Nicaragua: Il dialogo e la lotta popolare


Luis Carrión Cruz, Comandante della Rivoluzione

L’opinione critica dell’ex comandante sandinista Luis Carrión.

Gli accordi che deriveranno dal dialogo saranno il risultato della correlazione di forze reale e percepita da parte della società civile e del governo. Se il governo continua a credere che può piegare la lotta civile mediante la repressione che sta esercitando non avrà incentivi per accettare cambiamenti qualitativi del regime dittatoriale. Se i rappresentanti della società civile credono che non è più possibile elevare il livello della pressione popolare avranno la tendenza ad accettare termini al di sotto di quello a cui è possibile giungere. È molto importante pertanto avere una chiara visione della situazione.

La pressione nelle strade e il fallimento della repressione sono stati i fattori che hanno portato Ortega a chiedere ai vescovi di organizzare il dialogo che attualmente viene portato avanti. Mai prima Daniel Ortega ha voluto dialogare sulla corruzione delle istituzioni, gli abusi di potere, le frodi elettorali, la vendita della sovranità nazionale ad un avventuriero cinese, la privatizzazione dei fondi del Venezuela, e l’uso dello stato come strumento di dominio politico ed estrazione di rendite corrotte a tutti i settori del paese. Se riesaminiamo l’esperienza di questi ultimi 11 anni vediamo che Daniel Ortega non dialoga, o detto meglio, non dialogava.

Il modello di “dialogo e concertazione” o come si chiama, è stato un modo di cooptare i grandi impresari del paese e trasformarli negli unici interlocutori su temi di interesse delle parti, in cambio del quale ha ottenuto una legittimità che il processo politico non gli forniva in sufficiente grado. Gli ha fatto credere che negoziava con loro, ma come ha detto la Murillo “il consenso giunge fino a dove si può”, come dire, alla fine loro impongono la propria unilaterale decisione come è avvenuto con il decreto dell’INSS (Istituto Nazionale di Sicurezza Sociale). A Ortega, questa concertazione gli ha facilitato consolidare la propria dittatura ed escludere dalla partecipazione politica grandi settori che per molti anni non hanno avuto nessuna rappresentanza, così come soffocare senza troppe conseguenze le richieste popolari, ma tutto questo si è accumulato fino a che il 19 aprile è esploso.

Ortega non ha un genuino interesse alla democrazia eccetto come formale processo che serve da coperchio al suo desiderio di perpetuarsi al potere e accumulare esorbitanti somme di denaro. Per questo la sua principale risposta alla sfida posta dal movimento civico democratico è stata l’uso della brutale e indiscriminata repressione, anche dopo che è stato insediato il tavolo di dialogo. Dalla sua prospettiva il dialogo è un modo di smobilitare e dividere l’opposizione, in cambio del quale è disposto a fare piccole concessioni che non modifichino in nulla il suo modello di potere, “perfezionare il sistema democratico” lo chiamano. Potrà o no ottenere quello che vuole, dipende da noi.

Dobbiamo intendere che la lotta civile ferma e ampia è l’unica via per uscire dalla crisi in modo stabile e duraturo. Le soluzioni a metà, quelle che non aprono possibilità per risolvere alla radice i problemi che ci hanno portato a questa situazione rimandano solo il problema e anche se nel breve periodo possono ridurre la tensione, daranno successivamente luogo a nuove crisi, a più dolori e più sangue versato. Le lotte che il popolo ha ingaggiato dal 18 aprile hanno profondamente debilitato il regime che non è più nemmeno l’ombra di quello che era prima di questa data e se ci daremo da fare con forza e tenacia il Nicaragua cambierà nel bene.

Ortega è come non mai debilitato. Non ha più l’avallo incondizionato del COSEP (Consiglio Superiore dell’Impresa Privata) e la maggioranza degli impresari privati si sono posti decisamente nel campo dell’opposizione civile. La legittimità che gli forniva quell’intesa l’ha persa e anche se ha nostalgia di ritornare alla situazione precedente al 18 aprile questo non sarà più possibile.

L’esercito si è pubblicamente impegnato a non lasciarsi coinvolgere nella repressione contro la popolazione e lo sta mantenendo. Ortega, pertanto, non può ricorrere a quello strumento per mettere fine al movimento democratico.

La polizia è sommamente logorata tanto dalle necessità a cui è stata sottoposta come dall’illegittimità delle sue azioni che provocano reazioni di resistenza nel suo seno. La capacità della polizia è anche severamente limitata dalla mancanza di credibilità nella popolazione e dall’ignoranza verso tutti i suoi comportamenti. Alcuni accordi locali con i quali si permette e si chiede alla polizia di agire a certe condizioni per ristabilire la sicurezza cittadina mostrano come la fonte dell’autorità stia cambiando a favore della società civile.

