Nel nord argentino il governo legalizza il lavoro infantile


Javier Pellegrina

Il governo della settentrionale provincia argentina di Jujuy -il medesimo che da quasi tre anni tiene prigioniera senza una sentenza definitiva la dirigente sociale e deputata al Parlasur, Milagro Salas- ha dato luce verde alle imprese coltivatrici di tabacco e ad altri gruppi imprenditoriali ad impiegare dei minori.

In quello che va del 2018, il governo dell’alleanza governativa Cambiemos ha concesso 45 autorizzazioni ufficiali per il lavoro di bambine e bambini tra i 10 e i 17 anni, una misura che ha allarmato il paese e ha causato problemi a livello politico e sociale.

Che implica questo sfruttamento infantile in un contesto critico? Quando i capitali avanzano e lo stato scompare, la filosofia della massimizzazione dei profitti non trova un freno, anche quando si tratta del progetto di futuro di una società.

I dati della prima Inchiesta delle Attività di Bambine, Bambini e Adolescenti (EANNA) realizzata dal Ministero del Lavoro, segnala l’Argentina come un paese che storicamente ha mantenuto bassi tassi riguardo a questo problema e mette in rilievo la riduzione del tasso di lavoro infantile.

Questo processo si è evidenziato a livello regionale durante gli anni 2000 e 2016, in coincidenza con periodi nei quali la regione è stata governata da progetti politici che hanno promosso processi ridistribuiti e inclusivi di ampie masse della popolazione. Ma, che succede oggi quando lo stato scompare?

Lo studio raccoglie informazioni tra gli anni 2016 e 2017 e rivela che il 9,4% dei bambini argentini effettua qualche attività produttiva e che quando si parla di popolazioni rurali, la cifra si duplica: il 20% delle bambine e dei bambini tra i 5 e i 15 anni, che vivono in zone rurali del paese, effettua qualche attività produttiva.

Il 70% del lavoro infantile del mondo, si concentra nel settore agricolo, secondo dati del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF). Espresso in numeri, in Argentina ci sono più di un milione e centomila minori di 18 anni che partecipano ad attività economiche e produttive o domestiche intensive, interrompendo la propria formazione e sviluppo.

Se si prende la problematica a livello nazionale, secondo l’UNICEF, in America Latina e nei Caraibi, circa 17,4 milioni (16%) dei bambini e bambine dai 5 ai 17 anni lavora, e secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il 77% effettua lavori pericolosi. Questa cifra equivale a cinque volte la popolazione totale dell’Uruguay. Se il totale dei bambini e delle bambine lavoratrici formasse la popolazione di un paese, sarebbe l’ottavo paese più popolato dell’America Latina su un totale di 33.

Anche se, in comparazione con il tasso regionale, le cifre argentine non sembrano allarmanti, a quanto deve giungere questa cifra affinché rappresenti una richiesta di attenzione a livello governativo? In questo contesto, l’atteggiamento permissivo del governo della provincia di Jujuy, di fronte al tema è un dato da evidenziare. Sarà l’inizio dell’ascesa di questo tasso per il paese e la regione?

Arretramenti

Tra le principali cause che danno origine a questa problematica sociale e umanitaria si trova la povertà; la mancanza di accesso ad una educazione di qualità completa un circolo vizioso di origine e riproduzione di questo problema.

Il modello culturale, come la naturalizzazione del lavoro infantile -nel caso argentino avallato dalla Legge- complica la situazione nei contesti in cui i governi sono più benevoli verso gli interessi imprenditoriali.

Marcelo Nasiff, deputato di Jujuy del partito di governo, ha giustificato il lavoro di bambini e bambine per “compiti leggeri” come “mettere e togliere le canne al tabacco”, quando nella Legislatura di Jujuy altri deputati dell’opposizione hanno chiesto spiegazioni.

“Nel campo i ragazzi aiutano i propri genitori, in queste fragili economie, e gli vanno molto bene alcuni pesos (moneta argentina) che fanno con il lavoro che solo i ragazzi possono fare”, ha giustificato. Ha chiarito che i bambini “non faranno cose che non possono fare”, dividendo così i lavori che sarebbero permessi per il lavoro infantile da quelli che no.

Secondo Nasiff, il lavoro e gli strumenti di lavoro “non uccidono nessuno. È una cosa buona che noi tutti apprendiamo perché ci sono alcuni che se nemmeno da bambini vedono una pala quando la vedono da grandi sono colpiti da infarto”.

