Harley Morales è uno dei 40 rappresentanti studenteschi che prendono decisioni strategiche nella rivolta contro il governo comandato da Daniel Ortega. Harley Morales ammette che, a causa della poca esperienza, gli universitari stanno commettendo errori e che intorno a loro c’è molta gente interessata ad imporgli le proprie agende; tra loro, politici tradizionali e impresari nicaraguensi, sui quali mantiene non pochi sospetti.
Il suo principale timore è che, se permettono che il tempo passi senza che ci sia una soluzione, i grandi impresari rinnoveranno il loro patto con Ortega o si impadroniranno dello stato.
Carlos Dada
Harley Morales oggi vive in una specie di convento. Questo giovane di 26 anni, studente di sociologia nell’Università Centroamericana (UCA) del Nicaragua, dorme in una residenza di sicurezza, insieme agli altri 40 universitari rappresentanti dei gruppi studenteschi sorti nell’attuale crisi politica.
Harley Morales è membro del comitato di strategia politica dell’Alleanza Universitaria, uno dei cinque movimenti studenteschi che compongono la Coalizione Universitaria, e della Società Civile, conglomerato che rappresenta la lotta politica che chiede l’uscita degli attuali governanti. A questa coalizione si sono unite ONG e anche associazioni imprenditoriali.
La crisi è iniziata meno di due mesi fa, il 18 aprile, a seguito dei tagli alle pensioni dell’INSS. Le proteste sono diventate di massa a seguito degli attacchi della Polizia Nazionale e delle forze pro-governative. Quando si sono incominciati a contare i morti, le proteste hanno smesso di essere per le pensioni, e si sono dirette contro la repressione statale. Gli universitari si sono trincerati nelle università e nelle chiese, e un significativo settore della popolazione li ha accompagnati, chiedendo la rinuncia dei governanti. Questo è stato l’inizio dell’attuale crisi politica e sociale in Nicaragua. Appena sette settimane fa. Da allora, più di 130 persone sono morte come conseguenza diretta del conflitto, e ogni giorno aumenta questa lista.
Più spinti dalle circostanze che da una deliberata decisione di portare la bandiera di una rivolta popolare, gli studenti hanno dovuto passare, in piena protesta di strada, ad una nuova fase: quella dell’organizzazione. “Dal medesimo 19 aprile si sono cominciati ad organizzare comitati e sono stati costituiti movimenti; ci preoccupava che la protesta sfuggisse di mano”, dice Harley Morales. Il suo, chiamato Alleanza Universitaria, è sorto a partire da quello che lui chiama “il sequestro della cattedrale”: il 19 aprile, in pieno ripiegamento, fuggendo dai proiettili, centinaia di studenti e civili si sono rifugiati nella cattedrale di Managua e sono dovuti rimanere lì vari giorni, assediati. Dentro il tempio si sono organizzati e sono sorte le prime dirigenze. In mode simile, in varie università si sono formati gli altri quattro gruppi.
Questi rappresentanti studenteschi si sono trasformati in poche settimane da agitatori sociali ad attori politici. Se prima (appena un mese fa) si incontravano in strada con il megafono in mano o organizzando la logistica nei campus, ora vivono insieme, come se fossero internati, isolati, circondati da consulenti e con una tremenda pressione da parte di diversi settori affinché fissino delle posizioni in un processo molto complicato.
Sono, quindi, una vera generazione spontanea, che cerca di adattarsi al proprio protagonismo in un momento di quelli che chiudono e aprono capitoli nella storia. Continuano ad essere, insieme alla chiesa, coloro che legittimano ogni passo del processo e si sono conquistati il riconoscimento nazionale e internazionale da quando, all’insediamento del tavolo di dialogo, lo scorso 16 maggio, uno studente di 20 anni chiamato Lesther Alemán ha detto al presidente Ortega che l’unica cosa che negozieranno a quel tavolo era la sua uscita. Il video ha fatto il giro del mondo.
Il governo orteghista li considera parte di una “cospirazione golpista della destra”, e non sono pochi i sospetti che risveglia la repentina capacità economica di alcuni studenti per fare delle conferenze in saloni di hotel di lusso o per mantenere una nuova vita senza avere entrate.
Harley Morales non si rifiuta i rispondere a queste domande e chiarisce l’origine dei fondi per il suo mantenimento. Ma sanno, dice lui, che questi fondi vengono con trappole, da settori che cercano di promuovere la propria agenda attraverso di loro, che sono stati legittimati nelle strade. Sono giovani senza esperienza, a volte ingenui, che cercano di camminare in mezzo ad un bosco con molte minacce, non poche delle quali che camminano accanto a loro.
