Elezione del 7 novembre in Nicaragua, “non arriva neppure ad essere una mascherata, è tutto un circo”


Vinicio Chacón

Mónica Baltodano, ex comandante della rivoluzione sandinista e attivista rifugiata in Costa Rica, ha riconosciuto che non si intravede “un cammino chiaro” per superare la dittatura di Daniel Ortega e Rosario Murillo.

Con franchezza ammette l’incertezza sul futuro del suo paese. Nonostante ciò, a modo suo e secondo le sue possibilità, Mónica Baltodano partecipa con convinzione dall’Articolazione dei Movimenti Sociali della resistenza contro la dittatura di Daniel Ortega e Rosario Murillo.

La Baltodano non fu solo comandante guerrigliera nel conflitto armato che terminò con l’abbattimento di Anastasio Somoza, ma giunse ad essere deputata sotto la bandiera sandinista alla fine degli anni 90, quando finì con il disilludersi verso tutto il progetto politico a seguito degli accordi a cui Ortega giunse con il destrorso Arnoldo Alemán.

Nell’agosto del 2018, pochi mesi dopo l’ampia insurrezione che il regime di Ortega placò violentemente, offrì un’intervista alla UNIVERSIDAD nella quale analizzò gli stratagemmi mediante i quali Ortega ha cercato di perpetuarsi al potere e la corruzione degli ideali sandinisti.

Ora, tre anni dopo, la Baltodano si trova in Costa Rica in qualità di rifugiata, e di nuovo ha ripassato l’attuale situazione del suo paese, a poche settimane da un processo presuntamente elettorale portato a termine dal regime, di fronte al quale ha scagliato una repressione che ha portato in carcere attivisti dell’opposizione, incluse candidate alla Presidenza.

Tre anni fa ha dichiarato che “questo fervore della sollevazione è stato risolto dall’orteghismo con uno spargimento di sangue che lontano dal risolvere politicamente il suo dilemma ha significato la sconfitta strategica di Ortega”. Da allora sembrerebbe che si è piuttosto consolidato al potere.

– L’orteghismo, come forza che cerca di conseguire l’egemonia, realmente è stato sconfitto. Quello che succede è che a partire dalla sollevazione e da quello che è successo successivamente, mantiene il controllo del potere in modo assoluto esclusivamente con la forza delle armi e il controllo che lui esercita sulle istituzioni. Nonostante ciò, ha perso completamente la possibilità di avere la maggioranza dentro la società, e realmente c’è un rifiuto da parte della maggioranza. Pertanto, ha subito anche una sconfitta dal punto di vista dell’opinione pubblica internazionale.

Sul piano internazionale è molto generalizzata questa opinione negativa, ma debilita in qualche modo il regime?

– La comunità internazionale non ha ancora trovato un modo per essere efficace contro l’orteghismo. Organismi finanziari internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM) e, particolarmente, la Banca Centroamericana di Integrazione Economica (BCIE) continuano ad appoggiarlo con risorse per il suo funzionamento e, soprattutto, per la sua stabilità macroeconomica.

In questo senso, la dittatura continua a funzionare con qualche efficienza a livello nazionale e può pagare la polizia, che ha aumentato di numero, in armamento e nella capacità di comunicazioni. Non solo nella polizia, ma anche nell’esercito.

Come dicevo, lui si sostiene sulla base delle armi, in un modo tale che con ancora il controllo assoluto del Consiglio Supremo Elettorale (CSE) -con una riforma all’inizio dell’anno ha aumentato il proprio controllo sulle organizzazioni politiche e, soprattutto, sul processo elettorale- non ha potuto rischiare di realizzare delle elezioni e ha dovuto mettere in prigione tutti i candidati.

Questo dimostra realmente il suo controllo del potere, che manterrà a partire dal 7 novembre con la presunta rielezione -che è come un avvitamento nel potere a partire dalla frode elettorale, dalle menzogne e dall’inganno-, il suo prolungamento al governo sarà di una grande fragilità, perché con tutto quello che è successo ultimamente il rifiuto internazionale è enorme e praticamente lui è prigioniero dentro il territorio nazionale; non può uscire da nessuna parte con nessuna solvibilità o sicurezza, né lui né la sua famiglia.

Menziona che il regime si sta sostenendo fondamentalmente con capitale straniero proveniente da organismi finanziari, ed è chiaro il ruolo della polizia. Quali altri settori della società nicaraguense appoggiano in questo momento il regime?

