Pubblichiamo questa interessante intervista a Nathalia, fotografa ed attivista femminista di base a Bogotà su quanto sta succedendo in Colombia, sul processo che ha portato allo sciopero generale, sulle nuove composizioni e nuove pratiche che si sono viste nelle piazze e sulla violenza di Stato, paramilitari e narco. Ringraziamo Cappi per la traduzione.
Lo sciopero nazionale, convocato dai vari settori sindacali e spazi, ha avuto tempi di organizzazione lunghi, che poi sono quelli dei partiti politici dell’opposizione al regime, e parlo di regime: noi colombiani e colombiane siamo stanchi dell’Uribismo che è un regime legato al narcotraffico e al modello Gamonal, un modello che si potrebbe tradurre con espropriazione e impoverimento della terra, dei contadini e delle comunità afro e indigene in vari punti del paese, dove domina questo tipo di sfruttamento della fame e della povertà e che si è configurato con l’Uribismo in modo velato, e neanche così tanto velato. La particolarità di questo sciopero generale si rivela nel livello di repressione esacerbata che stiamo vivendo. Quello che succede oggi nelle città come ad esempio gli omicidi compiuti da poliziotti in borghese con accanto poliziotti in uniforme assomiglia a ciò che è successo nella campagna colombiana dieci anni fa, e prima di allora nei primi due periodi del governo Uribe. Per noi è chiaro che Duque Marquez, il presidente attuale, stia facendo la stessa cosa di Uribe secondo questa logica di presidenzialismo reiterato, che è anche illegittimo perché nelle ultime elezioni sappiamo che c’è stata una manipolazione e frode elettorale, sappiamo che dietro tutto questo c’è l’ex presidente e di fatto anche ex senatore; se c’è qualcosa di positivo di quest’ultimo periodo è che le indagini che sono state svolte contro di lui lo hanno destituito dall’incarico di senatore, diciamo che nel panorama politico sono successe cose che hanno indebolito l’immagine dell’Uribismo e hanno fatto sì che la gente che si sentiva rappresentata da questa persona così carismatica, oggi non è più a suo favore.
E così è iniziata: dallo sciopero generale c’è stata una reazione popolare e sociale contro una riforma tributaria proposta da Ivan Duque Marquez e che doveva essere appoggiata dal congresso, perché il congresso in Colombia ha una maggioranza di uribismo e simpatizzanti. Con questa riforma è diventato palese l’attacco alle classi meno abbienti e le classi che si sono più impoverite. Il risultato della pandemia è che l’economia colombiana si è indebolita. Chiaro, questo lavoro illecito conosciuto in tutto il mondo, il narcotraffico, diciamo che ha prodotto quest’economia illegale, ma ha anche prodotto e generato un livello alto di ricchezza, concentrata nelle mani di chi sta dietro questi affari illegali. Ma l’economia formale, diciamo quella delle imprese e dei lavori statali, siccome la capacità di generare lavoro non è così alta, queste classi si sono impoverite, le stesse classi medie e quelle “emergenti” (persone che appartenevano a famiglie povere ma che hanno fatto sì che i loro figli avessero diritto all’educazione) sono state molto colpite dalla mala gestione della pandemia mondiale perché in questi due anni quasi di lockdown a causa del Covid il governo Duque Marquez ha dato priorità alle spese per gli armamenti e ha concesso benefici economici altissimi ai banchieri del paese.