La settimana scorsa, una delegazione di questi studenti ha visitato Washington, per assistere all’assemblea generale dell’OEA, e poco dopo si sono riuniti e sono stati fotografati con tre dei più estremisti repubblicani statunitensi: Marco Rubio, Ted Cruz e Ileana Ross-Lehtinen. Le foto hanno sorpreso tutti in Nicaragua e sono state viste con perplessità non solo dai simpatizzanti di Ortega, ma anche da oppositori del regime, liberali ed ex sandinisti. “È stato terribile”, dice. “Sono l’estrema destra repubblicana. Siamo molto scontenti di quel viaggio, che è stato pagato dagli Stati Uniti e che gli sia stata imposta un’agenda. Ci siamo mostrati in modo terribile. Dovremo correggere degli errori”.
El Faro ha confermato che il viaggio a Washington lo ha pagato l’organizzazione Freedom House, con sede a Washington, che ha anche stabilito l’agenda degli studenti, inclusa la controversa visita a Rubio, Cruz e Ross-Lehtinen. Carlos Ponce, incaricato per l’America Latina della Freedom House, ha dichiarato che sono state chieste riunioni con altri congressisti e senatori ma che solo questi tre hanno accettato. “Sembra che siano i più interessati”, ha detto.
Le foto con i repubblicani sono state inopportune, data la congiuntura in Nicaragua: il governo di Ortega accusa gli studenti di essere degli strumenti di una cospirazione della destra internazionale. L’errore non li ha delegittimati, ma gli ha lasciato alcune prime lezioni in politica, come ammette Harley Morales. La principale, probabilmente, è che intorno c’è molta gente che vuole imporgli un’agenda che è loro estranea.
Qui conviene valutare le cose. Questi ragazzi erano dei bambini quando nel 2006 Daniel Ortega conquistò la presidenza. Sono giovani universitari senza nessuna esperienza politica, che da due mesi sono sotto tutti i riflettori e con il peso di essere protagonisti di un’importante transizione del proprio paese. Non è strano, quindi, che la loro ingenuità sia stata resa evidente nella visita a Washington. Ma, soprattutto, non è strano che ci siano tanti settori interessati ad isolarli, a influenzarli, a portare avanti le proprie agende attraverso di loro. “Sappiamo che solo noi possiamo legittimare questo processo”, dice Harley Morales. Lo sanno anche coloro che bazzicano intorno a loro.
Questa conversazione ha avuto luogo nella mattinata di venerdì 8 giugno, a Managua.
Come vi siete organizzati in sette settimane?
Dal 19 aprile si cominciano ad organizzare comitati e vengono costituiti movimenti. Ci preoccupava che la protesta sfuggisse di mano. Quando la Conferenza Episcopale ha fatto un appello al dialogo, abbiamo sostenuto delle riunioni con il Cosep (Consiglio Superiore dell’Impresa Privata), con organizzazioni della società civile e altre che erano favorevoli ad organizzare questo. Il Cosep fa parte della Coalizione, anche l’Amcham (Camera di Commercio Americana in Nicaragua); ci sono organizzazioni contadine e anche rappresentanze dei popoli dei Caraibi.
Perché avete deciso di unirvi a gruppi così diversi dal vostro?
Sappiamo che il modo per abbattere il regime è di fare un’agenda comune. Il movimento studentesco ha già mutato la politica. Non lottiamo per borse di studio né per agende settoriali.
E chi vi paga la vostra nuova vita? Il vostro mantenimento, il vostro alloggio, i vostri movimenti, la vostra sicurezza, i vostri viaggi…
Chiediamo un minimo di sicurezza per andare al dialogo e ovviamente non ce la darebbe il governo. Dobbiamo allearci con altri settori, come quello privato e la società civile. Non c’è solo il settore privato. C’è Oxfam, il Movimento María Elena Cuadra, i produttori agropastorali e gli allevatori, ecc…
Come è scaturito il viaggio a Washington?
Quel viaggio è stato qualcosa di molto strano. Siamo molto scontenti di quel viaggio. Anche del nostro rappresentante. Quando lo abbiamo pianificato c’erano molti attori che volevano influire sull’agenda. Questo è avvenuto fin dall’inizio. Mi riferisco a organizzazioni, a politici dell’opposizione, alcuni più a destra… Questo viaggio è stato finanziato dagli Stati Uniti (Freedom Foundation) e gli è stata imposta un’agenda, e questo è terribile. Sono stati loro che hanno deciso quali studenti sarebbero andati.
Allora perché lo avete accettato?
Non lo abbiamo accettato. Per noi era chiaro chi avrebbero assistito all’Assemblea Generale dell’OEA. È terribile. Non sapevamo delle riunioni con Ted Cruz, con Ileana Ross né con Marco Rubio. Siamo molto scontenti di questo. Quando verranno i ragazzi, parleremo con loro. Non possiamo cedere sulle cose fondamentali.