– Ci sono settori della gerarchia evangelica che hanno espresso chiaramente il loro sostegno e hanno cercato di approfittare delle contraddizioni con la chiesa cattolica per rafforzarsi e ricevere un maggiore sostegno istituzionale attraverso il bilancio.

La conferenza episcopale ha mantenuto una posizione sommamente critica, sono passati, dal 2019, ad una specie di osservazione abbastanza silenziosa, salvo alcuni sacerdoti o vescovi che tengono una posizione molto più belligerante, come il vescovo Álvarez a Matagalpa.

Lo stesso è successo con il grande capitale, dall’avere un atteggiamento belligerante dentro l’alleanza civica, è passato nell’ultima fase, come risultato degli stessi colpi repressivi, ad un mutismo assoluto. Sono preoccupatissimi per i loro affari e per la stabilità delle loro entrate. È un silenzio che non contribuisce a nulla. Per esempio, di fronte a questa ultima ondata repressiva non hanno detto una sola parola, nonostante che tra i prigionieri ci sia chi è stato il loro principale dirigente per più di dieci anni, José Adán Aguerri, non hanno nemmeno fatto riferimento alla detenzione di altri impresari o dirigenti di banca, come il direttore generale del Banpro (Gruppo Promérica), ma nemmeno hanno detto assolutamente nulla di fronte al processo elettorale.

C’è un silenzio risultante anche dai brutali livelli della repressione, la gente sta zitta e settori, che prima parlavano, stanno zitti per timore che gli invadano le proprietà, per timore che gli congelino i conti bancari, che è quello che sta facendo il regime.

In questi ultimi mesi si è scatenata la repressione contro possibili candidati e una quantità di persone che sono state arrestate. Com’è la situazione delle persone prigioniere politiche?

– Dopo le pressioni internazionali e gli accordi adottati nell’ambito del dialogo nazionale, nel giungo del 2019 furono liberati circa 700 prigionieri politici. Dopo, incominciò a praticare quella che si chiama la porta girevole, come dire, catturano cento, liberano 80, rimangono 20. Dopo, altri 50 detenzioni, 40 liberati, rimangono dieci. Ad ogni ondata di cattura rimane detenuta una quantità di prigionieri fino a completare a giugno di quest’anno più o meno circa 130 prigionieri politici. Bisognerebbe includere quelli prima del 2018, i quali sono dieci.

In quelle date è iniziata una brutale ondata dove, come si sa, già ci sono più di 25 prigionieri, la maggioranza candidati alla Presidenza, dirigenti nazionali di organizzazioni e perfino eroi della Rivoluzione, il caso di Dora María Téllez e Hugo Torres.

La differenza è che sono rimasti detenuti 90 giorni solo nel processo d’indagine per potergli formulare dei capi d’accusa, durante i quali non hanno avuto contatto nemmeno con i loro avvocati, e sono stati in condizioni carcerarie di isolamento brutali. Ora sappiamo che sono stati anche con poco cibo, alcuni anche assolutamente senza alcun tipo di contatto con nessuno, come il caso di Dora María Téllez, senza poter avere né una rivista, una matita, né un foglio, in condizioni che dal punto di vista degli accordi internazionali dei diritti umani sono considerate come tortura, come l’oscurità o luce eccessiva tutto il giorno e la notte, che sono forme di tortura più sofisticata.

D’altra parte, hanno aumentato in modo esponenziale il proprio racconto, che tutto è un piano dell’imperialismo nordamericano contro una rivoluzione, che di rivoluzione non ha nulla, è un governo che non ha assolutamente nulla di rivoluzionario, di sinistra, ma utilizza questo discorso per ingannare alcuni che ancora rimangono, che sono le sinistre conservatrici del mondo.

Recentemente in Costa Rica è avvenuto un fatto molto grave, l’attentato contro la vita dell’attivista dell’opposizione Joao Maldonado. C’è qualche dubbio da parte sua che si sia trattato di un’azione del regime?

– Non ne posso avere un’assoluta sicurezza fino a quando non concluderanno le indagini, che spero le autorità della Costa Rica effettueranno nel modo più approfondito possibile. Ma sono convinta che la mano degli organi repressivi del regime di Ortega può giungere al di là della frontiera, tra i rifugiati e i migranti non devono mancare questi agenti che sappiano che vanno là. Per questo, è importante per tutti i rifugiati mantenere la prudenza, le misure di sicurezza e aver chiaro che la repressione può anche giungere anche là.