Quindi, nella riforma, è molto chiaro che queste tasse hanno colpito duramente persino le classi medie e medio-basse, perché sono tasse che non vanno a migliorare la qualità della vita della gente. Una delle proposte della riforma è che ci siano meno restrizioni per creare “peajes” in qualsiasi luogo del paese e che sono i peajes? Sono forme di tributi per l’utilizzo e per la connessione tra certi punti. Da dove viene quest’idea di creare peajes in Colombia? Siccome riguarda capitali privati, dietro questi controlli delle vie terrestri, quindi, ci sono gli stessi padroni del paese, gli stessi banchieri che hanno ricevuto benefici ingenti dal governo Duque, si favoriscono tra loro, e sono pochissime famiglie ma la maggior parte della popolazione colombiana viene sottomessa a livello economico, e questo genera malcontento nazionale, come dicevo all’inizio, un malcontento che si è manifestato per primo con forme organizzative diverse, che si uniscono e sono d’opposizione ma non necessariamente sono quelli che rappresentano il malcontento popolare perché in Colombia c’è una certa diffidenza per queste forme politiche, siano o meno d’opposizione, che hanno utilizzato anche le richieste popolari per i propri benefici. In Colombia si può vedere che la quantità di gente che va a votare non è rappresentativa dei partiti politici perché ci sono molti casi di corruzione, in cui questi partiti d’opposizione hanno rubato soldi allo stato; quindi viene fuori da un lato la proposta di un grande sciopero nazionale che era il 28 aprile da parte di questi settori, ma l’insoddisfazione non solo in città, ma proprio a livello generale in tutto il paese è già così tanta che questo sciopero ha significato riprendersi le strade, perché prima che si entrasse in lockdown il 21 Novembre 2019 in Colombia già era attivo un processo di mobilitazione costante e forte dovuto al malcontento sociale ormai difficile da tenere a bada nonostante la repressione. Questo sciopero del 28 Aprile in cui si invogliava la gente in strada per protestare contro la riforma alla fine ha messo in risalto l’inconformità sociale per differenti ragioni, ed è particolare questo sciopero che oggi continua a rafforzarsi, sono le ragioni di classe che lo rendono importante perché chi si sta riprendendosi i quartieri, facendo le barricate, mettendo in pratica processi di difesa dei territori, ha creato le “primeras lineas”, riprendendo l’esempio delle mobilitazioni del 2019 in Cile; questa forte composizione popolare di gente che vive il quartiere e che ha sempre vissuto alle spalle dello stato è quella che aumenta sempre di più.
Questo è più o meno il contesto del perché si é indetto uno sciopero nazionale contro una riforma fiscale e di come questo sia diventato un processo di rivolta popolare, come se fosse esploso tutto insieme il malcontento che non era potuto venire fuori, perché la Colombia è un paese abbastanza colpito a livello di violenza: non c’è mai stato un processo presidenziale che potesse considerarsi di sinistra poiché qui ha sempre governato la destra e l’estrema destra, ma, a parte questo, siamo nel bel mezzo di questi conflitti legati al narcotraffico e l’illegalità, il paramilitarismo intensificato, abbiamo firmato gli accordi di pace ma con questo governo Duque Marquez è saltato l’accordo. Sono moltissime le persone firmatarie dell’accordo e militanti delle FARC che sono state assassinate.
Quindi in un contesto di sfinimento da parte dei cittadini e delle cittadine in Colombia da questa chiamata allo sciopero con obiettivi specifici la questione si amplia con uno slogan che comprenda tutti, perché c’è tanta gente e settori diversi concentrati nelle strade ma c’è qualcosa in cui tutti ci sentiamo identificati, la stanchezza verso l’uribismo e verso il sapere che dietro tutta la repressione che abbiamo subito c’è Alvaro Uribe, per questo abbiamo uno slogan che è “Chi ha dato l’ordine?”. Siamo un paese che ha avuto diverse forme di violenza di stato contro la popolazione: i falsi positivi, le sparizioni, la violenza dentro questo sciopero… Sappiamo che dietro tutto questo c’è Alvaro Uribe e non è automatico per noi capire che lui oggi, pur non essendo senatore e stando fuori dal congresso, dal suo account Twitter nella sua tenuta ogni giorno si sveglia e scrive una frase, e questa frase prima o poi si traduce in una dichiarazione di Ivan Duque Marquez; per esempio: Alvaro Uribe da Twitter chiede che si militarizzi il paese, l’espressione della violenza che mostri uno stato forte e che converta i civili in difensori che appoggiano la violenza di stato, a partire dalla partecipazione di civili armati per strada a controllare. Dopo alcuni minuti che lui scrive così viene organizzato un attacco contro una delle organizzazioni indigene più importanti del paese. Lui twitta e poi Ivan Duque o i soldati o la forze di polizia eseguono. Perciò diciamo di sentirci pienamente identificati ogni volta che diciamo di essere stanchi dell’uribismo ma sappiamo anche chi è il mandante.
Ora è importante anche aggiungere che molti dei discorsi, degli slogan, di ciò che grida la gente in strada ha una relazione con l’odio profondo che si è creato contro la polizia e le forze militari nel paese. L’anno scorso a Settembre, ad esempio, a Bogotà si è scatenata un’ondata di uccisioni che noi chiamiamo “il massacro” da parte delle forze di polizia contro la gente. Ci sono molti fenomeni di brutalità poliziesca che hanno fatto sì che oggi la gente in Colombia dica “Noi non ci sentiamo protetti dallo stato” e questo è palese.
