Dalle comunità e dalle organizzazioni territoriali sta prendendo posizione un femminismo che contesta i diversi modi di sfruttamento della terra ancorati al capitalismo.
Una delle sfide, di porci come altri femminismi rispetto a quelli egemonici, è di (ri)pensare le possibili traiettorie possibili, i percorsi attraversati, rivendicando la memoria delle nostre antenate, le altre storie che sono state invisibilizzate, come gesto fondante per decolonizzare il femminismo.
“La decolonizzazione, per noi si tratta di una posizione politica che attraversa il pensiero e l’azione individuale e collettiva, i nostri immaginari, i nostri corpi, le nostre sessualità, le nostre forme di agire e di essere nel mondo e che crea una specie di un “darsi alla fuga” intellettuale, di pratiche sociali e della costruzione di un pensiero proprio secondo esperienze concrete” (Ochy Curiel, 2009).
Decolonizzare il femminismo è chiarire che a noi donne non ci uniscono le medesime caratteristiche e che abitiamo diversi territori (culturali, razziali, di classe, sessuali), in cui certi corpi sono intrecciati da molteplici oppressioni (Gloria Anzaldúa, 1987).
Ci sono stati diversi nomi dei femminismi che sono sorti da questi punti di vista dissidenti. Oggi possiamo incontrare referenti di punti di vista situati nei vissuti storici di donne e dissidenze sessuali, come il femminismo comunitario di sorelle aymara (Julieta Paredes e Adriana Guzmán, 2014) e maya (Lorena Cabnal, 2010), il femminismo popolare contadino del Coordinamento Latinoamericano delle Organizzazioni del Campo, il referente in America di Via Campesina (CLOC, 2017), la nozione di femminismi territoriali (Astrid Ulloa, 2016), femminismi del sud (Maristella Svampa, 2015) o dei femminismi indigeni (Francesca Gargallo, 2014), il femminismo mapuche come proposta di decolonizzazione del Kolectivo Rangiñtulewfü (Ange Valderrama, 2019), tra le tante altre realtà/possibilità, come ne rende conto la seguente citazione:
“Dalla prospettiva femminista si apre uno spazio concettuale per intendere le proposte di donne su un controllo locale dei processi estrattivi e, perciò, del sottosuolo, come dire, una politica verticale del territorio, così come le loro richieste di altre relazioni di genere tra uomini e donne nei processi di difesa del territorio, nel lavoro, nelle mobilitazioni, nelle lotte e resistenze” (Ulloa, 2016, p. 126).
I segni di questi femminismi li troviamo nelle azioni, nelle proteste e creazioni delle donne e delle dissidenze sessuali di popoli originari, afrodiscendenti, contadini, meticci dissidenti (champurrias, ch´ixi), popolari, che sebbene non si riconoscono necessariamente come femministi, fanno parte di diversi processi di lotta contro il capitalismo, il patriarcato e il colonialismo. È così che storicamente queste donne si sono mobilitate contro i progetti estrattivi che hanno mercificato la natura, depredando e contaminando corpi e territori (Astrid Ulloa, 2016).
“Come contadine, si parte anche dalla condizione di sentirsi donne della classe lavoratrice del campo. La cosa importante per noialtre, nel nostro giorno per giorno è di non avere accesso alle terre, che non ci sono scuole, di non avere i trasporti, di non avere accesso alla sanità. Ed è a partire da questa realtà che si costruisce il femminismo contadino. Partiamo dalla realtà che noi donne contadine viviamo. Parliamo anche di femminismo popolare perché è un femminismo di costruzione collettiva” (CLOC, 2017).
Nel 2018 sorge il Comitato Socioambientale del Coordinamento Femminista 8 Marzo (nel territorio del Cile), composto fondamentalmente da donne del Movimento per l’Acqua e i Territori (MAT), dal Coordinamento Giustizia per Macarena Valdés (donna mapuche assassinata nel 2016 a Tranguil, Panguipulli, nell’ambito di una difesa territoriale contro l’installazione di mini-dighe idroelettriche di passaggio da parte della RP Global, attuale RP Arroyo), e da diverse individualità, con l’obiettivo di porre una sguardo femminista contro l’estrattivismo, e a sua volta rendere visibili gli effetti dell’estrazione illimitata e intensiva dei beni comuni/comunitari (chiamati malamente risorse naturali o materie prime) sui corpi e le vite di donne, bambine e dissidenti sessuali.
Da parte delle comunità e organizzazioni territoriali sta prendendo posizione un femminismo che mette in discussione i diversi modi di sfruttamento della terra ancorati al capitalismo, attraverso l’accaparramento di terre e dell’acqua, installando una visione inerte della natura in quanto entità da essere dominata e sfruttata, come le donne.
Oggi le lotte per la sovranità alimentare, le sementi libere da transgenici, la produzione di alimenti da parte dell’agroecologia tanto nell’ambito rurale come urbano, fanno anche parte delle rivendicazioni di questi femminismi, in difesa dei territori mediante una profonda critica dei modelli di sviluppo sostenuti dal progetto modernizzatore coloniale, proponendo e procurando alternative a partire dall’autonomia, dalla gestione comunitaria dell’acqua, dalle economie territoriali, locali e solidali.
