Colombia: Intervista al Comandante Pablo Beltrán, dell’ELN


Juan Carlos Hurtado Fonseca e Federico García

“Le maggioranze devono far pressione per la pace”.

Uno dei membri della delegazione di dialogo di questa guerriglia all’Avana, dice che sono in attesa di reiniziare le conversazioni con il Governo, con il quale mantengono canali di comunicazione. Parla della nuova mappa della violenza nel paese e di come questa obbedisce ai grandi interessi economici.

Tutti i giorni, di mattina, Pablo Beltrán sta per due ore in qualche luogo dell’Avana, Cuba, in un internet, controllando i mezzi di comunicazione colombiani e del mondo.

Dopo, inizia le attività che gli ha assegnato la sua organizzazione, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) relative a comunicazioni, riunioni con diplomatici e dirigenti politici, alla ricerca di reiniziare i dialoghi di pace con il Governo colombiano.

Con i suoi compagni riceve i mezzi di comunicazione e i delegati di paesi amici del processo. Sono giorni agitati nei quali, dice, rimangono sempre cose da fare. Incluso così, lui e i suoi compagni delegati da questa organizzazione ribelle trovano il tempo per conoscere alcuni luoghi di Cuba e praticare lo sport per mantenere il proprio stato fisico.

Pablo pratica il nuoto, sport che, come dice, fa fin dall’epoca della scuola grazie al fatto che è nato in un paese pieno di fiumi e torrenti, San Gil, Santander: “Uno là apprende prima a nuotare, dopo a camminare”.

Non è un tifoso di una squadra di calcio, anche se sempre sostiene il tricolore. Gli piace vedere gli sport, e come milioni di colombiani ha vibrato per le pedalate di Egan Bernal in Francia, e ora lo fa con quelle di Nairo e del Superman López in Spagna.

Il cinema è un suo hobby. Gli è piaciuto molto il film Vice, “perché mostra come funziona la politica negli Stati Uniti”. Il suo cibo preferito è tutto quello che ha qualcosa di piccante e raccomanda di accompagnare gli incontri con del rum, magari cubano.

Come rivoluzionario ha dovuto sviluppare una versione molto specifica dell’amore, anche se ama molto i propri figli deve tenersi lontano: “Mentre più mi avvicino a loro, più mi metto in contatto con loro, più li convertono in un obiettivo militare”.

Sogna che i suoi nipoti abbiano un paese migliore. Anelito che dipende da una soluzione politica della guerra in Colombia, paese che -commenta- sarà un luogo vivibile perché ha sufficienti risorse, spazio, ingegno e impegno per essere una grande nazione.

E a proposito di questi sogni, VOZ ha parlato con lui attraverso Internet per sapere se ci siano degli avvicinamenti tra l’ELN e il Governo nazionale, conoscere la sua visione sulle nuove guerre nei territori lasciati dalle FARC e circa la dissidenza comandata da Iván Márquez e Santrich.

Nuova mappa della violenza

-Dell’agenda che firmaste con il Governo di Santos, in cosa si è andati avanti?

-Siamo riusciti a sviluppare l’inizio del punto uno, nel senso di creare una metodologia di partecipazione che fu progettata a Tocancipá nel novembre del 2017. La relazione di questo lavoro con la società fu fatta dalle Nazioni Unite.

Pattuimmo anche un cessate il fuoco bilaterale di 101 giorni, con il quale l’ELN prese l’impegno a non fare sequestri, a non attaccare le infrastrutture petrolifere. Quando se ne stava andando Santos cercammo un secondo cessate il fuoco bilaterale, ma per la fretta di un cambio di Governo non fu fatto, anche se ci sono alcuni protocolli già pronti per continuare a sviluppare ciò che noi diciamo, che i dialoghi diano sollievo alla società e diminuiscano l’intensità del conflitto.

-Con il Governo di Duque e dopo la firma con le FARC, c’è una nuova mappa della violenza nel paese. Le zone che ha abbandonato questa guerriglia sono state controllate da voi, dal narcotraffico, da paramilitari, che lettura date di questo?