Ieri nella manifestazione del mattino a Bogotà non c’erano forze dell’ordine e non ci sono stati scontri, di fatto erano solo manifestanti e tutto è andato benissimo, c’è stata una presenza massiccia di gente; dopo le sei di pomeriggio, quando è arrivata la polizia nei punti di concentramento delle manifestazioni, si sono verificate aggressioni, fermi, arresti, quindi se c’è un’altra cosa in cui ci si riconosce è l’odio per l’uribismo e l’odio per l’apparato repressivo dello stato, la polizia.
È importante sottolineare la forza e l’appoggio che questo sciopero ha avuto nonostante la repressione così forte; si tratta di uno sciopero creato e sostenuto soprattutto da giovani. Anche se non è chiaro come organizzarsi, è evidente che sono i giovani l’avanguardia di ciò che accade in materia di presenza nelle strade e di presenza nei quartieri. C’è la partecipazione di ultras di varie squadre, ci sono anche persone che non sono mai state parte di niente, persino gli aclassisti. Questi giovani, ragazze e ragazzi che oggi sono nelle strade a chiedere una possibilità diversa dalla fame o dall’entrare in un clan che controlla il monopolio della produzione, rendersi cittadini, rendersi visibili, è qualcosa che ha toccato profondamente lo spirito di solidarietà in Colombia perché è chiaramente uno sciopero travasato da un luogo di classe quindi nonostante si trovino professionisti, sindacalisti e gente che ha almeno un pasto garantito, la grande maggioranza della gente che partecipa agli scontri di piazza con la polizia che si è organizzata in queste “prime linee” è gente dei quartieri che non ha accesso neanche all’educazione superiore perché non c’è assolutamente una struttura statale tale da garantire loro i diritti essenziali. Perciò se da un lato si può dire che ci sono organizzazioni giovanili che vi si possono identificare, c’è un luogo di classe che è molto forte al suo interno, marcato dalla partecipazione a questo scenario di mobilitazione. È altrettanto interessante notare che non c’è molta chiarezza su come funzionano a livello organizzativo le prime linee, si è visto in questi giorni a Puerto Resistencia, uno dei punti della città di Cali in cui in questi giorni centinaia di giovani hanno scelto di rimanere per difendere la gente del quartiere quando interviene la polizia. Loro hanno diciamo forme di organizzazione almeno per ciò che riguarda la propria difesa perт oltre a questo sono riusciti a costruire un documento politico e una metodologia per discutere, quindi per capire qual è la soglia minima su cui è possibile pensare a una negoziazione con il governo.
È interessante che nonostante la campagna contro lo sciopero e contro chi vi partecipa (alla prima linea) chiamandoli “vandali” ci hanno dimostrato che sono capaci di organizzarsi, sembra che anche in forma spontanea si possano trovare compiti e cura collettiva. Oltre a questo, c’è dibattito su come si agisce nel territorio quando ci sono gli scontri e ci sono alcune proposte, che non disconoscono i processi che hanno avanzato una proposta sul fatto che bisogna negoziare col governo.
Riguardo al comitato per lo sciopero ufficiale, per il quale si sono già dati scenari di dialogo tra governo nazionale e le persone che formano questo comitato da cui parte la mobilitazione del 28 Aprile, si è espresso in un documento con la proposta che il governo ritiri il disegno di legge che si chiama ‘Ley010 de Salud’ che in sostanza è una riforma che tende alla privatizzazione dei servizi per la salute che già è iniziata durante il governo precedente di Alvaro Uribe Velez, che ha creato le Ley 100 sulla privatizzazione della salute nel bel mezzo di una crisi della sanità pubblica mondiale a causa del Covid; ritornando al comitato, chiede che sia ritirato questo disegno di legge e tenendo in conto del circolo vizioso per cui per uscire dalla crisi economica che evidenzia la crisi sanitaria a causa di cui è aumentata anche la povertà, si sollecita il governo ad agevolare e rafforzare un processo di vaccinazione di massa, si parla anche di, e questo è stato tema costante dell’agenda politica, dare almeno un reddito garantito minimo mensile. In mezzo a questa pandemia gli appoggi economici emanati sono abbastanza ridicoli rispetto alle agevolazioni che ha dato il governo Duque a tutto il sistema bancario e finanziario del paese. Per i grandi ricchi e le grandi imprese ci sono tanti aiuti e sgravi fiscali e ai lavoratori li si obbliga a pagare più tasse, e non ci stanno. La Colombia ha la possibilità di garantire il reddito minimo a tutti coloro che la richiedano e non si tratta di una salario al 10 o 30 percento ma di un salario minimo intero.