Secondo dei dati che ha fatto conoscere l’EANNA, nella regione nord dove si trova ubicata la provincia di Jujuy, la percentuale di bambini e bambine che lavorano sale al 13%, tre punti al di sopra delle cifre nazionali. Lì le principali attività produttive, legate al lavoro agricolo, configurano realtà sociali escludenti, condannando intere famiglie a lavori forzati, in condizioni di precarietà e con bassi salari.

Non sono buoni i pronostici se si considerano, come lo prospetta un rapporto dell’OIL, i legami tra contesti di crisi finanziaria e la crescita delle cifre del lavoro infantile. I processi inflattivi, la contrazione dell’economia e le perdite di posti di lavoro formali, pongono sul tavolo familiare il problema della necessità economica urgente, che obbliga a cercare alternative.

Nell’agosto del 2018 l’Osservatorio del Debito Sociale Argentino dell’Università Cattolica (UCA) ha avvertito che la percentuale di povertà raggiunge il 33% della popolazione e che una su 10 persone si trova in una situazione di indigenza.

In un mondo globalizzato, dove il sistema economico ha bisogno di massimizzare i propri profitti per ripartirli tra pochi, lo sfruttamento lavorativo di bambini e bambine è uno dei suoi compiti preferiti.

Che misure ha preso il Governo argentino al riguardo? Nel 2015, una sentenza della Suprema Corte di Giustizia sciolse il Registro Nazionale dei Lavoratori Agrari (Renata), che cercava di andare avanti nella fiscalizzazione per il controllo del Lavoro Infantile nel campo e nel consolidamento di alternative, come spazi di assistenza per bambini e bambine e programmi di alfabetizzazione e qualificazione per i lavoratori e le lavoratrici.

Nello stesso senso, quest’anno, ha chiuso la Segreteria dell’Agricoltura Familiare, destinata ad accompagnare i piccoli produttori, oggi indifesi di fronte ai monopoli della produzione di alimenti e alla concentrazione della proprietà in ciascuno degli anelli della catena del valore.

La definizione che regola le legislazioni riguardo al lavoro infantile si esprime in modo differente in ogni paese, obbedendo a realtà particolari che “obbligano” a considerare situazioni come il lavoro in seno alla famiglia o per l’auto consumo.

La legislazione argentina condivide la definizione dell’OIL riguardo alle proibizioni del lavoro infantile, considerando che interferisce con lo sviluppo del bambino, ma contempla lavori accettabili che sono permessi come eccezioni alla norma generale. Così, nella legge 26.390, articolo 189 bis, si permette il lavoro per i bambini di 14 anni e più nell’impresa familiare, a certe condizioni.

La legge non aiuta in questo contesto di disputa, dove in brutali condizioni di disuguaglianza e quando non è presente uno stato, gli attori che lottano sono i poteri economici (le imprese), alla ricerca di massimizzare i profitti, contro le famiglie immerse in contesti lavorativi sempre più avversi.

La crisi esacerba la voracità dei capitali per ridurre i costi e pone le famiglie in situazioni di vulnerabilità. La permissività legale, lo avalla.

Analizzando un po’ più a fondo i dati dei bambini e delle bambine lavoratrici in Argentina, scaturisce che il 57,5% nell’area urbana lo fa per la necessità di aiutare la propria famiglia per conto proprio, mentre, nelle aree rurali, il numero raggiunge il 50,1%. Il 5,7% di bambine e bambini che lavorano, tra la popolazione urbana, non frequenta la scuola, mentre nell’ambito rurale la percentuale sale al 10,1%.

In pieno XXI secolo, siamo coscienti che il lavoro infantile minaccia l’integrità fisica e psicologica, il processo educativo e l’accesso alla sanità di milioni di bambini e bambine. In un contesto di neoliberalismo in ascesa queste disuguaglianze minacciano di approfondirsi lasciando prigionieri i bambini e le bambine in condizioni sempre più umilianti di vita.

*Avvocato, analista-redattore argentino del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico (CLAE, estrategia.la)

26/11/2018

Estrategia / CLAE

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Javier Pellegrina, El gobierno legaliza el trabajo infantil en el norte argentino” pubblicato il 26/11/2018 in Estrategia / CLAE, su [http://estrategia.la/2018/11/26/el-gobierno-legaliza-el-trabajo-infantil-en-el-norte-argentino/] ultimo accesso 17-12-2018.

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