In queste alternative si sostengono anche trasformazioni strutturali rispetto ai ruoli produttivi e riproduttivi di donne e uomini, per rompere con le relazioni patriarcali che hanno naturalizzato il luogo del femminile esclusivamente come quello della cura di bambini e bambine, di anziani e anziane, dell’alimentazione e la manutenzione della casa, o dentro il produttivo venendo considerate come ausiliari e non generatrici di lavoro. Non solo è situare le donne nello spazio del pubblico e nella presa di decisioni del divenire dei popoli, ma intendere lo spazio del privato anche come un luogo di costruzione del politico. È posizionare la cucina, l’uso di erbe e piante medicinali, come spazi di costruzione, produzione e riproduzione della vita. Ma soprattutto è situare queste lotte femministe come anticoloniali.
“Il coloniale è uno scenario che definisce il luogo materiale e intellettuale delle donne maya in Guatemala. Quotidianamente non si vedono le donne come soggetti pensanti ma come artefici “per natura” del lavoro manuale “non qualificato”. In altri termini, il luogo sociale delle donne indigene è quello di domestiche. Questo si mescola con un trattamento delle loro immagine come ornamento in quanto oggetto turistico” (Aura Cumes, 2012).
Considerando quanto esposto fino a qui, le nostre traiettorie descritte come femminismi dei popoli fanno riferimento a costruzioni politiche considerando altri sostegni che non siano esclusivamente quello classico (come per esempio la militanza in partiti politici), ma per esempio il luogo della cucina, la musica, la danza, la tessitura, l’orto, i giochi, ricordando la storica lotta delle donne e delle dissidenze sessuali che nella dittatura civile militare hanno resistito mediante le pentole comuni, in cooperative e organizzazioni di economie popolari come “Comprando juntos” (Comprando insieme), dalla casa, dal letto, nella vita quotidiana, ma anche rivitalizzando questa lunga memoria a cui fa riferimento Silvia Rivera Cusicanqui (2010) riguardo alle lotte anticoloniali che le donne di diversi popoli fecero contro l’invasione e l’usurpazione dei territori.
Riferimenti bibliografici:
Anzaldúa, Gloria (1987). Borderlands, the new mestiza. San Francisco: Aunt lute Book Comparay.
Cabnal, Lorena (2010). Acercamiento a la construcción del pensamiento epistémico de las mujeres indígenas feministas comunitarias de Abya Yala, en Feminismos diversos: el feminismo comunitario. ACSUR. Disponibile in: https://porunavidavivible.files.wordpress.com/2012/09/feminismos-comunitario-lorena-cabnal.pdf
Cumes, Aura (2012). Mujeres indígenas, patriarcado y colonialismo: un desafío a la segregación comprensiva de las formas de dominio, Anuario Hojas de Warmi 17, pp. 1-16. Disponibile in: http://institucional.us.es/revistas/warmi/17/7.pdf
Curiel, Ochy (2009). Descolonizando el feminismo: una perspectiva desde América Latina y El Caribe, ponencia Primer Coloquio Latinoamericano sobre Praxis y Pensamiento Feminista, Grupo Latinoamericano de Estudios, Formación y Acción Feminista ( GLEFAS) y el Instituto de Género de la Universidad de Buenos Aires, Buenos Aires, giugno 2009.
Gargallo, Francesca (2014). Feminismos desde Abya Yala. Ideas y proposiciones de las mujeres de 607 pueblos en nuestra América. México DF: Editorial Corte y Confección, Ciudad de México.
Paredes, Julieta y Guzmán, Adriana (2014). El tejido de la rebeldía ¿Qué es el feminismo comunitario? La Paz: Comunidad Mujeres Creando Comunidad.
Rivera Cusicanqui, Silvia (2010). Violencias (re) encubiertas en Bolivia. La Paz: Piedra rota.
Svampa, Maristella (2015). Feminismos del Sur y ecofeminismo, Nueva Sociedad 256, pp. 127-131.
Ulloa, Astrid (2016). Feminismos territoriales en América Latina: defensas de la vida frente a los extractivismos, NÓMADAS 45, pp. 123-139. Disponibile in: http://www.scielo.org.co/pdf/noma/n45/n45a09.pdf
Valderrama Cayuman, Ange (2019). Para comenzar una conversación. Feminismo mapuche o una crónica sobre los procesos coloniales hoy, en Rebelión. Disponibile in: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=252308&titular=feminismo-mapuche-o-una-cr%F3nica-sobre-los-procesos-coloniales-hoy-
18 settembre 2019
Iberoamérica Social
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Francisca Fernández, “Nuestras trayectorias trazadas como feminismos de los pueblos” pubblicato il 18/09/2019 in Iberoamérica Social, su [https://iberoamericasocial.com/nuestras-trayectorias-trazadas-como-feminismos-de-los-pueblos/?fbclid=IwAR1cfQ7br6wZC1mySzwxZM0_duErP7XjcRE6IBzhwX2p0PiiMgVO0AQKWgA] ultimo accesso 08-10-2019. |