Altro tema è la difesa della produzione nazionale e i sussidi alle piccole imprese perché con la pandemia è aumentata drasticamente la disoccupazione, soprattutto quella femminile. Le donne hanno sempre svolto lavori di cura non remunerati, con la pandemia tutto ciò è aumentato, ed essendo lavori che non producono sostentamento economico diretto per le donne, si rende necessario oggi rinforzare in questo sistema occupazionale, non solamente le micro imprese ma c’è un chiaro focus di genere nel rafforzamento delle necessità lavorative della popolazione e che si renda prioritaria, inoltre, la difesa della produzione nazionale di queste piccole imprese che esistono già, di cui molte si trovano al verde dopo il lockdown. Nel documento di questo comitato per lo sciopero si è presa una posizione prioritaria che difenda la sovranità e la sicurezza del paese perché la Colombia è un paese che produce materie prime però quasi tutto quello che produce esce dal paese e per la gente che ha fame non rimane nulla, quindi il minimo sarebbe garantire che nessuno abbia fame.
Un altro dei punti sul tavolo di concertazione è la “Matricula 0” per tutte quelle persone che vogliono accedere al sistema di educazione superiore, che non necessariamente è gratuita in Colombia. Si è sempre detto che sarebbe impossibile un finanziamento totale ma si è anche dimostrato che non è del tutto vero e che si può tornare a mettere sul tavolo la necessità di un finanziamento pubblico all’educazione superiore.
In quest’anno si è ricominciato a parlare della necessità nell’ambito della lotta al narcotraffico di iniziare con le ispezioni aeree, all’interno del documento si trova questa forma di controllo sulle coltivazioni. Sono una parte degli elementi che propone questo comitato di sciopero. Questi punti sono stati ripresi nell’appello del comitato per la manifestazione del 28 Aprile, sono punti trasversali alle necessità più stringenti di chi è sceso in piazza a manifestare. Parlare di Matricula 0 equivale a chiedere che ci sia reale accesso e sostegno all’educazione pubblica superiore o all’educazione tecnica, ed è qualcosa che viene anche dai documenti locali e dalla prima linea, che non hanno mai fatto parte di questo comitato ufficiale per lo sciopero. Nel loro documento compare il dibattito per un diritto reale all’educazione, il dibattito per l’inclusione nel mondo del lavoro che permetta loro di iniziare a superare gli indici di povertà, e la richiesta che esista un reddito minimo universale così che le persone abbiano un sostentamento minimo. Nel quadro dei lockdown multipli e reiterati con cui il governo ha cercato di contenere la pandemia e con un processo di vaccinazione che è stato abbastanza mediocre, diciamo che questo ha fatto sì che la gente scendesse in piazza anche in mezzo a una pandemia, quando dovrebbe si dovrebbe stare tutti protetti al sicuro. La paura della fame ha spinto la gente a scendere in strada, ma chiaramente c’è l’urgenza dell’accesso al diritto alla salute per tutti e tutte, oltre all’accesso al diritto all’educazione. Sono concetti basici che dovrebbero già esistere ma che in realtà non sono mai realmente esistiti. Questo comitato di sciopero non rappresenta realmente i territori perché non sono processi che nascono da lì ma dai sindacati e dai partiti politici che raccolgono parte delle necessità della gente ma non sono così vicini alle necessità quotidiane delle persone; inoltre la forma di partecipazione a questi processi politici non è vicina alla vita quotidiana della gente nei quartieri e nei settori più precarizzati, non c’è nemmeno una presenza evidente della popolazione indigena, afro e contadina, ma ha un altro tipo di conformazione così che è più difficile parlare di una rappresentazione reale di tutti, oltre al fatto che ci troviamo in un contesto di agenda pre elettorale per il prossimo anno, in cui ci saranno le elezioni presidenziali (a meno che non succeda qualcosa che le faccia rinviare) ma poiché l’anno prossimo bisognerà eleggere un presidente in Colombia la legittimità di questi processi politici dove ci sono anche i partiti che stanno facendo campagna elettorale per decidere chi potrebbero essere candidato è difficile che generi fiducia nella gente, perché questi processi politici sono abbastanza desueti e perché ricorrono a pratiche che non rispecchiano le necessità della gente ma che ricalcano processi interni di partito o personalismi, quindi anche questo influenza un livello di partecipazione della gente in questo tipo di spazi e piattaforme.
