Deterioramenti neoliberali in America Latina


Hedelberto López Blanch

Le leggi neoliberali imposte in America Latina dagli Stati Uniti e dagli organismi finanziari internazionali, come principale fondamento del capitalismo, hanno portato la regione ad affrontare grandi scogli economici e sociali per la sussistenza.

L’obiettivo di questo sistema come parte del capitalismo globalizzato è in generale di promuovere la liberazione del commercio, eliminare l’ingerenza dello stato nell’economia e ridurre al massimo la spesa pubblica con il conseguente impoverimento di milioni di abitanti e, in contrapposizione, l’arricchimento di piccole minoranze.

Sono vari esempi quelli che spiccano in questa ondata regionale di destra auspicata da Washington e che sono giunti al potere per differenti vie come colpi di stato, destituzioni parlamentari o elezioni fraudolente.

Iniziamo dall’Honduras, dove dopo il golpe contro il presidente Manuel Zelaya fu eliminato il cento per cento delle leggi fissate in questo breve periodo a favore del popolo, fatto che ha comportato, come conseguenza, il congelamento della Legge del Salario Minimo, la perdita di 300.000 posti di lavoro, la frammentazione della giornata lavorativa, la revoca degli accordi con l’ALBA, la restituzione di privilegi alle compagnie transnazionali e la promozione delle privatizzazioni.

Attualmente, secondo il quotidiano La Prensa, quasi sei milioni (il 71%) degli 8,5 milioni di abitanti del paese sono poveri; di questa cifra, 4,2 milioni sono in una situazione di estrema povertà che cercano di sopravvivere con un solo dollaro al giorno, mentre solo 15 famiglie controllano l’80% delle ricchezze nazionali.

Il Guatemala è stato considerato uno degli stati falliti raso al suolo dall’Occidente dove si uniscono corruzione, bande, povertà, disuguaglianza, denutrizione e mortalità infantile.

Gli economisti affermano che il paese si approssima alla catastrofe umanitaria e le aree rurali sono le più colpite, dalle quali procede la maggioranza degli emigranti. Le risorse sono scarse, la presenza dello stato inesistente, il crimine organizzato potente e la pressione dei gruppi di potere per realizzare progetti minerari e idroelettrici, quasi insostenibile.

Un Rapporto di Sviluppo Umano elaborato dall’ONU afferma che più di tre milioni di guatemaltechi vivono in estrema povertà e quasi 12 milioni di persone, il 67% della popolazione, “soffre carenze che vulnerano il loro benessere”.

Il Paraguay è considerato uno dei paesi più disuguali del Sudamerica, dove la povertà colpisce il 30% della popolazione che negli ultimi anni ha sofferto grandi inondazioni, lasciando indifesi migliaia di abitanti. Per l’ONG Oxfam questa è la faccia più crudele della disuguaglianza in un paese dove i più poveri guadagnano fino a 22 volte meno dei più ricchi. Allo stesso tempo, con la progressiva meccanizzazione dell’agricoltura, legata alla produzione estensiva della soia, si è prodotto un massiccio esodo dalla campagna e gli emigranti che sono fuggiti dalla fame si sono insediati in aree a rischio, come il letto del fiume Paraguay nei quartieri di Asunción, vulnerabili alle inondazioni.

Per quanto riguarda l’Ecuador, in solo due anni il governo di Lenín Moreno ha riportato lo stato al decennio del 1990 smantellando importanti progressi democratici della Costituzione Politica del 2008. Durante i governi di Rafael Correa il paese ridusse la povertà e i programmi sociali beneficiarono gli abitanti ma ora, con gli accordi con il FMI, Moreno ha ridotto la spesa pubblica da 3.461 milioni a 773 milioni di dollari con gravi danni per le maggioranze.

Ma i casi più disgraziati degli ultimi tempi sono stati quelli dell’Argentina e del Brasile. In quest’ultimo, dopo il golpe parlamentare contro Dilma Rousseff e gli abusi giuridici per detenere Inacio Lula da Silva affinché non i potesse presentare alle elezioni, i regimi di Michel Temer e di Jair Bolsonaro hanno smantellato tutti i programmi sociali e privatizzato numerose imprese pubbliche.

Tra i più colpiti appare il Sistema Unico di Sanità (SUS) istituito dai governi di Lula e Dilma che attendeva il 65% della popolazione e che Temer e Bolsonaro hanno drasticamente ridotto con la scusa che “non c’è una sufficiente capacità finanziaria che permetta di supplire a tutte le garanzie costituzionali”. Allo stesso modo, ambedue i governi hanno attentato contro l’Amazonia autorizzando latifondisti e imprese transnazionali a deforestare questa riserva della biosfera mondiale.

Mentre in Argentina, con l’arrivo al potere di Mauricio Macri e la sua politica neoliberale, hanno portato la nazione ad un indebitamento abissale, ad accordi leonini con il FMI e ad una profonda svalutazione della moneta che dal 2014 ad oggi è passata da 16 a 61 pesos per dollaro.

Secondo l’Università Cattolica Argentina (UCA) la “povertà multidimensionale” che abbraccia carenze economiche, di diversi diritti e servizi basilari, è salita al 41,2% degli abitanti.

In quattro anni di governo, si sono duplicati i prezzi del trasporto pubblico e del 70% di quelli della metro urbana; il costo della luce è salito del 500%, l’acqua e il gas a più del 320%; le prestazioni mediche e delle medicine del 50%, e la benzina, il 30%. L’attuale Argentina è una nazione fallita diretta non da Macri ma dal FMI.

Dopo questi esempi potremmo domandarci: I nostri popoli permetteranno che il sistema neoliberale capitalista continui a saccheggiarli? Il tempo darà la risposta.

*Hedelberto López Blanch, giornalista, scrittore e ricercatore cubano.

10-09-2019

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Hedelberto López Blanch, Deterioros neoliberales en América Latina” pubblicato il 10/09/2019 in Rebelión, su [http://rebelion.org/noticia.php?id=260313] ultimo accesso 18-09-2019.

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