Due anni di AMLO: un governo di sinistra?


Ramón I. Centeno

Un’analisi delle politiche sociali e del lavoro rivela un progressismo fallito che starebbe più al centro che alla sinistra dell’ordine neoliberale, scrive Ramón I. Centeno (Università di Sonora).

Il passato 1° dicembre il governo del presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha compiuto due anni. Da quando era all’opposizione fino ad ora, che è al potere, ha sintetizzato la sua agenda con una frase: “prima i poveri”. Nonostante ciò, a due anni, questa affermazione si è trasformata in una domanda.

Qui mi incentrerei su due pilastri della promessa di AMLO: la politica sociale e quella del lavoro. È stato affermato, con ragione, che in questi due anni la prima è stata meno significativa della seconda. Ma questa è solo una parte della storia. A questo quadro bisogna aggiungere, inoltre, 1) che gli investimenti nella politica sociale sono minori del passato, e 2) che il principale risultato lavorativo, l’aumento del salario minimo, non è un risultato di AMLO ma degli Stati Uniti.

La politica sociale di López Obrador

Una nozione molto estesa quasi un consenso, è che il governo messicano avrà molti difetti, forse non è “la sinistra” che desideriamo, ma nonostante tutto, nessun altro governo aveva fatto tanto per i poveri come quello di AMLO.

Come dimostro in un articolo di prossima pubblicazione in Foro Internacional, anche se nel 2019 e 2020 si investì in politiche sociali più che nel 2017 e 2018, la disponibilità finanziaria è minore dei primi quattro anni di  Peña Nieto ed è praticamente uguale all’ultimo anno di Calderón (vedere il seguente grafico).

Fonte: elaborato a partire dall’Inventario CONEVAL dei Programmi e Azioni Federali di Sviluppo Sociale. *Sui dati disponibili al momento della consultazione: per il 2010-2018, ho preso il bilancio d’esercizio, per il 2019, il bilancio modificato, e, per il 2020, il bilancio originale.

Il panorama, inoltre, non migliora in quanto a copertura. Nel 2017, il PROSPERA ha riportato 26,8 milioni di beneficiari. Al contrario, AMLO ha riportato 22 milioni di beneficiari in tutti i suoi programmi. Quest’ultima cifra, AMLO l’annunciò in un discorso dello scorso aprile, in piena pandemia, quando promise: “Il primo di dicembre di quest’anno potrò dire che tutti i poveri del Messico già conteranno su una protezione e una tutela del governo che rappresento”. Quando è giunta questa data, AMLO non ha più menzionato quanti beneficiari avevano i suoi programmi sociali.

Lontano dal rappresentare un progresso nella politica sociale, i programmi sociali di AMLO presentano seri arretramenti. È stato dimostrato, per esempio, che sono aumentati i programmi che non pubblicano i propri criteri per assegnare i sostegni (regole operative) né chi sono le persone che li ricevono (censimento dei beneficiari).

La politica lavorativa di López Obrador

Se la politica sociale di AMLO è stata mediocre, il vero progresso per la classe lavoratrice messicana è stato, senza dubbio, l’aumento del salario minimo. Dal 2018 al 2019, aumentò del 20%, che rappresenta l’aumento percentuale più grande da decenni. È anche una cosa certa che il salario minimo si era talmente deteriorato, che questo aumento appena lo colloca a meno della metà di quello che fu alla fine dei settanta (vedere seguente grafico).

Fonte: Commissione Nazionale dei Salari Minimi

L’obiettivo del salario minimo dell’attuale governo è “raggiungere, alla fine dell’attuale amministrazione, il livello del 1976”. Senza dubbio, questo sarebbe un’eccellente notizia per le famiglie lavoratrici. Ma finora, quando i lavoratori hanno voluto mobilitarsi per difendere l’aumento, il governo ha inciso a favore del capitale.