Rispetto a quello che è successo a Cali in uno dei quartieri delle classi agiate: i residenti hanno preteso la cacciata della Guardia indigena che stava presenziando all’Università del Valle che si trova vicino a questi quartieri d’élite, svelando così la struttura razzista di questi settori mafiosi, perché è sempre stato così quest’ambiente ma chiaramente l’inasprimento della violenza contro i manifestanti mostra come si eserciti l’aggressione fisica e l’invisibilizzazzione. Sempre Cali è una città che ha una componente culturale ed etnica indigena molto forte e anche afrodiscendente, è una zona molto colpita per conflitti d’interesse dovuti alla ricchezza di questi territori ma è anche una città in cui il narcotraffico ha creato una cultura mafiosa. Diciamo che vi si incrociano non solo la violenza di stato ma anche queste pratiche parastatali ed economie illecite che esistono e sono esistite in questi territori basate sulla logica classista e razzista. Quello che fanno i media è enfatizzare il fatto che ci sono quelli che hanno la cittadinanza e quelli che non ce l’hanno. Per quanto riguarda le comunità indigene, chiaramente la Colombia si dimostra ancora un paese con una vena coloniale aperta e con una sguardo profondamente feudale. Diciamo che la reazione popolare di fronte a questi attacchi violenti da parte della polizia e dei militari nei confronti della guardia indigena di Cauca è stata un’espressione di sovranità nazionale, perché oggi la Minga rappresenta tra i colombiani questo che non rappresenta per loro la polizia nazionale: durante le manifestazioni la gente si sente protetta dalla presenza della Guardia Indigena e non della polizia. Di fronte a questi attacchi si è scatenata un’ondata di soliedarietà nazionale alla Minga. Per ciò che riguarda il razzismo, e nonostante il razzismo, c’è un presupposto antirazzista per costruire il paese con una narrazione diversa ma anche per un paese in cui ci sia veramente l’uguaglianza.
Non parlo solo per me ma c’à una marea di gente della mia etа o più o meno giovane, siamo motivati e interpellati dalla tenacia della gente in strada che sostiene una mobilitazione pur con un tale apparato repressivo e punitivo, uno stato che terrorizza, non molto diverso da una dittatura. Nonostante ciò, queste giornate di mobilitazione sono la speranza per la Colombia, che non è stato un paese caratterizzato nella contemporaneità da unità in termini di incontro perché non c’è mai stato un obiettivo che arrivasse a essere comune, sempre obiettivi come processi ma non un obiettivo comune.