Ovviamente sentiamo da parte della società costaricense -e lo dico come recentemente accolta con richiesta di rifugio-, la solidarietà dei diversi attori della Costa Rica e la posizione del governo è stata chiara, così come è stata stabilita nel discorso del Presidente alle Nazioni Unite.

Che significa questo processo elettorale del 7 novembre per la resistenza nicaraguense in queste condizioni?

– C’erano settori che puntavano alla partecipazione, anche dopo la riforma della Legge Elettorale che ha indurito le condizioni per l’opposizione e che già presagiva che quello che ci sarebbe stato era una farsa. Nonostante ciò, il regime con queste catture ha praticamente finito con il rendere illegali tutti gli altri partiti, inclusi quelli disposti a partecipare e, in qualche modo, a legittimarlo.

Noi settori dell’Articolazione dei Movimenti Sociali pensiamo che la partecipazione a queste condizioni è legittimare il regime.

Quello che ci sarà è un circo, tutta una farsa peggiore di quello che faceva Somoza, che per lo meno dette all’opposizione i famosi accordi di minoranze congelate. Questo che avverrà ora è peggiore di queste farse elettorali di Somoza.

Credo che il regime stia cercando di guadagnare tempo, perché sanno che questo circo non gli darà nessuna legittimità e che, al contrario, permetterà a tutta la comunità internazionale di poter serrare le fila per rifiutarlo come illegittimo.

Nonostante ciò, credo che puntino ancora sul sostegno della Russia e a che, la politica della Cina di “non immischiarsi”, gli darà un po’ di ossigeno. Ma quello che succederà il 7 novembre non giunge nemmeno ad essere una mascherata, è tutto un circo. Per questo, l’Articolazione dei Movimenti Sociali ha fatto appello allo sciopero elettorale: che il 7 novembre la gente rimanga a casa sua, che sia evidente la non partecipazione, il silenzio nelle strade e che sia solo la minima forza che ancora lo sostiene quella che vada affinché non rimangano dubbi; come dire, uno sciopero elettorale che paralizzi completamente la mobilitazione cittadina nelle strade e che sia evidente il ripudio della cittadinanza di questa farsa.

Una volta che avverrà questa “farsa elettorale”, quale sarà il modo di concretizzare che effettivamente questo appoggio internazionale che sostiene il regime smetta di farlo?

– Dobbiamo dire con tutta franchezza che la diagnosi di quello che sta succedendo non ci permette di definire o affermare con assoluta chiarezza quale sia il cammino, che succederà in Nicaragua o come uscirà il popolo da questa dittatura.

In altre epoche di dittature sanguinose in America Latina avevamo chiaro il cammino della lotta armata. Nonostante ciò, ora le porte della lotta armata sono state chiuse dalla stessa cittadinanza che dice “non ci ha portato a niente” un germe rivoluzionario dal quale ha finito con il sorgere un albero marcio, come quello di Ortega.

La sollevazione popolare richiede la presenza dei dirigenti e la maggioranza sono prigionieri o in esilio, e tutte le reti che eravamo riusciti a costruire sono colpite dalla repressione.

Siamo assolutamente sicuri che devono venire ondate di nuove forme di resistenza che proverranno dalla stessa creatività popolare e che riusciremo ad uscire principalmente con lo sforzo dei nicaraguensi, perché puntare sul fatto che la comunità internazionale ci risolverà credo che sia realmente una scommessa sbagliata. Siamo noi stessi nicaraguensi quelli che dobbiamo risolvere, chiaro con la solidarietà internazionale, con la solidarietà morale, con l’appoggio delle organizzazioni internazionali, sì, chiedendo il rispetto dei diritti umani e la libertà dei prigionieri politici.

Ma che via d’uscita intravedo? So solo delle possibilità che ha la resistenza popolare, che deve passare un periodo, per accumulare le forze, per essere protagoniste di nuove sollevazioni, questa volta con un orizzonte molto più chiaro, con una leadership molto più definita affinché l’energia popolare non si disperda come in qualche modo è successo nella sollevazione del 2018, ma un cammino così chiaro non lo abbiamo.

28 settembre 2021

Semanario Universidad

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Vinicio Chacón, Elección del 7 de noviembre en Nicaragua no llega ni siquiera a mascarada, es un total circo pubblicato il 28-09-2021 in Semanario Universidad, su [https://semanariouniversidad.com/mundo/eleccion-del-7-de-noviembre-en-nicaragua-no-llega-ni-siquiera-a-mascarada-es-un-total-circo/] ultimo accesso 19-10-2021.

, , ,

I commenti sono stati disattivati.