Estrattivismo autoritario e popoli indigeni in Venezuela


Vladimir Aguilar Castro

La malattia estrattivista

Il contesto di ciò che attualmente avviene in Venezuela è quello di un modello economico che, tradotto in sistema politico, rende conto di una enorme assenza di un progetto democratico. In effetti, la crisi di carattere strutturale e culturale che sequestra la nazione evidenzia la mancanza di condizioni per avanzare, non solo nella ricerca di soluzioni per superare il momento presente ma, soprattutto, per andare più affondo negli aspetti che il futuro ci prospetta come paese.

Cento anni di estrattivismo, che ha fatto breccia in questi ultimi venti anni, è l’enorme fardello che la società venezuelana deve sostenere. La possibilità di distribuire il petrolio una volta di più è sfumata facendo di questa risorsa uno strumento di conflitto per il suo controllo domestico (colpo di stato 2001, sciopero petrolifero 2002, guarimbas 2014 e 2017), o una opzione (ora 2019) di conflitto per il suo controllo esterno.

I popoli indigeni venezuelani hanno dovuto combattere questa diatriba petrolifera, ma anche un contratto sociale interpretato come gli pare dai principali attori politici di turno.

Il fondo della questione

Nel paese c’è una sfasatura tra estrattivismo e diritti umani in genere e indigeni in particolare. In altre parole, fino a quando il modello in Venezuela sarà estrattivista difficilmente i diritti indigeni si potranno almeno materializzare. Questo perché i popoli indigeni del paese sono insediati in modo ancestrale in spazi ricchi di fonti di vita (acqua, ossigeno e biodiversità), che con il tempo sono stati sostituiti dalla nozione di risorse (idrocarburi, oro, ferro, coltan, ecc.).

Questo cambio di paradigma ha comportato che le principali vittime dello stato-nazione siano i popoli indigeni del mondo. Per il primo, il nemico da vincere sarà sempre il secondo dato che la relazione è stata scomoda da quando lo stato ha voluto ergersi come unico e principale attore del sistema internazionale, dimenticando che i popoli e i loro diritti sono preesistenti all’entità che sarebbe nata a Westafalia nel 1648.

In altri spazi abbiamo detto che queste e altre questioni dovranno essere delucidate nei tempi futuri giacché fanno parte di una ragione storica: la fine del modello. Se l’interculturalità litiga con l’estrattivismo è perché sempre più è in tensione con la democrazia, se partiamo dal fatto certo che la costruzione democratica in Venezuela è posteriore al petrolio e alla dittatura. E quest’ultimo non è una cosa qualsiasi. Nella storia della nostra nazione la democrazia è stata soggetta al petrolio e alla dittatura, per questo la deriva autoritaria è sempre una costante nell’esercizio del potere politico.

I popoli indigeni del Venezuela e la crisi attuale

La realtà dei diritti indigeni è che sono stati il risultato di lunghe battaglie di resistenza dei popoli indigeni del paese fin dagli anni sessanta (60), con la creazione delle prime organizzazioni indigene e, soprattutto, con la partecipazione di indigeni venezuelani ai principali forum internazionali dagli anni ottanta (80), dove la loro presenza si sarebbe fatta sentire con forza nell’approvazione del Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), organismo del sistema istituzionale delle Nazioni Unite che compie cento anni di esistenza, che insieme alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite (2007) è lo strumento giuridico più importante che attualmente hanno i popoli indigeni del mondo.

Con la Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela (CRBV) dell’anno 2000, si sarebbe aperto un ventaglio di opportunità per il movimento indigeno venezuelano. Al contrario di quello che molti pensavano, poiché l’inserimento dei diritti indigeni nel nuovo contratto sociale sarebbe venuto ad essere una concessione della volontà politica del momento, i popoli indigeni del Venezuela avevano già camminato sufficientemente in ambito internazionale così da rendere esigibili i propri diritti a livello nazionale.

Saremmo così giunti al capitolo VIII della Costituzione. Il medesimo che inizia con l’articolo 119 che riconosce i diritti territoriali indigeni, i loro habitat e terre come condizione per garantire e sviluppare le loro forme di vita, è stato lettera morta fino ad oggigiorno. Lo stato che dovrebbe essere il garante di questo diritto ha esitato a costruire istituzioni per la sua materializzazione ed esercizio.

