La paura provoca reazioni difensive irrazionali. Tutti abbiamo osservato che quando un aereo è sollecitato più del previsto, o un autobus minaccia di uscire di strada, i passeggeri si fanno il segno della croce, anche se non sono credenti, o si afferrano a qualche oggetto, incluso a persone vicine con le quali non avrebbero mai un contatto fisico. In effetti, la paura ci porta verso comportamenti estremi.
Giorni addietro nella città di Brasilia ho ascoltato, in differenti spazi, un racconto che mi ha lasciato perplesso. Una madre usciva dal cinema abbracciata a sua figlia, in uno shopping lussuoso di alta classe. Sono state colpite perché le hanno confuse con delle lesbiche.
Giorni dopo, la femminista Judith Butler è stata molestata e violentata in un aeroporto di San Paolo per la sua “ideologia di genere”. È stata fatta una manifestazione contro di lei, e un’altra a suo favore, sono state raccolte più di 300 mila firme per impedire una sua conferenza e sono avvenute diverse azioni aggressive.
Quando si ascoltano gli argomenti dei detrattori, in primo piano appare la paura. “Il sogno di Judith Butler: distruggere l’identità sessuale dei nostri figli”, si poteva leggere in uno dei cartelli. “Uomo è uomo, donna è donna. Non accettiamo che si diffonda l’idea che un bambino possa essere una bambina. E viceversa. Perché è impossibile biologicamente”, dice un testo diffuso attraverso WhatsApp.
I conservatori, riuniti nel Movimento Brasile Libero (MBL) e nella Scuola Senza Partito, sono riusciti a far ritirare dalla televisione un annuncio di un sapone, che diceva: “Andiamo a riflettere. Giocare con le casette è una cosa da bambine. Montare su un monopattino è una cosa da bambini. Quelle regole sembrano una cosa del passato, vero? Lascia tuo figlio saltare ed esplorare in libertà” (goo.gl/qqFrSm).
Il vocabolo “fascista” viene subito in mente nel raccontare una simile intransigenza, sommata ad una ignoranza al limite della stupidità. Nonostante ciò, ha scarsa utilità per comprendere quei signori e quei giovani che realmente sentono paura, e disgusto, di fronte alla possibilità che le proprie figlie siano lesbiche o i propri figli siano gay. O che scelgano sessualità che, semplicemente, non comprendono come transgenere, transessuale o intersessuale, che vanno al di là del binarismo omo/etero.
Non conosco nessuno che abbia dei figli e delle figlie, che mai abbia avuto delle preoccupazioni di fronte alla possibile opzione sessuale eterodossa dei propri figli-figlie, anche se è predisposto a sostenerli. Accettarli presuppone un lavoro interiore che molte persone non sono disposte a realizzare, perché implica staccarsi da valori, giudizi e soprattutto pregiudizi. Quello su cui voglio riflettere è perché persone comuni adottano quei comportamenti, al di là dei media ideologici che li diffondono.
Mi sembra importante, inoltre, cercare di comprendere perché il Brasile si è trasformato, qui e ora, in un serbatoio di conservatorismo che può essere così intenso da influire su tutta la regione sudamericana, con la medesima forza con cui un decennio fa hanno influito le proposte di integrazione regionale e il progetto di trasformare il Brasile in potenza globale.
Trovo tre problemi da dibattere.
Uno, l’enorme disuguaglianza esistente in Brasile, il paese più disuguale del mondo. L’1 per cento accumula tra il 25 e il 30 per cento della rendita, e questo si è mantenuto senza cambiamenti lungo il tempo, di modo che la disuguaglianza è diventata naturale in una società dove, inoltre, l’ascesa sociale è stata storicamente riservata ai ricchi, bianchi e maschi con formazione accademica.
Due, il colonialismo e il razzismo, che sono il nucleo duro della disuguaglianza. Qualcosa più della metà della popolazione, 100 milioni di persone, sono considerati neri e nere. Occupano i gradini più bassi della piramide delle entrate, vivono nei quartieri più precari (in genere nelle favelas) e hanno i posti di lavoro meno qualificati e precari.
Il colonialismo non è mai terminato in Brasile. Ancor di più, si sta rafforzando con il modello economico di accumulazione per saccheggio/guerra contro i popoli, giacché esclude la metà della popolazione che non ha diritti, sono solo beneficiari di programmi sociali.
Tre, il pentecostalismo e il narcotraffico rafforzano le precedenti tendenze e, inoltre, difendono un patriarcato fondamentalista, con lo scopo di retrodatare le relazioni sociali al XIX secolo.
Narcos e pentecostali attaccano la cultura nera per disciplinare i più poveri, che trovano nelle religioni di origine africana forme di relazionarsi senza mediazioni, orizzontali e con una certa autonomia in propri spazi, come i terreiros. In appena cinque anni le denunce per “intolleranza religiosa” sono cresciute del 4.960 per cento, da 15 nel 2011 a 759 nel 2016 (goo.gl/5B6xPZ).
La maggioranza sono attacchi a terreiros umbandas e candomblé, essendo la Baixada Fluminense (13 municipi poveri dello stato di Rio de Janeiro) uno dei loro obiettivi. I trafficanti e i pentecostali si sono convertiti nella nuova inquisizione. Gli evangelici figurano tra coloro che partecipano con la maggiore percentuale alle aggressioni.
L’alleanza tra pentecostali e narcos si sta forgiando nelle prigioni, qualcosa di quasi invisibile per gli analisti accademici. La Chiesa Universale del Regno di Dio marcia in testa, giacché ha firmato accordi per ristrutturare o costruire templi in 51 prigioni. Secondo i loro dati, solo essa attende l’80 per cento della popolazione carceraria del paese (mezzo milione di persone, più i loro familiari), offrendo corsi, “realizando un lavoro di risocializzazione” per i prigionieri e le famiglie, in quello che non pochi chiamano “traffico evangelizzato”.
Inoltre, la crisi economica, il consumismo e l’ascesa di nuove classi medie (che hanno bisogno di differenziarsi dai più poveri/più neri) hanno creato un cocktail devastante nelle relazioni sociali.
Non basta denunciare che “qualcuno” sta pianificando un’alleanza narco/evangelica/patriarcale per controllare i poveri con le catene della dominazione. Dobbiamo domandarci: Ricordate quando noi militanti facevamo lavoro nelle carceri, nelle favelas, con i malati mentali e i consumatori?
24 novembre 2017
La Jornada
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “Brasil, reserva regional de conservadurismo” pubblicato il 24-11-2017 in La Jornada, su [http://www.jornada.unam.mx/2017/11/24/opinion/024a1pol] ultimo accesso 29-11-2017. |