostante ciò, non vogliono vedere che le precedenti esperienze nella regione ci insegnano che il modello di saccheggio è ancora in piedi e aumenta, che la militarizzazione continua, che la violenza contro i popoli e contro le donne non si riesce a frenare.
Insomma, il pericolo è l’isolamento dei popoli e di quelle e quelli che lottano, da parte di governi che appena mostrano un discorso -e solo un discorso- differente da quello della destra, senza cambiamenti strutturali e con politiche sociali che non risolvono la povertà ma la alleviano per un certo tempo.
-Il 12 ottobre il presidente Piñera ha decretato lo Stato d’Emergenza nel Wallmapu. Che meccanismi di repressione utilizza abitualmente lo Stato del Cile contro le comunità e le organizzazioni?
Dalla repressione dura e pura fino alle montature giudiziarie per criminalizzare le comunità ribelli, passando per il sequestro di persone, l’invasione armata dei lof per intimidire e far indietreggiare la lotta. Si armano anche civili per attaccare le comunità, usando tutta la gamma delle misure della controinsurrezione. Si militarizza il Wall Mapu perché c’è una tremenda crescita dei recuperi delle terre, che in un anno si sono moltiplicati per quattro o cinque, in un processo inarrestabile. Quello che sta facendo lo Stato del Cile, è usare il terrorismo per continuare a sottomette un popolo che si solleva.
-Si possono citare degli esempi di settori economici e di imprese beneficiarie dell’accumulazione per saccheggio nei territori mapuche?
In particolare, le grandi imprese forestali, gruppi imprenditoriali molto potenti che fecero i loro affari d’oro durante la dittatura di Pinochet. Queste imprese invasero il territorio mapuche con piantagioni di pini, al punto che giungi in un lof e ti trovi con le comunità che sono strette tra i pini e non hanno terra sufficiente per vivere. Queste piantagioni hanno soppiantato gli alberi nativi, sovrasfruttano l’acqua e la terra, e il legname è un pagamento in contanti per esportarlo al nord, in genere in vari paesi dell’Asia.
A questo devono aggiungersi le grandi opere di infrastruttura, in particolare quelle idroelettriche, le monocolture di salmoni che contaminano l’oceano e pongo ostacoli alle comunità di pesca.
-Il libro collettivo dedica un capitolo agli scioperi della fame dei prigionieri politici, per esempio quello portato a termine dal machi Celestino Córdova. Perché è importante questa forma di lotta?
Gli scioperi della fame sono stati un modo di far conoscere la resistenza dei prigionieri mapuche, di rendere visibile la criminalizzazione e le montature giudiziarie e di richiedere solidarietà tra lo stesso popolo mapuche, gli altri popoli originari e i cileni e le cilene in basso. A mio modo di vedere, gli scioperi della fame sono stati fondamentali in questo lungo processo di rottura dell’accerchiamento informativo, che finalmente si è ottenuto, perché il popolo mapuche è un simbolo di dignità e resistenza molto potente nel sud di questo continente.
-Da ultimo, consideri che ci sia qualche relazione tra le resistenze zapatista e mapuche?
Quello che esiste è una potente eco delle dignità ribelli. Non si tratta del fatto se ci siano legami organici o relazioni politiche. Sappiamo che l’EZLN ha assunto la parola d’ordine mapuche “Marichiwew” (cento volte vinceremo), e che tra le organizzazioni mapuche c’è molto interesse per quello che succede in Chiapas.
Ma la cosa più importante è l’eco di dignità, di ribellioni in resistenza, della caparbia volontà di andare avanti nonostante tutte le repressioni,, siano della destra o della sinistra, perché in Cile è stata la progressista Bachelet una di quelle che ha applicato la legge antiterrorismo durante il proprio governo, contro il popolo mapuche.
Foto: collettivo Manifiesto; pubblicata nella rivista La Tinta
16/10/2021
Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Enric Llopis, “El Estado de Chile usa el terrorismo para seguir sometiendo al pueblo mapuche” pubblicato il 16-10-2021 in Rebelión, su [https://rebelion.org/el-estado-de-chile-usa-el-terrorismo-para-seguir-sometiendo-al-pueblo-mapuche/] ultimo accesso 25-10-2021. |