A cosa ti riferisci?
È che non ci hanno avvisato che andavano a quelle riunioni. È stato molto strano. Ora tutti i movimenti hanno dei consiglieri. Persone che si muovono. Figli di politici, imprenditori… Hanno una linea politica molto chiara. Dei tre studenti che sono andati a Washington due sono del Movimento 19 Aprile e uno, Fernando Sánchez, è della nostra alleanza.
E lui non vi ha detto dove andava?
È che nella Coalizione non ci vedono più come gruppi. Qualcuno lo ha chiamato e gli ha detto: ti porteremo. Non hanno comunicato nulla agli altri.
Che cosa non ti piace delle riunioni con Rubio, Cruz e Ross?
Noi non ci vendiamo! Né nella nostra stessa Alleanza. Poniamo sul tavolo i nostri punti. Siamo legittimati e questa alleanza esiste per noi, non per il settore privato, e possiamo delegittimare l’alleanza e andarcene. Non siamo figli del Cosep. Io sono di sinistra. Io non sarei andato.
Come sono state accolte quelle riunioni all’interno dell’Alleanza Universitaria?
Dovremo fare un piano di correzione degli errori. Ci siamo mostrati in modo terribile. Se già dicevano che eravamo figli del Cosep, che diranno ora, che siamo figli del Partito Repubblicano degli Stati Uniti? Dobbiamo parlare di questo quando torneranno.
Secondo la tua opinione ci sono attori interessati a manipolarvi?
Molti. Io sono andato all’UPoli (Università Politecnica, una delle prime occupate dagli studenti per trincerarsi), il 22 aprile, e ricordo che già allora avevo riconosciuto quanti attori erano già lì per vedere con chi parlare. C’erano molti gruppi che si contendevano la guida degli studenti. E molti cercando di “consigliare”. Questa è la parola chiave. I “consiglieri”, che io credo che stiano prendendo decisioni e ci sono movimenti che si lasciano consigliare da certe persone.
Come è la vostra relazione con il Cosep in questa congiuntura?
Noi siamo molto chiari. Sappiamo che quando il Cosep non avrà bisogno di noi, ci scarteranno. Ma noi abbiamo altri piani.
Me li rivelerai ora?
Chiaro. La storia ci dice che non dobbiamo assoggettarci all’agenda politica ed economica degli impresari e sappiamo che ci lasceranno in strada. Conosciamo il rischio in cui siamo caduti per aver ricevuto il loro sostegno. Credono di poterci chiedere qualcosa in cambio. Noi insistiamo su giustizia e democrazia, e ci sono alcune cose che diciamo che non gli sono piaciute.
Non c’è una contraddizione nel fatto che voi, oppositori del sistema instaurato da Ortega e i grandi imprenditori, siate ora appoggiati da quei medesimi imprenditori?
Si c’è. Ci furono due patti che permisero l’arrivo di Ortega al potere: quello che fece con Arnoldo Alemán e quello che fece con la grande impresa privata. Noi, quando abbiamo cominciato a dialogare con gli impresari, non lo abbiamo fatto con (José Adán) Aguerri (direttore esecutivo del Cosep), ma con Michael Healy (presidente dell’Unione dei Produttori Agropastorali del Nicaragua, UPANIC) e con Álvaro Vargas, della FAGANIC (Federazione delle Associazioni Allevatori). Crediamo che il Cosep ora sia in discussione. La Camera di Healy è la più belligerante. Gli imprenditori li abbiamo come alleati di fronte al dialogo, ma non abbiamo fiducia. Una volta siamo stati molto chiari con loro: gli abbiamo detto che temevano che il dialogo fosse uno show mediatico e che il vero dialogo si stesse facendo sotto il tavolo. Questo è il nostro sospetto latente. Noi chiediamo giustizia e democrazia.
E la giustizia passa per far sedere nei tribunali tutti i corrotti? Come dire, anche gli imprenditori che risultassero complici della corruzione?
Sí, chiaro. Certamente! Ma prima bisogna giudicare i responsabili di tutti questi assassinii.
Se domani Ortega rinunciasse, come voi chiedete, e ci fosse una convocazione delle elezioni, che fareste?
Noi non puntiamo più ad essere un movimento studentesco ma un cambio della guardia dell’élite politica sregolata che ha sempre protetto i suoi propri interessi. Forse non siamo noi coloro che dirigeranno il paese sul breve periodo, ma saremo una forza belligerante. Se domani ci fossero delle elezioni, dovremmo sederci con molte persone. “Preparare un campo”, come dice l’OEA. Non chiediamo solo elezioni trasparenti, ma profonde riforme elettorali. Non vogliamo solo un cambio di élite. Non vogliamo partiti tradizionali. Il colpevole di tutto questo non è solo il Fronte Sandinista, ma tutta l’oligarchia e l’élite politica di questo paese, per complicità o per incapacità. Abbiamo reso chiaro agli impresari che non volevamo elezioni, ma la rinuncia degli attuali governanti e la formazione di una giunta di governo provvisoria. La nostra lotta è anche contro tutti i partiti politici tradizionali.
