Che succede in Nicaragua?


Rosella Simone

Cosa sta succedendo in Nicaragua? È successo che, di fronte alla tenace resistenza popolare, il regime ha buttato la maschera “socialista, cristiana, solidaria”, lo slogan con cui dal 2006 aveva tappezzato il paese, e si è manifestato per quello che è: una dittatura familiare abbarbicata al potere come cozze allo scoglio. Da quando ha riconquistato il potere alle elezioni presidenziali del 2006 Daniel Ortega ha trasformato il FSLN in un partito verticale, cambiando le leggi per consentire la sua rielezione perpetua e spartendo il bottino statale tra famiglia e famigli, compresi i proventi della generosa offerta del petrolio venezuelano.

Il Nicaragua è un piccolo paese, la sua gente è orgogliosa, fiera di essere stata capace negli anni Settanta di cacciare con le sue sole forze un dittatore spietato come Anastasio Somoza. È anche un popolo paziente ma non si lascia abbindolare per sempre e Daniel Ortega ha spezzato il patto di fiducia con la sua gente il 18 aprile 2018, quando le donne e gli uomini del Nicaragua sono scesi in piazza disarmati contro il presidente Daniel Ortega e la moglie Rosario Murillo, dal 2007 nominata portavoce e vicepresidente. Le scintille che avevano incendiato nel 2018 la prateria di un malcontento diffuso erano state la riforma delle pensioni e la lentezza sospetta con cui il governo aveva reagito all’incendio doloso che ha quasi distrutto la riserva di biosfera Indio-Mais sulla costa Atlantica. Sono stati gli studenti di Leon a scendere in piazza quando la “turba” della gioventù sandinista ha attaccato il corteo dei pensionati in protesta a Leon; sono stati gli studenti di Managua e Rivas ad occupare le università per denunciare l’arroganza del regime sono stati il loro coraggio e i loro corpi straziati dalla polizia orteguista a far perdere la pazienza a tutti il Paese; è stata la loro creatività a cadenzare le manifestazioni e sono stati sempre loro a lanciare lo slogan “il cellulare è la mia arma” che ha trasformare tutti i nicaraguensi dai monti ai mari, giovani e vecchi, in video-attivisti. Sono stati i campesinos di Matagalpa minacciati e vessati dal governo insieme a  quelli della costa Atlantica cui il governo stava espropriando le terre per la chimera del “canal interconental”. Sono state le femministe a ribellarsi alla legge che punisce persino l’aborto terapeutico e alla legge 779, l’oscena legge che prevede una “mediazione economica” nei casi di violenza sulle donne ed erano state sempre loro a denunciare, nel 1998, Daniel Ortega per aver abusato della figliastra Zoilamerica per ben 10 anni. Sono state soprattutto le donne di età diverse e differenti appartenenze politiche a finire in carcere per un “bisogno di libertà che in Nicaragua oggi si antepone a qualsiasi differenza ideologica”, scrive su El Pais Ariel Leon.

A quella che nel 2018 era nata come spontanea reazione popolare, il governo Ortega-Murillo aveva risposto con centinaia di arresti, decine di morti, decine di migliaia di esiliati, mettendo un paese intero sotto assedio controllato sotto la minaccia dei corpi paramilitari con licenza di uccidere e dalla gioventù sandinista trasformata in una sorta di guardia personale di Ortega. Da allora non c’è conciliazione possibile tra i nicaraguensi e Ortega, traditore della sua gente e i suoi stessi ideali.

Sta succedendo che in vista delle nuove elezioni presidenziali, fissate per il 7 novembre, Ortega sente il suo potere vacillare e tratta il paese come un formicaio da disperdere sferrando colpi a destra e manca nella speranza di allontanare la resa dei conti. La repressione a tutto campo iniziata il 18 aprile 2018 contro studenti, donne, campesinos, imprenditori, religiosi non è riuscita a spegnere la rabbia popolare e allora Ortega sfodera gli artigli, colpisce indiscriminatamente contando sulla indifferenza della comunità internazionale e di una sinistra mondiale troppo pigra per andare oltre i ricordi eroici di una rivoluzione sandinista morta e sepolta. Ortega grida al golpe di stato, denuncia finanziamenti stranieri, accusa gli studenti in lotta di essere nemici della patria in nome di una rivoluzione rinnegata nei fatti e di cui si dichiara l’unico legittimo rappresentante, come se quel tempo si fosse consustanziato nel suo corpo, il corpo del capo. Tragica e anche un po’ ridicola fine di un rivoluzionario, asserragliato nella sua residenza nel cuore di Managua, El Carmen, a biascicare assurde accuse di complotto, circondato da cortigiani servili e interessati e dalla più esaltata dei suoi adulatori, Rosario Murillo, sua moglie, che ogni giorno, da anni, ammorba con le sue litanie esoteriche una nazione ridotta alla fame.

