Nicaragua: Il fallimento delle cupole di partito


Mónica Baltodano

La vicinanza di un processo elettorale in Nicaragua dovrebbe presupporre la possibilità di mettere fine al regime dittatoriale di Ortega attraverso il voto popolare. Nonostante ciò, queste speranze sono rimaste polverizzate quando le cupole dei partiti di “opposizione” non si sono messe d’accordo ad iscrivere un’alleanza elettorale entro i perentori termini che ha stabilito il recentemente integrato Consiglio Supremo Elettorale (CSE), controllato dal governo.

Il fallimento delle cupole è direttamente legato alla loro vocazione parassitaria e prebendaria, così come alla mancanza di volontà di mettere realmente termine a questo regime. Secondo la loro visione “pragmatica”, in queste condizioni è preferibile dar continuità a questo  regime, iscriversi come seconda forza, ottenere alcune quote di potere nel parlamento e propiziare un “atterraggio soave” che assicuri la governabilità necessaria al grande capitale e agli impresari. L’economia è la prima cosa, la democrazia può aspettare.

Con questa premessa hanno funzionato il modello corporativo del governo e le camere imprenditoriali, prima dell’aprile del 2018. Questo modello di “dialogo e consenso” è stato fissato nella riforma costituzionale del 2014, approvata solo con i voti del FSLN. Secondo la nuova redazione si consegna alla grande impresa, rappresentata dal COSEP, il diritto di “partecipare all’elaborazione, esecuzione e controllo dei piani economici, secondo il modello di dialogo, alleanza e consenso promosso dallo stato” (Aguilar, 2014). Questa alleanza ha permesso ai grandi impresari di funzionare come co-legislatori, beneficiando di innumerevoli iniziative economiche, riforme tributarie, concessioni vantaggiose, regolazione in materia di contrattazione pubblica, concorrenza, investimenti e commercio internazionale, tra le altre cose (Feinberg e Miranda, 2019).

La ribellione di aprile 2018 contestò questo modello, ma anche il ruolo di tutti i partiti politici, che le grandi maggioranze considerano parte della macchina del potere che li opprime. Nelle massicce mobilitazioni che misero in questione la continuità di Ortega, le cupole e le bandiere di questi partiti non si fecero vedere, non essendo benvenute. I partiti non erano nemmeno considerati come attori nei diversi momenti del Dialogo Nazionale. La diversità della ribellione non permise di entrare in considerazioni di chi fosse di sinistra o di destra. La diversità era tale che allo stesso tavolo si sedettero settori conservatori al lato di femministe, diversità sessuali, ecologiste, contadini, operai.

Ma messi nella corsa e nella logica elettorale, i proprietari di casette hanno cominciato a considerare il raccolto di questa ribellione in un voto anti dittatoriale che gli permetta di salire a limiti impensati di percentuali di voti. Attualmente, nessuno di questi partiti giunge ad ottenere più del 3% di sostegno cittadino, secondo tutti i sondaggi.

La debolezza di questa opposizione dei partiti è tale che il regime ha approvato una riforma della Legge Elettorale che, invece di ammorbidire le condizioni di partecipazione, le irrigidisce fino a punti inconcepibili. Sarà il medesimo apparato dittatoriale quello che determinerà se un candidato può o no concorrere alla lotta, usando il criterio di aver partecipato o no al “tentativo di golpe” di aprile 2018. Oppure, sarà la polizia repressiva che autorizzerà o no le riunioni e le mobilitazioni della “opposizione”. Di passaggio, come abbiamo detto, la riforma ha comportato il rinnovamento del CSE con dieci magistrati totalmente subordinati all’orteghismo.

La dirigenza di uno di questi partiti di opposizione, subordinata chiaramente agli interessi del grande capitale, è giunta a dire che mai andranno d’accordo con femministe pro aborto, con organizzazioni della diversità sessuale, o vecchi sandinisti, perché tutti continuano ad essere di sinistra, mentre loro sono l’estrema destra.

In questo modo queste forze puntano a partecipare ad un processo che fin d’ora è chiaramente fraudolento, lasciando da parte le richieste e rivendicazioni che nacquero nell’aprile del 2018. Di passaggio, scelgono di non riconoscere coloro che furono nei blocchi e nelle barricare, che subirono ingiustamente la prigione o sono forzatamente esiliati. Ugualmente, non si riconoscono i familiari degli assassinati, i più di cento prigionieri politici; e i movimenti, come quello dei contadini, che restano in attesa dell’abrogazione dell’oneroso trattato canaglia che consegna le loro terre e il Grande Lago agli interessi transnazionali.

Per i partecipanti di aprile è chiaro che stiamo vivendo il peggiore degli scenari possibili: elezioni con Ortega, senza riforme, senza unità e verso una sfacciata frode. A queste condizioni è evidente che non si conseguiranno le rivendicazioni di cui i settori popolari necessitano e che chiedono. Lo sconforto potrebbe generare un maggiore astensionismo che nell’anno 2017, quando più del 60% dei votanti non partecipò. Le forze politiche dovranno creare un grande ambiente per riuscire a far sì che la gente partecipi, nonostante la frode sicura.

Nemmeno possiamo scartare che i settori popolari decidano di riunirsi intorno a qualche candidatura sorta al margine delle attuali cupole di partito, decidano di rompere lo stato d’assedio di fatto che stiamo vivendo e di mobilitarsi in massa per rompere la frode elettorale orteghista.

Nel frattempo, le uniche vie per resistere continuano ad essere i movimenti e le espressioni sociali: il movimento contadino anti-canale, le associazioni delle vittime e di ex carcerati, i movimenti studenteschi, femministi, sindacali, la diversità sessuale, indigeni e afrodiscendenti, oltre ad altri collettivi auto convocati. Alcuni di loro sono riuniti nell’Articolazione dei Movimenti Sociali e le loro rispettive agende si vedono riflesse nel programma delle Dignità, nella sicurezza che “le insurrezioni popolari non entrano nelle urne”, come ha detto Zibechi.

Bisogna continuare a resistere e a lottare per acumulare forze di fronte a nuove ondate di mobilitazioni che ci portino ad una nuova sollevazione civica. Le estreme restrizioni in cui viviamo dovrebbero fertilizzare la coscienza per provocare una nuova ribellione che tiri fuori Ortega dal potere e apra gli spazi per una transizione democratica. La pertinenza di questo scenario è fondata tanto sulla convinzione che le dittature non si immolano né consegnano il potere, come sul legittimo diritto di un popolo oppresso alla ribellione (Baltodano, 2018).

Bibiografia

– Aguilar, Alejandro. 2014. Novena Reforma Constitucional 2014: El cambio de las reglas del juego democrático en Nicaragua. Managua: IEEPP.

– Baltodano, Mónica. 2018. Sublevación no es golpismo. Confidencial. https://confidencial.com.ni/sublevacion-no-es-golpismo/

– Feinberg, Richard E. y Beatriz A. Miranda. 2019. “La Tragedia Nicaragüense: del Consenso a la Coerción.” Washington: The Wilson Center.

18 maggio 2021

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Mónica BaltodanoNicaragua: El fracaso de las cúpulas partidarias pubblicato il 18-05-2021 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/nicaragua-el-fracaso-de-las-cupulas-partidarias/] ultimo accesso 25-05-2021.

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