Secondo i dati ufficiali, il Nicaragua è il paese del Centroamerica con il rapporto più basso di casi di coronavirus e il tasso di recupero più alto. Professionisti sanitari e attivisti locali hanno promosso l’Osservatorio Cittadino, che raccoglie cifre molto superiori a quelle del Governo.
Denunciano la “mancanza di libertà” per far conoscere la reale situazione e temono le conseguenze della pandemia in una popolazione già molto impoverita.
Sono le undici della notte in Spagna, le tre del pomeriggio in Nicaragua. Il dottor Ariel José Arias Zepeda, nicaraguense stabilitosi in Spagna, riceve una telefonata urgente della sua famiglia: sua cugina, di 30 anni, ha un’insufficienza respiratoria. Le opzioni sono limitate: andare nell’ospedale pubblico sarebbe esporre la cittadinanza e le cure specializzate a domicilio possono giungere tardi. Attraverso una videochiamata, il dottore indica alla sua famiglia il trattamento che, dopo alcune ore di agonia, risulta di successo. Da allora, ogni volta che riceve un messaggio di qualche familiare, teme che abbia a che vedere con il covid-19: “Avevo la sicurezza che il mio paese fosse preparato ad affrontare questa pandemia, perché abbiamo esperienza in altre come il dengue, ma le decisioni politiche hanno smantellato il sistema di salute e prevenzione”, si lamenta il dottor Arias.
Il Nicaragua è stato l’unico paese del Latinoamerica dove non è stato dichiarato uno stato di emergenza, non c’è stata una chiusura delle frontiere né dei centri scolastici, le leghe di calcio e baseball hanno continuato e dove, contraddicendo gli avvertimenti dell’Organizzazione Mondiale della Salute, il Governo non ha raccomandato l’uso di mascherine e ha incoraggiato la popolazione con diverse attività festaiole. Dietro a queste misure, i dati ufficiali del paese si situano, alla data del 18 settembre, con un’incidenza di 74,89 casi su 100.000 abitanti, con un totale di 4.961 casi. La comparazione con paesi vicini alimenta la sfiducia di alcuni settori della società sulla verità delle cifre: Honduras cifra 707,95 casi su 100.000 abitanti, mentre El Salvador e Costa Rica giungono a 421,60 e 1.193,89 rispettivamente. Anche il resto dei paesi centroamericani (Guatemala, Belize e Panama) si allontanano considerevolmente dai dati offerti dal Nicaragua.
In un centro medico privato della città di León, Jorge Alemán cura quotidianamente persone con sintomi associati al coronavirus che nonostante ciò non può sapere se siano positivi -solo il Ministero della Salute (Minsa) può effettuare i test PCR-, per cui non ingrossano la lista ufficiale. Dalla conferma del primo caso positivo fino a vari mesi dopo, il Governo effettuava l’esame solo a persone che avevano viaggiato all’estero e inoltre presentavano sintomi acuti della malattia. “L’informazione che fornisce il Governo è ermetica, e per questo stiamo facendo una sotto-registrazione che ci permetta di avvicinarci alla realtà”, afferma il dottore. Il Minsa dà la situazione della pandemia nel paese attraverso un rapporto settimanale con tre dati: casi positivi, persone che si sono ristabilite e morte. Il Governo non indica qual è l’incidenza nelle differenti regioni e località del paese, il numero di esami che si realizzano per confermare la malattia né quali di questi siano negativi o corrispondano a cittadini asintomatici.
Si è tardato ad attivare un piano di condotta dentro i servizi medici. Ezequiel (nome fittizio), studente dell’ultimo anno di medicina, dice che “esiste un protocollo, ma manca di un solido fondamento scientifico e non si agisce in modo ottimale”. Precedentemente a queste misure, il Governo proibì al personale sanitario l’uso di mascherine e di sistemi di protezione: “Il suo obiettivo era di non richiamare l’attenzione della cittadinanza e che i pazienti non avessero paura”, conferma Alemán, che afferma anche che gli EPI continuano ad essere insufficienti e che la proibizione ai centri di poter ricevere donazioni private li obbliga a procurarsi il materiale individualmente e di nascosto.
Risposta cittadina
Di fronte alla scarsa informazione e trasparenza offerta da parte delle fonti ufficiali, i professionisti sanitari e i dirigenti comunali hanno messo in moto l’Osservatorio Cittadino del Nicaragua. Con il motto “l’informazione salva vite”, un gruppo di persone si è organizzato in modo volontario e anonimo per documentare e mettere in allerta la popolazione su come si stia sviluppando la pandemia nelle differenti regioni del paese, rendere coscienti della necessità di prendere misure di prevenzione locale e offrire ai professioni della salute alcuni dati di riferimento. Il 9 settembre, l’Osservatorio riportava 10.205 casi possibili e 2.707 morti di polmonite, una cifra che raddoppia quella ufficiale riguardo a contagi e quasi moltiplica per 20 quella dei morti.