Questo costituisce il sostrato della ribellione e della rabbia indigena nel Kuèmaracapay. Questo è il fondo del problema. Prima c’è stata la delusione della Linea Elettrica e ora della demarcazione assente. È la reiterata menzogna di un ordine statale che si rifiuta di aprirsi alle richieste indigene per la terra. Come se questo fosse poco, quale stoccata finale, lo stato li trasforma nelle maggiori vittime di questo massiccio orribile piano di distruzione conosciuto come Arco Minerario dell’Onirico (AMO).

Non c’è stata demarcazione ma c’è stata attività mineraria illegale trasformata in un progetto di stato e militare. Di fronte alla truffa della rivoluzione dopo che gli indigeni sono stati i suoi principali alleati, l’opzione che gli rimane è resistere non importa come né quando. L’AMO è l’ultimo colpo ad una lealtà tradita.

Le medesime comunità Pemon che ieri si sono scagliate contro la Linea Elettrica e che chiederanno l’inizio della demarcazione sono quelle che oggi resistono al sopruso dello stato nei loro territori. Tanto la quarta come la quinta Repubblica hanno avuto una visione mononazionale e omogenea dei diritti indigeni rendendo questo evidente nei dibattiti costituenti e parlamentari di ieri e di oggi.

Resistenze indigene e dissidenze giuridiche

L’unica costante nelle storia del processo di conquista e della successiva creazione del Venezuela come stato-nazione, fino ad oggi, è la resistenza indigena. Quest’ultima è l’espressione dell’unico strumento (politico) sul quale contano i popoli indigeni.

Con l’evoluzione dei diritti indigeni nel diritto internazionale, precisamente in seno all’OIL, e il suo successivo inserimento nel diritto interno, la resistenza indigena si è trasformata in dissidenza giuridica.

Attualmente, gli indigeni venezuelani di fronte alla resnullizzazione (res nullius) dei loro territori hanno dovuto fare appello alle proprie tradizioni, alle proprie istituzioni, usi e costumi per affrontare l’altro diritto non indigeno ma, soprattutto, per contenere il processo di frammentazione territoriale a cui stanno venendo sottoposti.

In Venezuela è urgente costruire democrazia. Ma non una qualsiasi democrazia. Secondo la nostra opinione, l’interculturalità è uno strumento per approfondire e trascendere l’attuale caos in cui ci troviamo. Alla deriva autoritaria bisogna opporre democrazia interculturale. È necessario cercare nei sistemi giuridici indigeni le loro proprie forme di risoluzione dei conflitti. Quello che oggi serve nel paese non è più complicato di quanto avvenuto in Sudafrica ai tempi dell’Apartheid.

Non dimentichiamo che in Sudafrica l’Ubuntu del popolo indigeno zulù Xhosa permise di trascendere l’obbrobrioso sistema di segregazione razziale. In Venezuela Ubuntu è Nohimayou (Yanomami), Tujuma Weiña (Yekuana), Unuma (Jivi), Ukuo (Uwottuja), Wabiya (Bare), Wamarubaca Iywa (Piapoco) e Suma Yuyay Kauqsancamalla (Inga).

Abbiamo ancora altri 44 sistemi giuridici di risoluzione dei conflitti nel nostro paese che ci offre la sua enorme diversità culturale. Siamo in tempo…

*Politologo e avvocato venezuelano. Professore ordinario della Facoltà di Scienze Giuridiche e Politiche dell’Universidad de los Andes (ULA), Mérida, Venezuela. Ricercatore responsabile del Gruppo di Lavoro sugli Affari Indigeni (GTAI) dell’ULA. Specializzazione in Relazioni Internazionali all’Università Centrale del Venezuela (UCV). Diploma di Studi Superiori in Storia e Politica Internazionale nell’Istituto Universitario di Alti Studi Internazionali e dello Sviluppo (IUHEID) di Ginevra, Svizzera. Dottorato in Studi dello Sviluppo menzione politica internazionale dall’IUHEID.

*Gruppo di Lavoro sugli Affari Indigeni – Universidad de Los Andes

Immagine: Correo del Caroní

03-03-2019

Osservatorio di Ecologia Politica del Venezuela

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Vladimir Aguilar CastroExtractivismo autoritario y pueblos indígenas en Venezuela” pubblicato il 03/03/2019 in Osservatorio di Ecologia Politica del Venezuela, su [http://www.ecopoliticavenezuela.org/2019/03/03/3408/] ultimo accesso 04-04-2019.

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