-Fin dalla Colonia la Colombia è un paese di regioni isolate dove non c’è presenza di nessun tipo di autorità. Con la creazione di guerriglie rivoluzionarie nate negli anni 60, cominciò ad esserci un’occupazione di questo territorio e siamo elemento di controllo sociale, di ordinamento territoriale, stabilendo norme di convivenza. Quando le FARC se ne vanno da queste regioni rimangono senza Dio né legge. Dove eravamo insieme siamo rimasti noi, ma nelle altri parti si nota il vuoto e queste zone sono propizie alle coltivazioni illecite, varie sono ricche di biodiversità e di minerali.

E il piano economico di questa oligarchia è l’estrattivismo. Allora, cosa c’è di meglio, che allontanare queste popolazioni affinché ci siano grandi progetti? La formula è favorire le coltivazioni di uso illecito, perché così giungono le mafie, i paramilitari, l’oppressione, le fumigazioni, si allontana la gente e tutto rimane pronto per l’agroindustria o l’estrattivismo.

Nei paesi ci dicevano: “Compagno, le FARC se ne sono andate da qui, se voi siete in un processo di reinserimento, rispettiamo il fatto, ma non ci abbandonate perché se ve ne andate questo rimane nelle mani delle grandi imprese, delle bande e noi finiamo sotto i ponti di Pereira e Medellín”.

-Che succede nel Catatumbo?

-Lì ci sono caratteristiche geografiche importanti. È una provincia bagnata dal fiume Catatumbo che va a sud del lago Maracaibo, a cui si aggiungono le lotte contadine, indigene e operaie che ci sono da cento anni. Attualmente sono cresciute le coltivazioni di coca, la militarizzazione e le bande criminali. Di cosa hanno bisogno? Tirar fuori la gente. Là, la mappa dei titoli minerari va dall’oro, al petrolio, all’uranio. Allora, queste comunità organizzate sono un ostacolo per l’estrazione, bisogna allontanarle. Questo capitolo è stato chiuso con le dichiarazione del Generale Diego Villegas, comandante della Forza Operativa Vulcano che ha quattromila soldati, il solito. Ha detto che bisognava sconfiggere l’ELN “e se per questo dobbiamo allearci con Los Pelusos noi ci alleiamo e già parliamo con loro, e se per questo abbiamo bisogno anche di denaro, lo abbiamo”. Che messaggio manda così? Che l’alleanza tra forze statali e paramilitari oggi è più viva che mai, che con i soldi dei colombiani pagano i sicari che sono quelli che stanno uccidendo dirigenti ed ex combattenti. Quando metteranno sotto processo il Generale Villegas?

Dal Catatumbo tutti i giorni ci sono decine di operazioni coperte contro il Venezuela. Il Catatumbo fa parte del piano di guerra degli Stati Uniti nella regione.

-E nel nord del Cauca che succede?

-Hanno ucciso una candidata, perché? Perché un rivale ha detto che lei avrebbe cacciato le multinazionali o i paramilitari. Chi l’ha uccisa? El País di Cali dice che nella zona ci sono sei bande e la banda con la quale abbiamo avuto molti problemi, Los Pelusos, è apparsa nel Cauca, a Suárez dove hanno ucciso la signora. Questo municipio è l’entrata di El Naya che è dove ci sono grandi coltivazioni di coca. Il corridoio tra il Pacifico, il Huila e il Amazonas parte da El Naya, per Suárez, per Toribío, per Caloto, passa per Tierradentro e lì congiunge l’Amazonia. Per dove passa la marijuana cripy che seminano nel Norte del Cauca? I sequestri dei carichi sono fatti alla frontiera con il Venezuela. Da lì passa corrompendo funzionari statali, Guardia Nazionale, funzionari della polizia. Non è un problema di due o tre bande, ma per questo c’è un disegno strategico. Questo lo sanno tutti i militari e tutti i poliziotti. Nel Norte del Cauca ci sono otto basi militari. Alcune settimane fa alcuni tizi hanno mitragliato un autobus nel Norte del Cauca, la Guardia Indigena ha arrestato alcuni tizi che hanno detto di non essere dissidenze (delle FARC, ndt) né bande, ma che li avevano mandati da Cali. I latifondisti sono interessati a limitare la Guardia Indigena.

Il processo con le FARC

-Ossia, non c’è mancanza di capacità dello stato ad occupare i territori lasciati dalle FARC, ma è intenzionale lasciare questi vuoti?