María (nome fittizio), sanitaria e membro dell’iniziativa, dichiara che “si sa che il Governo sta agendo in modo negligente e che c’è stata una deliberata propensione alla propagazione e al contagio”, per cui, considera, “ci siano ragioni per giustificare una denuncia internazionale contro chi governa”. Il lavoro che porta avanti l’Osservatorio, spiega il collettivo, si basa su un apporto scientifico ed epidemiologico sviluppato attraverso la vigilanza comunitaria, per cui non aspirano ad essere un mezzo ufficiale d’informazione e riconoscono i propri limiti nell’informare con certezza sulla situazione sanitaria. A partire dall’informazione spontanea di casi o morti associate al covid-19 diffusa nelle comunità, l’organizzazione lavora insieme ai dirigenti comunali e ai professionisti sanitari e scientifici sulla possibile veridicità di questi casi. Con questi dati, l’osservatorio documenta i propri rapporti attraverso canali digitali allo scopo di ampliare il vuoto di informazioni ufficiali che mancano alla cittadinanza. Forniscono anche irregolarità documentate, nella loro maggioranza relative all’esposizione di persone in attività e agglomerazioni, ma hanno anche documentato sepolture clandestine realizzate dal Minsa, scarsità di servizi pubblici, interventi delle forze armate e la denuncia di minacce e persecuzioni. Tra queste ultime, registrano almeno 31 licenziamenti arbitrari di professionisti della salute per aver chiesto alle autorità sanitarie migliorie che sono considerate “in opposizione” al Governo.
A queste denunce si aggiunge la proibizione di realizzare manifestazioni pubbliche, decretata due anni fa dal Governo, dopo la sollevazione della popolazione di fronte alle decisioni politiche che stava realizzando Daniel Ortega. Tra il 2018 e il 2019, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha documentato 328 morti, 3 scomparsi, 130 detenuti e più di 88.000 cittadini nicaraguensi esiliati a seguito delle proteste, un fatto che rende impossibile una protesta pacifica di collettivi contrari alla gestione sanitaria del Governo.
Situazione aggravata
Uno dei casi registrati dall’Osservatorio, ma non dal Minsa, è la morte di Sergio Alberto Vargas Delgado, di 58 anni di età. All’inizio si pensò che potesse essere un raffreddore: aveva febbre, tosse e dolore al petto. Nonostante ciò, subito giunse la stanchezza e la situazione si aggravò. Fin dal primo momento si distanziò da sua moglie e suo figlio piccolo, che vivevano nella stessa casa, ma non si azzardò ad andare al centro di salute per le condizioni igieniche e la saturazione. Dopo quattro giorni morì.
Suo figlio, Sergio Roberto Vargas Baltodano, conferma che il Minsa si è fatto carico del corpo di suo padre e lo ha sotterrato nel loculo familiare senza che fosse possibile a qualche familiare accompagnare la bara. “Crisi acuta di asma e broncospasmo”, si dichiara nel certificato di morte di Sergio Vargas. Nonostante presentasse sintomi di covid-19, non gli fu fatto il test, e nemmeno a nessun familiare che era stato in contatto con lui. La famiglia ricorse alle radiografie per “scartare” la malattia: “Siamo rassegnati a non aver potuto fare nulla di più per mio padre, neppure congedarci da lui. La situazione del paese è scoraggiante”, conclude Sergio Roberto.
A seguito della pandemia mondiale, la popolazione nicaraguense ha avuto un incremento dei servizi di fornitura di luce e acqua che il Governo di Ortega controlla, così come del paniere basico di alimentazione e del prezzo delle medicine e degli elementi di protezione di fronte al coronavirus. Con una popolazione di quasi sei milioni e mezzo di abitanti, l’anno passato la Fondazione Nicaraguense per lo Sviluppo Economico e Sociale ha messo in allerta sul fatto che nel paese si potrebbe essere vicini a circa due milioni di persone in situazione di povertà. Per le fonti consultate, è un fatto che nonostante la “normalità” che il Governo continua a voler mostrare, il paese centroamericano nei prossimi mesi affronterà una possibile situazione di estrema gravità sociale. Così lo manifesta Carolina (nome fittizio), una delle attiviste che fu incarcerata dopo le proteste del 2018 contro il Governo: “Il paese avrà bisogno dell’aiuto internazionale, questo virus non colpisce ugualmente tutta la cittadinanza, giacché le possibilità di lottare contro la malattia sono fortemente legate al livello socioeconomico della popolazione”.
Dall’Osservatorio, in cambio, María crede che sarà difficile giustificare la richiesta di aiuto internazionale: “Minimizzando la pandemia nel paese e normalizzando la situazione d’emergenza che stiamo vivendo, sarà molto complicato dimostrare internazionalmente le necessità alimentari e di risorse che vive la popolazione”. Spera che, se si realizzeranno queste donazioni, i paesi e le organizzazioni garantiscano i meccanismi necessari per assicurare che l’aiuto giunga al suo destino. “Senza interessi di clientelismi”, aggiunge.
21 settembre 2020
El Salto
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Estefanía M. Amador, “Nicaragua: acción comunitaria frente a una falsa normalidad” pubblicato il 21/09/2020 in El Salto, su [https://www.elsaltodiario.com/coronavirus/nicaragua-accion-comunitaria-frente-a-falsa-normalidad] ultimo accesso 28-09-2020 |