Oggi ciò che ci unisce è l’odio e l’insofferenza nei confronti del modello paramilitare e narco che si è imposto in Colombia. Le mobilitazioni e la forza della gente, dei giovani in strada ci da la speranza di lottare contro un regime che ha il controllo su tutto, dell’apparato legale e statale oltre che quello illegale che controlla il territorio a livello economico, un fenomeno così complesso che oggi abbiamo gente che resiste nonostante i più di 100 desaparecidos, persone torturate, gli abusi compiuti da questi signori del terrorismo contro i quali la gente sta facendo una lotta popolare ed è una cosa che davvero incoraggia, perché nessuno si aspettava che lo sciopero nazionale arrivasse a sfociare in un malcontento sociale così profondo, si sente che finalmente per me e per molti altri questo si traduce in una possibilità di pensare che è davvero possibile il cambiamento a medio termine, c’è un’altra mentalità e per molti è sintomo del fatto che il regime uribista è al capolinea. Nonostante ci siano molte speranze ci sono anche preoccupazioni e paure di come può finire lo sciopero nazionale. Però anche questo panorama vicino che sono le presidenziali si inserisce nel quadro di questo dibattito del potere rappresentativo nello stato. Diciamo che la tendenza in Colombia è che i partiti d’opposizione alla vigilia delle elezioni si dividano, garantendo all’estrema destra il governo. La mia paura è che siccome lo sciopero è molto vicino alle elezioni, i partiti cercheranno di metterci il cappello per i propri benefici e non per il bene comune e mi spaventa molto perché darebbe il colpo finale dato che inizia ad esserci un tipo di trasformazione a livello elettorale generale nel modello politico che abbiamo. Se la gente iniziasse a essere considerata dai partiti solo a scopi elettorali si configurerebbe una miscredenza delle istituzioni e si potrebbe tradurre anche in uno scenario di sfiducia molto forte. Questa è una paura che ho io, di come può essere utilizzato in termini elettorali e quali effetti negativi potrebbe arrivare ad avere sapendo che anche l’opposizione in Colombia è disomogenea e questo genera anche una grande incertezza. Dall’altra parte lo scenario quotidiano è che continuano ad aumentare le persone scomparse, ferite gravemente, perseguite, viviamo in un paese in cui le pratiche sporche di destabilizzazione finiscono per creare veri e propri ‘montaggi’ e se questo per me significherà finire incarcerata con un processo politico per ribellione semplicemente perché dico ciò che penso è chiaro che abbiamo di fronte un governo di estrema destra e il mezzo immediato è la repressione di stato, non solo che uccide ma che incarcera con accuse politiche giustificate. Credo che la mia paura più grande sia che succeda una cosa del genere e ci lasci senza speranza, una preoccupazione latente è che la spontaneità e la forza popolare finisca per essere placata da un governo che non è disposto a negoziare ma che cerca l’usura. È importante perché se non abbiamo la capacità di ottenere delle cose minime, tutto ciò che si è rischiato, sacrificato, i morti, gli sequestrati, i feriti, tutto quello che è successo potrebbe rimanere aneddotico ed è preoccupante pensare che la spontaneità non riesca a tradursi in processi di organizzazione di raggio più ampio, almeno a medio termine.
Vi ringrazio molto per la solidarietà internazionale che ci arriva, il fatto di raccontare ciò che sta succedendo qui, per noi è molto importante, che compagni e compagne di tutto il mondo possano raccontare cosa succede in Colombia, perché stiamo vivendo anche un circo mediatico, processi molto forti di censura, il governo sta giocando tutte le sue carte a disposizione affinché l’opinione internazionale non continui a puntare il dito mettendo in evidenza il fatto che i troviamo in una dittatura, in uno stato totalitario, uno stato repressivo che cerca piuttosto di riciclare questa logica del nemico interno.
Questi spazi di discussione e di conversazione che abbiamo nelle varie lingue e che ci portano solidarietà per il popolo colombiano sono fondamentali perché noi siamo davvero soli. Dietro non ci sono gruppi armati, non ci sono finanziatori, siamo soli e quel poco che stiamo portando avanti è un semino rispetto alla resistenza di altri paesi prima di noi. Ma penso che per stanchezza di un paese dissanguato da sempre sia rinvigorente che ci sia solidarietà internazionale e diffusa, che si sappia che non solo il presidente Duque Marquez ma anche Alvaro Uribe Velez e tutta l’élite classista gamonale di mentalità paramilitare che stanno in tutte le strutture del narcotraffico colombiano sono loro che stanno attaccando il popolo colombiano, uccidendo i giovani. E’ importante che si sappia, fa tutto parte di una politica di stato, è lo stato contro il popolo colombiano e questa è una lotta iniziata da molto tempo perché finalmente si raccoglie l’insoddisfazione per un regime di governo ma anche per l’inesistenza dello Stato rispetto ai servizi essenziali, che è quello che chiediamo nelle strade. Vi ringrazio molto e sappiate che indipendentemente da come si svilupperà in Colombia c’è gente ancora disposta a continuare a lottare.
Immagini recuperate in rete
04 giugno 2021
InfoAut
Traduzione di Cappi: |
Nathalia, “Paro General e Primera Linea: cosa ci dice la nuova stagione di lotte in Colombia?” pubblicato il 04-06-2021 in InfoAut, su [https://www.infoaut.org/conflitti-globali/paro-general-e-primera-linea-cosa-ci-dice-la-nuova-stagione-di-lotte-in-colombia] ultimo accesso 08-06-2021. |