-Un diplomatico ci diceva che l’errore della classe governante colombina è stato quello di tirar fuori le FARC dai territori perché rappresentavano un fattore di ordinamento sociale. Questo non è un errore, questo è stato un piano perché avevano bisogno di tirarli fuori. Siamo giunti ad un punto importante: il piano di pacificazione delle FARC non cercava di promuoverli come forza politica di sinistra, ma di scioglierli, atomizzarli, farli scomparire. Il piano della loro dispersione è cominciato quando loro hanno cominciato il processo di concentrazione, disarmo, reinserimento, consegna delle armi. Nel Chocó le bande del Bajo Atrato colpiscono gli ex combattenti quattro volte quello che mensilmente fa il Governo, e i comandanti, otto volte.

-Che succede militarmente all’ELN?

-Da quando è cominciato il processo di pace nel 2012, contro di noi c’è stata un’intensificazione delle operazioni psicologiche con persecuzioni, discredito e isolamento; militare, attaccando le forze guerrigliere e criminalizzando quello che loro considerano che sia la nostra periferia politica e sociale. Noi facciamo operazioni di risposta e chi ne subisce il maggior peso sono le organizzazioni sociali dove loro vedono che abbiamo insediamenti storici.

-Come vede la decisione dei vecchi comandanti delle FARC di riprendere la lotta armata?

-Mettiamoci nelle loro scarpe. Hanno ucciso 150 ex combattenti, 50 loro familiari e sono passati appena due anni dalla firma dell’accordo. C’è, inoltre, una persecuzione facendoli apparire come appestati affinché nessuno gli si avvicini, se Santrich va al Congresso e riceve insulti e minacce, se contro Santrich la DEA fa una montatura, lo mettono un anno in carcere e lo vogliono estradare, e se lei ha firmato un patto di pace affinché le facciamo questo, loro non possono aspettare che tutto questo continui.

-Loro si sono riuniti con dei membri del vostro Comando Centrale?

-No, non ci siamo riuniti con loro. Loro, nel proclama, ci fanno un invito. A questo la nostra direzione dovrà dare una risposta ufficiale.

– Il presidente Duque ha chiesto un risposta sul perché sia apparsa la loro foto nella prima pagina della vostra rivista.

-Credo che stiano sentendo nostalgia, perché le prime pagine di queste riviste quasi sempre si fanno attaccando Uribe, stanno protestando perché questa volta no.

-Come valutate l’esperienza di pace delle FARC per un futuro negoziato con voi?

-Diciamo che è una pena che questo proceso con le FARC stia affondando come il Titanic. Questo ci lascia un insegnamento: che c’è stato un modello perverso che gli hanno applicato e che ci sono stati errori che hanno commesso i compagni delle FARC, e tutto questo li ha portati allo stato di prostrazione in cui sono, divisi in cinque pezzi, che era quello che voleva l’oligarchia, distruggere una forza che è stata costruita in 60 anni.

Questo modello che ha prodotto la frammentazione e la scomparsa delle FARC come soggetto politico non lo possiamo seguire. Allora, dobbiamo costruire qualcos’altro. Ci sono cose positive, ma anche negative che non si devono ripetere.

-È così pessimista la lettura che fate di questo processo che, con le sue parole, lei crede che siano scomparse le FARC come soggetto politico?

-Guarda le organizzazioni guerrigliere dei processi degli anni 90 e 91, dove sono? Ci sono solo alcune illustri figure isolate, rondini d’estate. Che forza politica si prende sulle spalle la lotta per la Costituzione del 91? Quante controriforme a favore delle transnazionali e dei capitalisti le hanno fatto? E guardate lo stato della società, il sistema dei partiti, la corruzione da cui non si salvano nemmeno i giudici.

Elezioni regionali

-Lei è ottimista? Perché quello che si vede nel panorama sono nuvoloni, che possibilità vede di un processo di pace con questo Governo?

-La politica in Colombia è molto mutevole. Non è che io dico che domani Uribe dirà: “Bene manderò un delegato all’Avana a parlare con gli eleni”, ma penso che nella misura in cui il Governo riceve molte pressioni da parte della società colombiana e della comunità internazionale, che già c’è, questo li fa pensare. Questi sforzi sono delle maggioranze e sforzi sostenuti; per una ragione, in questo sono molto d’accordo con Alfonso Cano: “Nulla di quello che ottiene il popolo glielo regala l’oligarchia, tutto bisogna strapparglielo”, cominciando dalla pace, tutto è lotta.