Le basi dell’orteghismo hanno visto le sue fila ridotte nella misura in cui grandi settori hanno rifiutato la criminale repressione del regime e gli hanno voltato le spalle, e un’altra parte si trova demoralizzata per l’incessante mobilitazione del popolo che li ha messi sulla difensiva. Ortega ha perso la capacità di mobilitazione di massa di cui si è fatto bello negli anni passati e ora non riesce neppure a portare alle sue manifestazione gli impiegati pubblici alla stesso modo in cui lo faceva appena alcuni mesi fa. I cortei e le concentrazioni che ha organizzato non solo sono stati modesti nel numero ma anche nello spirito dei partecipanti che spesso sembrano assistere ad un funerale.

La verifica, che ha fatto la CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani), dei sistematici crimini commessi dal regime ha dato luogo ad un rapporto demolitore sulle violazioni dei DDUU che ha avuto un’ampia diffusione e poco a poco sta calando nella coscienza internazionale che il governo di Ortega è un governo terrorista. Il governo degli USA ha emesso energiche condanne e là si stanno muovendo iniziative che potrebbero colpire non solo Ortega e il suo circolo ma tutti gli agenti economici del paese.

Ortega non sta governando né può governare, ha perso il controllo e invece di assicurare la pace e la stabilità nel paese genera caos, anarchia e distruzione che impediscono il normale funzionamento degli affari e dell’economia nazionale. Le perdite sono immense e molte piccole e grandi imprese hanno grandi difficoltà a mantenersi a galla, mentre altre stanno chiudendo o licenziando lavoratori, senza che il governo prenda l’iniziativa per risolvere la situazione. Ortega non governa, non può governare e il suo unico obiettivo in questo momento è sopravvivere.

La repressione è stata la sua unica risorsa, la sua unica risposta e nonostante ciò non è riuscito a ridurre l’intensità della lotta, né a recuperare il controllo del paese. Ha iniziato la repressione usando congiuntamente la polizia antisommossa e le sue forze di scontro per schiacciare la mobilitazione e smantellare le barricate che lo rendono pazzo ma non ha avuto successo. Dopo ha ridotto l’uso degli antisommossa e ha riunito le forze paramilitari trasportate da vari luoghi per attaccare una a una le barricate e ha cercato di presentare questi attacchi con mercenari pagati come reazioni del popolo contro le barricate. Questa strategia è fallita e al giorno d’oggi è tornato a dispiegare gli antisommossa che con abbondanza di violenza hanno represso gli studenti dell’UNI e tutti coloro che incontravano nella zona di Metrocentro. La guerra contro le barricate Ortega la sta perdendo.

Questo itinerario di violenza e repressione ha finora fatto più di 80 giovani assassinati, centinaia di feriti e disabili permanenti e un inimaginabile numero di orfani, vedove e famiglie distrutte. Fino a quando continuerà ad essere al potere, Ortega continuerà ad uccidere perché non gli rimane più un’altra risorsa per cercare di sopravvivere ma è inutile, fallirà nuovamente. Dobbiamo riunire le forze per dargli la spinta definitiva unendo tutti i settori e intensificando la lotta pacifica su tutti i fronti.

I nostri rappresentanti nel dialogo devono sapere che Ortega non ha la posizione più forte e che l’arroganza e l’atteggiamento condiscendente dei suoi rappresentanti nasconde solo la paura che sentono e una grande insicurezza sul futuro del regime e del suo stesso. Sappiano che la sua forza al tavolo dei negoziati è la medesima della forza del popolo nelle strade. Non temano di alzarsi dal tavolo se il governo sabota i progressi delle conversazioni, e nemmeno temano di tornare a sedersi quando questo sarà necessario. Il negoziato sarà difficile come la lotta in strada, ma alla fine al tavolo si rifletterà la vittoria del popolo sulla dittatura.

Luis Carrión

30 maggio 2018

Resumen Latinoamericano

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Luis Carrion CruzNicaragua / Opinión crítica del ex-comandante sandinista Luis Carrión: El diálogo y la lucha popular” pubblicato il 30-05-2018 in Resumen Latinoamericanosu [http://www.resumenlatinoamericano.org/2018/05/30/nicaragua-opinion-critica-del-comandante-sandinista-luis-carrion-el-dialogo-y-la-lucha-popular/] ultimo accesso 31-05-2018.

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