Potere evangelico contro il femminismo


Raúl Zibechi

Ad un certo punto nei prossimi anni, l’ondata evangelica raggiungerà tutti i paesi dell’America Latina, perché sta crescendo in modo esponenziale, si sta trasformando in uno tsunami sociale e politico capace di modificare gli scenari a cui siamo abituati. Di modo che dovremmo apprendere qualcosa da quello che sta succedendo lì dove questa ondata si è imposta.

Il Brasile è il caso più sintomatico della crescita evangelica e pentecostale. Gli studi che stanno apparendo mostrano che il trionfo di Jair Bolsonaro è stato possibile grazie all’elettorato evangelico (goo.gl/YbPEoW). Tra la popolazione cattolica c’è stato un pareggio tra Bolsonaro e il candidato del PT, Fernando Haddad. Tra le altre religioni, così come tra gli atei e coloro che non professano nessuna religione, c’è stata una lieve maggioranza a favore del candidato di sinistra.

Ma la differenza è stata pesante tra la popolazione evangelica, tra la quale ha ottenuto più del doppio dei voti e ha ottenuto una differenza di 11 milioni, fatto che ha confermato il suo trionfo. Altre analisi stimano che la maggiore differenza l’ha ottenuta tra le donne povere ed evangeliche, dove la differenza a favore dell’estrema destra sarebbe ancor maggiore.

Il cambiamento nelle tendenze religiose è molto importante in Brasile, anche se in altri paesi della regione sembra che stia avvenendo un processo simile anche se più attenuato. Nel 1950, i cattolici rappresentavano il 93,5 per cento della popolazione e gli evangelici il 3,4 per cento. Nel 2010 la popolazione cattolica era scesa al 64 per cento e l’evangelica si arrampicava al 22 per cento.

Nel 2017 un’indagine realizzata da una fondazione legata al PT, mostrava che tra gli abitanti delle periferie urbane delle grandi città stavano avanzando i valori individualisti che favorivano comportamenti conservatori (goo.gl/3LtZJT).

Uno dei lavori più interessanti, per il sua carattere qualitativo, è stato realizzato nel Morro da Cruz, la maggiore periferia povera di Porto Alegre, che dal 1990 si era messa in evidenza per la sua crescente politicizzazione attraverso il bilancio partecipativo promosso dal PT in questa città. Il quartiere votava massicciamente per Lula, ma nel 2018 si è riversato, anche in modo massiccio, per Bolsonaro.

La prima conclusione dell’antropologa Rosana Pinheiro, una delle organizzatrici dello studio, dice che “è impossibile separare il bolsonarismo dall’antifemminismo” (goo.gl/HHVNuF).  Osservare i cambiamenti in una medesima popolazione lungo un decennio, gli ha permesso di comprendere con maggiori dettagli le motivazioni profonde di coloro che si riversano verso l’ultradestra. Le sue conclusioni sono tremende, anche se contraddicono altri studi.

La crisi economica, dal 2014, ha colpito in modo drammatico le periferie che si sono sentite abbandonate dal sistema politico. Parallelamente, dalle proteste del giugno del 2013 è nata una nuova mobilitazione popolare di donne, neri e LGTB. “Per gli adolescenti della periferia il bolsonarismo era una reazione alla nuova generazione di ragazze femministe, che era inedita in Brasile”, conclude la ricercatrice.

Molti mariti hanno appoggiato Bolsonaro “come un modo per aggredire le donne, che ora hanno più potere”, aggiunge. Tra le altre ragioni, perché è impossibile separare la “crisi del maschio” dalla crisi economica, giacché ambedue si retroalimentano.

La lotta per il riconoscimento delle minoranze nere, LGBT e delle donne si è dispiegata in Brasile solo nei cinque anni passati. Secondo la Pinheiro, gran parte della popolazione vive tensione e insicurezza con la propria identità, “divisa tra il ruolo di oppressa e il desiderio di stare al lato dell’oppressore”. Conclude: “Come conseguenza della colonizzazione, c’è anche una costante lotta di essere/sembrare dell’élite. Questo spiega perché tanti poveri, neri, donne e LGBT hanno appoggiato Bolsonaro”.

Credo che queste analisi portino alla luce alcuni problemi che abbiamo nei movimenti antisistema, per affrontare la nuova destra.

Il primo è che non c’è altro cammino che il lavoro territoriale con i settori popolari, diretto, senza scorciatoie istituzionali o politiche sociali. Solo la presenza militante nel territorio può permetterci di rovesciare questa situazione. Non possiamo attribuire i nostri fallimenti né alle reti sociali né ai media (che fanno la loro parte), ma al nostro abbandono dei territori popolari.

Il secondo è che è urgente affrontare il tempo dei maschi, in genere, e quello dei maschi giovani poveri, in particolare. In un lavoro più ampio, la Pinheiro e la sua collega Lucia Mury Scalco, sostengono che uno dei fattori decisivi per la formazione di una gioventù “bolsonarista” è stata “la perdita di protagonismo sociale e la sensazione di destabilizzazione della mascolinità egemonica” (goo.gl/ZkGhYH).

Ci siamo abituati male, al fatto che politiche macro, inspirate dalla Banca Mondiale, possano risolvere i problemi politici. Le tecnologie sociali di quelli in alto non possono sostituire l’organizzazione e la militanza che, come l’educazione popolare, sono le uniche capaci di modificare le realtà di quelli in basso.

15 marzo 2019

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl Zibechi, Poder evangélico contra el feminismo” pubblicato il 15/03/2019 in La Jornada, su [https://jornada.com.mx/2019/03/15/opinion/016a1pol#] ultimo accesso 22-03-2019.

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