Per scongiurare le ormai prossime elezioni non si è fermato davanti a niente, ha cambiato le leggi elettorali, ha nominato al Consiglio supremo elettorale solo militanti fidati dell’FSLN, ha privato di personalità giuridica il Partito della restaurazione nazionale (PRD), ha fatto perquisire e chiudere tutti o quasi i media non legittimisti e arrestare la candidata alla presidenza Cristiana Chamorro, accusandola del reato di riciclaggio durante la sua gestione come direttrice della Fondazione Violeta Barrios de Chamorro (FVBCH) – madre di Cristiana e presidenta del Nicaragua nel 1990 al ‘97. Sono stati sentiti dal pubblico ministero più di trenta giornalisti, direttori e rappresentanti legali di mezzi di informazione, lavoratori e rappresentanti di organizzazioni che hanno ricevuto qualche forma di appoggio dalla FVBCH. Tra questi lo scrittore Sergio Ramirez e l’ex candidato alla presidenza della Repubblica nonché direttore di Radio Corporación, Fabio Gadea. Ha aperto provvedimenti giudiziari nei confronti del candidato alle presidenziali per il Partito Cittadini per la Libertà Arturo Cruz per “forti indizi di aver attentato contro la società nicaraguense e i diritti del popolo”. Ha fatto arrestare il presidente dell’Unità Azzurra e Bianca (UNAB) Félix Maradiaga, José Adán Aguirre dirigente di Alleanza Civica e ex presidente del Consiglio superiore dell’impresa privata (COSEP) nonché il candidato alle presidenziali per Cittadini per la Libertà, Juan Sebastián Chamorro ex direttore del quotidiano la Prensa, Violeta Granera dirigente di UNAB, José Pallais dirigente della Coalizione Nazionale, Tamara Dávila membro della giunta direttiva del partito politico UNAMOS (Uniamo) e del consiglio politico di UN. E infine ha fatto arrestare Ugo Torres e Dora Maria Téllez, la memoria storica stessa di quella rivoluzione che si rifaceva al generale degli uomini liberi, Augusto Cesar Sandino.

Dora Maria Téllez rispondeva a un’intervista al quotidiano messicano La Jornada nel tentativo di smuovere il presidente Andrès Manuel Lòpez Obrador, che si dichiara di sinistra, affinché votasse alla assemblea della OEA la condanna della repressione in atto in Nicaragua (Obrador al dunque, come Ponzio Pilato, si è prudentemente astenuto dal votare contro Ortega insieme all’Argentina).

Subito dopo l’intervista è stata arrestata e accusata di tradimento come tutti i politici di destra di sinistra e di centro che non sono con la coppia Ortega-Murillo. Dora Maria, la “comandante 2” che negli  anni Settanta al comando del Fronte occidentale aveva guidato la presa di Leon, la seconda città del Nicaragua, nella rivolta contro Somoza, non ha certo peli sulla lingua.

Nell’intervista rilasciata al giornale e pubblicata il giorno stesso in cui veniva arrestata in Nicaragua, Dora Maria aveva detto al giornalista J.Jaime Hernandez: “Ortega ha scatenato una battuta di caccia e repressione per arrivare ad annullare le elezioni presidenziali fissate per il 7 novembre. Dal 1995 avvertivamo che Ortega stava compiendo tutti i passi per impossessarsi del Fronte sandinista e, dal 2007, per impadronirsi del potere e non abbandonarlo più. Ortega che non ha solo tradito il Fronte sandinista, lo ha completamente distrutto proprio per aver esercitato una dittatura spietata contro il popolo nicaraguense”.