-Che succederà in queste elezioni regionali, nell’azione militare dell’Esercito di Liberazione Nazionale, ci sarà una specie di tregua? Voi di cosa avete discusso, che pensate di fare al riguardo?

-Noi come guerriglia non possiamo né spingere la gente a votare né proibire che voti, l’ELN continua a rispettare questo, che è come una delle leggi fondative della guerriglia.

-Allora, nessun sabotaggio dei seggi elettorali o incendi di bus che trasportano elettori?

-No, assolutamente.

Sono mantenuti dei canali

-Ma si è parlato, per esempio, di una tregua durante i giorni elettorali?

-In molte regioni ci sono situazioni di scontro e di guerra molto difficili che mi fanno pensare a se sarà possibile che ci sia un qualche tipo di cessate il fuoco. Con questo non voglio dire che lo scarto, ma dico due cose: tradizionalmente lo facciamo ma questa volta lo vedo complesso per i livelli di scontro che ci sono, con questo non sto dicendo che non ci sarà, questa parola la ha la nostra direzione in Colombia.

-Torniamo a dei contatti con questo Governo, è certo che c’è una qualche mediazione della Chiesa, che il Vaticano sia interessato a contatti? Almeno un canale di comunicazione?

-Canali con il Governo, sì, li manteniamo, di diverso tipo, perché ci interessa mantenere il minimo che è la comunicazione, questo è certo. Ci sono settori della chiesa, la medesima Conferenza Episcopale colombiana, incluse le chiese riformate cristiane che si riuniscono con il Consiglio Mondiale delle Chiese, il medesimo Vaticano, hanno la posizione di lottare a spada tratta affinché il processo di pace non vada a monte.

Installazione del tavolo di dialogo a Quito, Ecuador.

-Che settori della società civile fanno pressione affinché ci siano dialoghi?

-Sì, ci sono stati comunicati, manifestazioni, ho visto dichiarazioni di sindacati, di coordinamenti dei diritti umani, di organizzazioni sociali a seguito delle dichiarazioni del 29 agosto, che facevano appello a non abbandonare il processo di pace, a dare continuità agli Accordi, a non lasciar cadere nel vuoto quanto concordato.

Ho anche letto, per esempio, una dichiarazione congiunta del Regno di Norvegia e di Cuba, che faceva appello alla continuità degli Accordi, a reiniziare questo tavolo, ossia in tutto questo ci sono appelli molto conseguenti affinché tutto questo sforzo per la pace non sia abbandonato.

-Che pensa dell’unità della sinistra in questa rotta per il conseguimento della pace?

-Noi aspiriamo a che i settori più avanzati, di sinistra, democratici, progressisti siano il cuore di questa lotta per la pace e la soluzione politica; che nessun problema o disastro o crisi ci porti ad abandonare lo sforzo in questo cammino, e questa iniziativa deve venire dalla sinistra, dalla gente più democratica, più progressista. Perché se questo si mantiene, questa iniziativa, come questa locomotiva, questo cuore, è possibile coinvolgere anche molti milioni di colombiani e andare a configurare delle maggioranze nazionali per la pace, che è quello di cui abbiamo bisogno; queste maggioranze nazionali per la pace vanno oltre la sinistra.

Abbiamo bisogno di ambedue le cose: di chi porta avanti l’iniziativa, di chi non si perda d’animo, e intorno a questo poter avere delle maggioranze perché sono quelle che faranno pressione su questa minoranza che crede che l’unico cammino e l’unico futuro della Colombia sia la guerra, e su di loro bisogna fare pressione con le maggioranze.

12 settembre 2019

Semanario Voz

tratto da Resumen Latinoamericano

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Juan Carlos Hurtado Fonseca y Federico García, Colombia. Entrevista al Comandante Pablo Beltrán, del ELN: Las mayorías deben presionar por la paz” pubblicato il 12/09/2019 in Resumen Latinoamericano, su [http://www.resumenlatinoamericano.org/2019/09/12/colombia-entrevista-al-comandante-pablo-beltran-del-eln-las-mayorias-deben-presionar-por-la-paz-pablo-beltran/] ultimo accesso 24-09-2019.

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