È stato l’anno in cui si sono accumulate difficoltà: dalla crescita della militarizzazione e dei diversi controlli statali (materiali e digitali) fino all’imposizione di obblighi di soggiorno che hanno impedito la mobilità e hanno accentuato l’isolamento e l’individualismo. Un cocktail oppressivo e repressivo come non vedevamo da molto tempo.
Le limitazioni imposte alla popolazione in generale, e alla mobilitazione in particolare, sommate all’abbandono degli stati, hanno portato i movimenti a ripiegare, prima, per essere in condizioni di tornare a rilanciare la protesta e la mobilitazione più avanti.
Il momento del ripiegamento è stato importante per tutelare la salute collettiva e comunitaria, per evitare massicci contagi nei territori dei popoli e rafforzare le proprie autorità. Le guardie di autodifesa comunitaria hanno giocato un ruolo decisivo, sia in aree rurali come urbane, mettendo in rilievo tra queste i controlli realizzati in città come Cherán e in spazi come la Comunità Acapatzingo a Iztapalapa, a Città del Messico.
In vaste regioni rurali l’EZLN, il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, i governi autonomi dei popoli amazzonici, le comunità mapuche, palenques e quilombos, oltre a comunità contadine, hanno deciso di impedire o restringere l’entrata di persone che provenivano dalle città, in modo di regolare la pandemia.
Se non avessero fatto così, sovrapponendosi alla violenza statale e parastatale, specialmente letale in regioni del Chiapas e del Cauca colombiano, avrebbero subito una severa destabilizzazione interna. Questa è stata la condizione per limitare i danni e il primo passo per riprendere l’iniziativa verso l’esterno.
Verso la metà dell’anno, i popoli hanno cominciato un nuovo attivismo che in vari casi li ha portati a rompere l’accerchiamento militare e mediatico.
Nel mese di luglio lo sciopero della fame di ventisette prigionieri mapuche scosse le comunità del sud del Cile che cominciarono un’ondata di mobilitazioni a sostegno dei detenuti nelle carceri di Temuco, Lebu e Angol. Gli scioperanti chiedevano il rispetto del Trattato 169 dell’OIL che gli permette di scontare la condanna nelle proprie comunità, di rivedere la prigione preventiva e per denunciare le condizioni inumane nelle carceri.
Nonostante le difficoltà generate dalla militarizzazione e dalla pandemia, si registrarono manifestazioni e concentrazioni nel nord, centro e sud del Cile. Gli scioperi della fame denunciarono, inoltre, la repressione che in tutto il paese stanno soffrendo i mapuche, come la persecuzione contro le venditrici di ortaggi e di cochayuyo, un’alga marina altamente nutritiva.
Nei primi giorni di agosto in Bolivia si produssero massicci blocchi di strade in almeno 70 punti, da parte di contadini ed indigeni contro il differimento delle elezioni da parte del governo golpista di Jeannine Añez. I blocchi furono tolti quando il governo accettò di effettuare le elezioni il 18 ottobre, che il MAS vinse ampiamente con più del 55% dei voti, superando di molto il discusso risultato di un anno prima.
Il 30 settembre cominciarono le manifestazioni nel Costa Rica contro un accordo con il FMI che implica un aumento di imposte e una maggiore austerità nella spesa pubblica. Di fronte all’ondata di proteste, il 4 ottobre il governo annunciò la sospensione del negoziato per aprire un ambito di dialogo e rivedere la posizione.
Il 5 ottobre l’EZLN emise il primo comunicato da quando chiuse i caracol per la pandemia, il 16 ottobre 2020. Informano che in questo lasso di tempo sono morte 12 persone per il coronavirus e se ne sono assunti la responsabilità, a differenza di quello che fanno i governi, e che hanno deciso di “affrontare la minaccia come comunità, non come un affare individuale”. Puntano sulla mobilitazione globale contro il capitale e informano che ad aprile del 2021 cominceranno un primo giro attraverso l’Europa, che dopo estenderanno ad altri continenti, con un’ampia delegazione composta maggiormente da donne, perché “è tempo di nuovo affinché ballino i cuori, e che non siano né la loro musica né i loro passi, quelli del lamento e della rassegnazione”.
Alla fine di ottobre 2020 in Colombia si realizzò la Minga Indigena, Nera e Contadina, che partì nel sudovest, nel Cauca e continuò a Cali, percorse varie città e paesi per giungere otto giorni dopo a Bogotá. In tutto il suo percorso, la minga (lavoro comunitario o tequio) dialogò con popolazioni che condividono i loro medesimi dolori, in un paese che si dissangua per la violenza narco-militare-paramilitare, con centinaia di dirigenti sociali assassinati.
La Minga verso Bogotá, alla quale parteciparono ottomila persone fu scortata dalla Guardia Indigena, la Guardia Cimarrona e la Guardia Contadina, con una speciale partecipazione di donne e di giovani. Fu ricevuta e accompagnata da migliaia di persone che stanno lottando contro la repressione dei corpi militari, contro i quali si sollevarono nelle memorabili giornate dal 9 e dall’11 settembre, nelle quali bruciarono o furono vandalizzate decine di istallazioni di polizia.
Il 18 ottobre, ad un anno dall’inizio della rivolta sociale del 2019, migliaia di cileni tornarono a uscire nelle strade del Cile per commemorare quella protesta. Quel giorno ci furono 580 detenuti e un morto dopo la repressione dei Carabinieri.
Il 25 ottobre il popolo cileno fece straripare le urne nel referendum per redigere una nuova Costituzione che sostituisca quella ereditata dalla dittatura militare di Pinochet. L’80% dei votanti approvò l’inizio di un processo costituente, quando si aspettava un risultato del 60% a favore dell’iniziativa. La mobilitazione popolare per il referendum e la continuazione della rivolta iniziata nell’ottobre del 2019 ha cambiato la faccia del paese, delegittimando la politica governativa neoliberale e repressiva.
In Perú avvenne una notevole mobilitazione popolare a seguito dell’illegittima destituzione del presidente Martín Vizcarra, insediando al suo posto un governo corrotto considerato golpista dalla popolazione, giacché la maggioranza assoluta dei parlamentari hanno accuse di corruzione. In una settimana di gigantesche manifestazioni, il golpista Manuel Merino dovette abbandonare la presidenza aprendo nel paese un’inedita congiuntura.
Il 21 novembre a Città del Guatemala in migliaia si riunirono per protestare contro il progetto di legge di bilancio che era stato approvato nel Congresso e che riduceva i fondi destinati all’educazione, alla lotta alla denutrizione, alla difesa dei diritti umani e alla risposta alla pandemia. I manifestanti entrarono nella sede del legislativo e incendiarono parte delle installazioni.
Avrei molto di più da raccontare. Per tutto quanto detto prima, sembra evidente che i popoli in movimento, i movimenti sociali e anticapitalisti sono lontani dall’essere stati sconfitti dalla maggiore offensiva lanciata dal sistema in decenni.
14 dicembre 2020
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “2020: el año más difícil para los movimientos anticapitalistas” pubblicato il 14/12/2020 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/2020-el-ano-mas-dificil-para-los-movimientos-anticapitalistas/?fbclid=IwAR0M8UnA5v92NvdJwgmRGPGFK_sAKRTK3KR_G4HN16rvA3Q4n9yyDtoZz7Y] ultimo accesso 15-12-2020. |