Allora che volete fare?
Ora stesso il FSLN è in crisi. Il nostro timore è che se diamo più tempo fino a convocare elezioni, il Cosep e i grandi impresari faranno un altro patto tripartito [così chiamano in Nicaragua l’accordo tra Ortega, i grandi impresari e i sindacati, che ha permesso al comandante di governare senza contrappesi, di corrompere le istituzioni statali ed eliminare l’opposizione, con la benedizione e la complicità dei grandi impresari che, in cambio, dettano le misure economiche e hanno benefici dallo stato]. Abbiamo bisogno di garanzie affinché non siano né i partiti politici né gli impresari coloro che si prenderanno questo. Nessuno può imporre i propri interessi.
Ma quale sarà, per voi, il calendario ideale?
L’impresa privata ha chiesto 14 mesi. Questo permetterebbe di patteggiare con il regime o che loro rimangano. Noi chiediamo una circoscrizione popolare per partecipare alle elezioni in alleanza con altri settori.
Ma come, con chi, se voi ritenete di non avere leader?
Ogni accordo della società civile oggi ha bisogno di essere legittimato da noi. Dobbiamo essere abbastanza saggi da sapere chi sono quelli chiamati a ricoprire le cariche pubbliche. Non andiamo con la logica della vendetta.
Recentemente sono venuti i rappresentanti dell’OEA e si sono riuniti con voi. ¿Di cosa avete parlato?
Abbiamo parlato noi. Loro non hanno parlato molto. Gli abbiamo chiarito le nostre posizioni e lo scenario in cui stanno. Ortega vorrebbe un patto con degli attori meno belligeranti. Conosciamo la relazione d’amore di Almagro con questo governo. Dicono che il campo sarà pronto per gennaio, ma per gennaio ci avranno uccisi. Gli abbiamo presentato la nostra agenda. Ci hanno detto che loro non accettano nulla al di fuori delle vie costituzionali.
E quale è stata la vostra controproposta?
Che ad agosto ci possa essere una chiamata alle elezioni. Ma prima ci devono essere delle riforme. Non accogliamo qualsiasi elezione anticipata.
Tutto questo richiede l’uscita di Ortega?
Nel momento in cui il dittatore accoglie la nostra agenda, starebbe arrendendosi. Questo lo sappiamo. Gli staremmo piegando il braccio. Questo dipende dalla nostra capacità di mobilitazione, dalla strada. Deplorevolmente abbiamo finito col fare una brutta figura di fronte alla comunità internazionale.
Parliamo un poco delle vostre attuali condizioni, rinchiusi, con sicurezza,… Non vi ha fatto perdere il legame con la strada, precisamente che cosa siete riusciti ad ottenere ad aprile?
Abbastanza. Ha i suoi contro ma anche i suoi pro. Ci ha permesso organizzarci meglio, ideare strategie, linee d’azione. Abbiamo perso il contatto con i blocchi e la nostra debolezza è l’UNAN (Università Autonoma del Nicaragua), perché è molto grande. Stiamo cercando di integrarli di più nella coalizione. C’è stato un momento in cui stavamo nei blocchi. Ora siamo in un’altra fase. Non bisogna più solo trincerarsi. Dovremo essere molto creativi e apprendere dalla storia.
Menzioni molto la parola storia. Voi vi fate carico di essere protagonisti di un momento storico?
Sí, lo sappiamo. Le circostanze obbligano a prendere delle decisioni minuziose e ad avere disciplina. Chiamare rivoluzione questo è bello, ma questo significa cambiare strutture. Ora la priorità è che non ci uccidano. Dopo, la giustizia e la democrazia.
Il tavolo di dialogo convocato dalla Conferenza Episcopale è stato sospeso. Che succede se lo danno per finito?
Prevediamo delle strategie affinché le forme di bloccare il paese siano più coordinate. Una rete di approvvigionamento. C’è sempre la possibilità di uno sciopero o dell’insediamento di una giunta di governo in territorio liberato, come Masaya. Sono modi di fa pressione.
Foto Víctor Peña
10 giugno 2018
El Faro
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Carlos Dada, “La prioridad ahorita es que no nos maten; luego, la justicia y la democracia” pubblicato il 10-06-2018 in El Faro, su [https://elfaro.net/es/201806/centroamerica/22015/“La-prioridad-ahorita-es-que-no-nos-maten;-luego-la-justicia-y-la-democracia”.htm] ultimo accesso 14-06-2018. |