Ed è sulla base di queste chiare convinzioni che Dora Maria e altri combattenti sandinisti degli anni Settanta hanno messo, ancora una volta, il loro corpo a rischio per smascherare la protervia di un altro dittatore. Perché anche le guerre senza armi come quella che da due anni si combatte in Nicaragua si fanno con i corpi, esponendoli nudi e fragili al rischio della prigione, delle torture e anche della morte per aprire squarci di libertà, per non soccombere al pavido opportunistico silenzio dei sudditi. Con lo stesso spirito di quando, nel 1978 a soli 22 anni, Dora Maria aveva rischiato la vita per occupare il Palazzo nazionale e aprire così la strada al Trionfo del 1979, ha dichiarato al giornalista: “Non mi sento tradita da Ortega, non ho combattuto, né mi sono unita al Fronte sandinista per Ortega ma per abbattere la dittatura di Somoza e per un cambio rivoluzionario in Nicaragua. Ortega non vuole elezioni libere in Nicaragua e perseguita candidati, giornalisti, imprenditori, sacerdoti cattolici, studenti, femministe, campesinos. La nostra opzione e quella della stragrande maggioranza dei cittadini in Nicaragua è affrontare la dittatura Ortega-Murillo attraverso una lotta civica pacifica. Dobbiamo porre fine al ciclo delle guerre civili e delle dittature. Non possiamo permettere che questo ciclo continui a scapito di una generazione di giovani. La nostra generazione ha pagato un prezzo molto alto e sappiamo quanto sia stato duro”.

Ortega accusa lei e tutti gli oppositori di tradimento della patria perché nella costruzione della sua mitologia, Ortega come i re del medioevo, identifica se stesso con lo stato, un delirio caudillista che è duro a morire in Centro America e l’escalation della forza è ormai l’unica possibilità che gli resta.

Per la coppia Ortega-Murillo tutti gli ex compagni che chiedono elezioni giuste altro non sono che traditori, da Maria Dora Téllez a Victor Hugo Tinoco ex consigliere del suo governo a Ugo Torres. Quel Torres che, nel 1974, aveva rischiato la pelle, insieme ad altri sedici uomini e donne della resistenza, nell’assalto alla residenza del ministro somozista José Maria Castillo, per  sequestrare alcuni funzionari governativi e chiedere in cambio del loro rilascio la liberazione dei prigionieri politici, tra questi anche un giovane Daniel Ortega chiuso nelle carceri somoziste da sette anni e che poi si era rifugiato in Costa Rica a dirigere dall’esilio insieme ad altri la guerrilla in Nicaragua.

Triste parabola di un ex comandante guerrillero al potere avvelenato dalla sua stessa gloria, divorato dall’ansia di concentrare su di sé tutta la memoria di una rivoluzione che lui stesso ha tradito. Una parabola che purtroppo non vale solo per il Nicaragua e che pone un quesito a tutta la sinistra romantica a parole e opportunista di fatto, che non osa prendere posizioni su quello che sta succedendo in Nicaragua e neanche vuole informarsi.

Certo, dentro i movimenti di opposizione al regime di Ortega possono giocare molti fattori, molti interessi e opportunismi interni e internazionali ma a noi spetta il compito di non lasciare solo quel popolo stanco e fiero. A noi il dovere, almeno, di cercare di capire quali passaggi hanno trasformato un movimento guerrillero in un partito al potere e un rivoluzionario in un despota. Affrontare la questione della tossicità del potere, piccolo e grande che sia, che a me pare stia avvelenando gran parte della sinistra mondiale. Una sinistra che da tempo si è identificata con la classe dirigente, così lontana ormai dalla realtà della gente comune da pensarsi onnipotente dispensatrice di doni e finire con il credere, come Ortega, di poter rabbonire la voglia di giustizia di un popolo regalando ai “poveri” qualche lamina di zinco con cui ricoprire i tetti. Di soddisfare la fame di conoscenza dei giovani offrendo, come Ortega, una scuola gratuita che non insegna, pensando che basti una propaganda ben orchestrata e il possesso dei tutti i mezzi di comunicazione per tacitare il malcontento.

“De que se van, se van”, è la voce quasi unanime che si leva in Nicaragua e credo che ce la faranno a scavallare la “famiglia regnante” ma quanto dolore e sangue dovrà ancora essere consumato? E per quanto ancora noi, popolo di sinistra, resteremo indifferente per proteggere i ricordi della nostra giovinezza e una ideologia tradita da quelli stessi che la sbandierano?

Immagine in apertura: Chepón Robelo y Dora María Téllez – Insurrección de León, Nicaragua, giugno 1979

28 giugno 2021

Effimera

Rosella Simone, Che succede in Nicaragua? pubblicato il 28-06-2021 in Effimera, su [http://effimera.org/che-succede-in-nicaragua-di-rosella-simone/] ultimo accesso 30-07-2021.

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