Per esempio, c’è il caso degli scioperi di Matamoros, alla frontiera con il Texas, all’inizio del 2019. Questo movimento esplose quando le maquilas tentarono di neutralizzare l’aumento salariale eliminando il pagamento di altri benefici, a cui le autorità federali risposero che “lo scoppio dello sciopero non avrebbe beneficiato nessuna delle due parti”. Ma questo non è la cosa più interessante.

Come si sa, nell’aprile del 2019 il governo di AMLO promosse anche una riforma del lavoro favorevole alla libertà sindacale. Questa legislazione, che è frequentemente citata come un risultato di AMLO, in realtà è la regolamentazione di una riforma costituzionale che due anni prima promosse Peña Nieto. La riforma, allora, proviene da AMLO o da Peña Nieto? La verità è che non proviene da nessuno dei due.

Enrique Peña Nieto, Donald Trump e Justin Trudeau firmano il T-MEC il 30 novembre 2018 a Buenos Aires

La riforma del lavoro fu una richiesta del governo degli Stati Uniti nella rinegoziazione del Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord. Pressati dal sindacalismo della Federazione Statunitense del Lavoro e dal Congresso delle Organizzazioni Industriali -interessata a che i salari salissero in Messico per ridurre il trasferimento di fabbriche dagli Stati Uniti a questo lato della frontiera- i negoziatori di Obama e Trump chiesero detta riforma in cambio della firma del nuovo accordo T-MEC con il suo Allegato 23-A.

Con molta ragione, la riforma del lavoro è stata definita come un “cambiamento politico dall’esterno verso l’interno”. La stessa titolare della Segreteria del Lavoro, Luisa María Alcalde, quando ha difeso la politica del lavoro, ha corroborato la sua origine esterna. In una riunione con i senatori spiegò così:

“Il Messico si è impegnato su temi molto concreti nel comma del lavoro [del T-MEC]… Alla fine gli Stati Uniti e il Canada hanno prospettato che in Messico i salari sono così bassi e le condizioni precarie, per cui si punta sul miglioramento salariale, la libertà e la democrazia”.

E dopo?

Contro una corrente d’opinione è importante, sì, determinare se in Messico governa la sinistra o no. Nel caso di AMLO, la sua traiettoria di opposizione lo ha posto alla sinistra del neoliberalismo messicano. Nonostante ciò, in questa traiettoria è andato movendosi alla destra delle posizioni che difese negli anni ottanta, quando ancora stava nel PRI. In quegli anni, certamente, il PRI era il “centro”. La sinistra era il movimento socialista. Scomparendo quest’ultimo, il vecchio “centro” è diventato la nuova “sinistra”. Una “sinistra” che, come ho finito di dire, è andata più a destra. E oggi, al potere, AMLO si è mosso ancora più a destra, al punto di mantenere l’ordine neoliberale stabile nei suoi principali aspetti.

Come post-neoliberalismo, il progressismo di AMLO è stato un progressismo fallito. Relativamente al neoliberalismo, il governo di AMLO starebbe piuttosto al “centro”. Su questo tono, una migliore e più fruttifera domanda sarebbe che tipo di centro è AMLO e non tanto che tipo di sinistra è. 

Note:

– Le opinioni esposte in questo articolo sono degli autori e non riflettono la posizione del LSE

– Segui l’autore in Twitter: @ricenteno

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*Ramón I. Centeno è professore associato all’Università di Sonora, Messico. La sua ricerca si concentra sulla sinistra nelle Americhe. Fa parte del Sistema Nazionale dei Ricercatori del Consiglio Nazionale della Scienza e Tecnologia (CONACYT).

16/12/2020

LSE

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Ramón I. CentenoDos años de AMLO: ¿un gobierno de izquierda?” pubblicato il 16/12/2020 in LSE, su [https://blogs.lse.ac.uk/latamcaribbean/2020/12/16/dos-anos-de-amlo-en-mexico-un-gobierno-de-izquierda/] ultimo accesso 23-12-2020.

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