Aldous Huxley diceva che “forse la più grande lezione della storia è che nessuno ha appreso le lezioni della storia”, e oggi, a 105 giorni dall’inizio dello sciopero della fame nell’Araucanía, non c’è dubbio che la storia si ripete, essendoci il paradosso di un eco assordante in mezzo a 9 gridi che, inesorabilmente, si spengono.
Prendere la decisione -collettiva in questo caso- di iniziare uno sciopero della fame, è lanciare un ultimo, profondo e straziante grido verso le autorità. Un grido che, come il suo autore, si andrà spegnendo giorno dopo giorno a seguito dell’energia consumata, ma che a sua volta spera, con la sua eco, di giungere negli angoli dove non è ascoltato.
Nell’anno 2010 ci trovavamo in un Cile ad portas di celebrare, anticipatamente, il suo bicentenario. Parallelamente, in un altro Cile, occulto alla società, si ascoltava il primo di questi gridi. Dai recinti penitenziari di Lebu, Concepción, Angol, Temuco e Chol Chol, si univano fino a 34 voci in un grido unisono, chiedendo di rendere visibile la situazione Mapuche nelle carceri del Wallmapu; dove molti comuneri aspettavano per lunghi periodi, anche anni, privati della libertà alla ricerca di un giusto processo.
Le richieste di questo primo grande sciopero, analizzate al giorno d’oggi, sembrano un minimo esigibile in uno stato di diritto; ma a quel tempo non erano ascoltate da Santiago. I comuneri mettevano le proprie vite a disposizione del loro popolo-nazione, per chiedere che non li si indagasse e giudicasse con una legge antiterrorismo; per chiedere di non applicare un doppio processo contro di loro (si istruivano, parallelamente, per i medesimi fatti imputati, procedimenti di giustizia militare e di giustizia ordinaria); ma, come ben segnalò un giorno Eduardo Galeano, “per non essere muti bisogna incominciare a non essere sordi”, e la cosa certa è che gli appelli a rispondere a questo grido dei comuneri, trovavano come risposta solo silenzio.
I comuneri Mapuche dovettero passare 82 giorni digiunando per ottenere una risposta che permettesse di smettere lo sciopero, 82 giorni permisero di rendere visibile a tutto il Cile la situazione che si viveva nel territorio Mapuche, ma che mise anche a serio rischio la vita di ciascuno degli scioperanti, incluso un minore d’età, con permanenti conseguenze per il resto delle loro vite.
Di quel grande sciopero, che in distinte fasi si prolungò per due anni, si traggono varie lezioni; la principale dovette essere intendere le sue origini, le sue motivazioni e, in definitiva, i suoi problemi; con lo scopo di non dover mai più giungere a questo tipo di situazioni limite. Come dire, rispondere alle richieste delle persone abitudinariamente private della libertà, nel tempo e nei modi; senza aspettarsi che siano a rischio le loro vite, per risolvere quanto richiesto.
Dopo lo sciopero del 2010/2011, ci sono stati due importanti istituzioni internazionali che hanno messo l’accento sulla situazione dei comuneri Mapuche in prigione preventiva.
Prima, nel 2013, Ben Emerson, relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e contro il Terrorismo, visitò il Cile. Dopo essersi identificato nella situazione segnalò seccamente che “la legge antiterrorismo è stata applicata in modo sproporzionato contro gli accusati mapuche”, richiamando il governo a “porre la questione mapuche tra le principali priorità del dialogo politico nazionale”.
Dopo, nel maggio del 2014, la Corte Interamericana dei Diritti Umani emesse una sentenza contro lo stato del Cile, nel caso Norin Catriman e altri contro il Cile, che aveva comportato -in istanze giudiziarie interne- una condanna per 8 comuneri Mapuche per presunti delitti qualificati come terroristi. Questa sentenza meriterebbe un articolo a parte, soprattutto nel suo nocciolo fondamentale significò un forte rimprovero della CIDH allo stato del Cile per l’applicazione di detta legislazione d’eccezione, così come per le prolungate privazioni della libertà “preventive” che si applicavano ai comuneri Mapuche che affrontavano processi contro lo stato.
Deplorevolmente, dette istanze non hanno migliorato il panorama per le persone che affrontano un processo penale, specialmente i comuneri Mapuche.
Da quel primo grande sciopero sono avvenuti -per un certo tempo- scioperi specifici da parte dei comuneri Mapuche, imputati e/o condannati; fatto che dimostra una scarsa volontà di dialogo lungo gli anni. Ancor peggio, in questi anni hanno continuato a succedere lunghi processi penali contro comuneri Mapuche, nei quali la prigione preventiva è stata la consuetudine, unita ad innumerevoli cause dello stato e invocazioni -in distinte fasi- della legge antiterrorismo.
Oggi, i comuneri Mapuche hanno visto come, fin dall’inizio dei focolai di Covid-19, i Tribunali hanno lasciato senza effetto le prigioni preventive che colpivano le persone imputate dell’omicidio di Camilo Catrillanca. Nel medesimo senso si è risolto il caso per l’imputato della morte di Alex Lemún e tutti coloro coinvolti nella nefasta “operazione Huracán”, che a suo tempo significò, sulla base di false prove, prigione preventiva per 8 comuneri Mapuche.
D’altro lato, i comuneri attualmente in prigione preventiva ad Angol, non hanno potuto optare per questa morigeratezza delle proprie misure cautelari, incontrando alle loro richieste un sistematico rifiuto, unito alla scarsa applicazione pratica del Trattato 169 dell’OIL, ragione ultima che ha anche colpito direttamente il Machi Celestino Córdova a Temuco, che vuole ritornare al suo “rewe”.
Tutto questo cumulo di situazioni, inevitabilmente ci porta a che si ripeta la storia, e che siano di nuovo i comuneri Mapuche che lancino un grido per rendere visibile lo scarso sguardo verso la multiculturalità imperante nel nostro territorio.
Di nuovo questo grido non è stato del tutto ascoltato, poiché sono piuttosto scarsi i ponti di comunicazione che sono stati eretti, e, in ogni caso, fragili. Una cosa certa è che non si intravede un avvicinamento che districhi lo sciopero, e il rischio di morte di alcuni scioperanti è imminente.
Aldous Huxley diceva che “forse la più grande lezione della storia è che nessuno ha appreso le lezioni della storia”, e oggi, a 105 giorni dall’inizio dello sciopero della fame nell’Araucanía, non c’è dubbio che la storia si ripete, essendoci il paradosso di una eco assordante in mezzo a 9 gridi che, inesorabilmente, si spengono.
*Capo della Difensoria Penale Pubblica Mapuche.
Fonte: http://enestrado.com/el-grito-mapuche-humberto-serri/
17 agosto 2020
Resumen Latinoamericano
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Humberto Serri, “Nación Mapuche. El grito de los prisioneros en huelga de hambre” pubblicato il 17/08/2020 in Resumen Latinoamericano, su [https://www.resumenlatinoamericano.org/2020/08/17/nacion-mapuche-el-grito-de-los-prisioneros-en-huelga-de-hambre/] ultimo accesso 19-08-2020 |