Il Nicaragua e la sinistra morta


Amaia Pérez Orozco

Continuare ad appoggiare il regime orteghista, è fare una politica profondamente conservatrice, anchilosata dalla paura di disfarsi del dogma conosciuto che ci spiega tutto: il bene, qui; il male, nell’imperialismo gringo che ‘tuttopuò’.

Una sinistra viva e coraggiosa, una sinistra non testosteronica, è quella che si prende la responsabità di sostenere la resistenza affinché da quella possa essere costruito un vero potere popolare. Quella che guarda il Nicaragua per apprendere come raccogliere qui il malessere sociale senza pretendere di farlo da un soggetto rivoluzionario univoco, omogeneamente oppresso dalla mano del capitale o dall’impero.

Passano tante cose e così terribili in questo mondo di merda. Tutto va così male, in tanti luoghi, che il cuore, la testa, il tempo non sono sufficienti per rispondere a tutto quello che succede.

E, allora, in Nicaragua si scatena la repressione. Una repressione che veniva da lontano e che si evidenziava nel soffocamento della lotta per la sovranità dei corpi, esemplato nella proibizione assoluta dell’aborto. Una repressione che da aprile si è scatenata nelle sue forme più virulente, dapprima, con arresti, aggressioni sessuali, torture, licenziamenti politici e dopo esili.

Si scatena tutto questo e ci sono coloro che non hanno la capacità di trasformare la lotta contro la repressione del regime di Ortega-Murillo in una priorità, perché il mondo ci trascende. Fino a qui, comprensibilmente e deplorevolmente accettabile? Ma quello che risulta evidentemente inaccettabile (forse si deplorevolmente comprensibile) è giustificare la repressione in nome di una presunta resistenza all’imperialismo yankee.

In nome di una presunta sinistra, si mette insieme ogni tipo di motivazioni ‘cospiranoiche’: la Carovana di Solidarietà Internazionale e il movimento femminista nicaraguense sono finanziati dall’USAID; il capitale nordamericano vuole recuperare posizioni di fronte a quello cinese. È l’imperialismo, l’ombra onnipresente che gestisce le vite di tante e tante e tanti nicaraguensi. Sono sue marionette, anche se loro credono di agire per conto proprio ogni giorno che si giocano tutto; che si giocano la tranquillità dell’anonimato o la connivenza per andare in una barricata, per appoggiare un centro medico clandestino, per protestare di fronte ad una prigione, per confermare un’articolazione di movimenti sociali contro l’orteghismo.

Che sinistra è questa? Che genere di sinistra è un progetto politico che ci legge come mere marionette in una mano che può tutto, negando l’intelligenza vitale e politica delle persone in funzione di come rientriamo in uno schema di distribuzione di colpe premeditato? Ci sono quelli di noi che, di fronte alla retorica del al-di là-della-sinistra-e-della destra, abbiamo difeso il valore di questa etichetta… non per l’etichetta in sé, che non vale nulla. Ma per quello che contiene. Ma, all’ora della verità… che contiene?

La sinistra è una politica delle cose vive: quella che è capace di comprendere i processi, le relazioni, le situazioni storiche vive; ancor più quelle che ci trascendono e ci rompono gli schemi. È una politica del coraggio. Quella che non si afferra ad un dogma imposto e prefabbricato. Quella che guarda negli occhi e ascolta le compagne più in qua della loro pre-attribuzione a nessun colore. Quella che fa tutto quello segnando linee rosse: La linea rossa della sovranità sulla propria vita privata e collettiva, e sulla propria terra. Chiaro che sì. Quella che appoggia un processo di ribellione affinché nessun estraneo al popolo stesso se ne appropri o lo schiacci. La linea rossa della giustizia sociale, lottando perché il processo di ribellione vada per mano con una redistribuzione del potere socioeconomico, e sostiene i movimenti di base affinché siano forti e segnino il ritmo e il contenuto della resistenza di fronte agli altri attori, come chiesa e impresari, alleati date le circostanze, ma alleati estranei, congiunturali, parziali e/o indesiderabili.

Continuare ad appoggiare il regime orteghista, chiamarlo seconda fase della rivoluzione, è fare una politica dell’astrazione sulle cose vive, una politica degli schemi morti sulle illusioni che ogni giorno si fanno carne. Una politica che non osa mettersi in discussione né riesaminarsi. È una politica profondamente conservatrice, che è paralizzata dalla paura di disfarsi di quanto conosciuto che ci spiega tutto: il bene, qui; il male, nell’imperialismo gringo che ‘tuttopuò’.

Una sinistra viva e coraggiosa, una sinistra non testosteronica, si prende la responsabilità di sostenere la resistenza affinché da quella possa essere costruito un vero potere popolare. Una sinistra viva e coraggiosa è una sinistra che sostiene le compagne femministe, che d’altra parte, per difficoltà della storia, si trovano a lottare, in parte, con chi sono in profondo disaccordo.

Una sinistra viva e coraggiosa è quella che guarda il Nicaragua e si domanda per quale ragione ci succede qui: dove andiamo a (ri)costruire il nostro soggetto di lotta, accettando che, o è per tutte-tutti-tuttx, o non c’è liberazione, emancipazione né sovversione possibile. Quella che guarda al Nicaragua per apprendere come raccogliere qui il malessere sociale e lottare contro la precarietà vitale come regime politico senza pretendere di farlo da un soggetto rivoluzionario univoco, omogeneamente oppresso per mano del capitale e dell’impero e soggiogato al dogma del bene e del male. Quella che si fa carico del complicatissimo compito di farsi eco della dolorosa sensazione del fatto che ce l’hanno rifilata: ci promettevano il sogno americano, e risulta che in questo mondo non sono possibili i sogni di tutte le persone. E allora… che? Un altro mondo dove sì entriamo o gettiamo chi è di troppo? Affrontare questo momento e ribellarsi contro la ricetta che detta l’espulsione per quelli fuori e l’ordine per quelli dentro (ben collocati per gerarchia sociale, di genere e razzializzazione) esige molto coraggio costruito a partire dalla vita medesima, per risolvere la vita medesima, qui e ora.

Il Nicaragua, come il Messico o come il Brasile, non è un’altra cosa: è uno specchio in cui guardarci per cambiare e apprendere. E, di fronte a quello specchio, ci sono quelli che reiterano una politica di sinistre morte. Osiamo sperimentare una politica viva.

15-10-2018

El Salto

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Amaia Pérez Orozco, Nicaragua y la izquierda muerta” pubblicato il 15/10/2018 in El Salto, su [https://www.elsaltodiario.com/vidas-precarias/nicaragua-y-la-izquierda-viva-y-la-izquierda-muerta] ultimo accesso 26-10-2018.

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