Dalla fine di un ciclo al consolidamento delle destre


Raúl Zibechi

I cicli politici non sono capricciosi. Viviamo in un periodo di crescita delle destre, in particolare in Sudamerica. Il ciclo progressista è terminato anche se continuano ad esistere governi di quel colore, ma non potranno più sviluppare le politiche che hanno caratterizzato i loro primi anni perché si impone una svolta conservatrice, anche se i discorsi possono dire qualcosa di differente.

Un buon esempio di questa ironia può essere l’Ecuador: un governo di Alleanza Paese che effettua un aggiustamento conservatore. Salvo che si opti per la peregrina tesi del “tradimento”, Lenin Moreno mostra che anche i progressisti devono fare una svolta a destra per poter continuare a governare.

Diciamo che i cicli sono strutturali e i governi congiunturali. Il ciclo progressista è stato caratterizzato dagli elevati prezzi delle esportazioni delle commodities in un generale clima di crescita economica, un forte protagonismo popolare e pressioni per una maggiore giustizia sociale. I tre aspetti sono stati debilitati dalla crisi del 2008. Ora soffriamo una forte offensiva di destra su tutti i terreni.

Nonostante i cattivi risultati economici e una elevata conflittualità sociale, in cui risalta la scomparsa forzata di Santiago Maldonado, il governo di Mauricio Macri ha ottenuto una forte vittoria nelle recenti elezioni argentine. Il macrismo non è una parentesi, ha ottenuto una certa egemonia che si fonda sui cambiamenti economici dell’ultimo decennio, sul logorio del progressismo e la crescente debolezza dei movimenti.

La prima questione da tenere in conto è che il modello estrattivo (soiero-minerario) ha trasformato le società. L’edizione argentina di Le Monde Diplomatique di settembre contiene due interessanti analisi di José Natanson e Claudio Scaletta, che chiariscono i cambiamenti produttivi del complesso della soia e le sue ripercussioni sociali.

Il primo sostiene che la mappa della soia coincide “quasi matematicamente” con i territori in cui vince Macri. Mette in risalto che il campo si articola sempre più con la finanza, l’industria e i grandi media, e che i proprietari terrieri e i braccianti, che sono stati i protagonisti del periodo oligarchico, ora convivono con tecnici, affittuari, agronomi, veterinari, meccanici dei macchinari agricoli e piloti affumicatori, tra gli altri.

La tecnologia è anche più importante della proprietà della terra che i “pools di semina” affittano, mentre i coltivatori connessi con il mondo globalizzato dipendono dai prezzi della borsa di Chicago, dove si quotano i cereali.

Il secondo sostiene che siamo di fronte ad una complessizzazione delle classi medie rurali e all’emergere di nuove classi medie “rural-urbane”. Di conseguenza, il conflitto con il campo che il governo kirchnerista ha sostenuto nel 2008 non fu la classica contraddizione oligarchia-popolo.

A partire da quel momento, è diventato visibile un conglomerato di attori più complesso e con una base sociale molto più estesa, che rifiuta le politiche sociali perché sentono la povertà urbana come un realtà molto lontana. Quel blocco sociale è quello che ha portato Macri al governo e che lo sostiene.

La società estrattiva genera valori e relazioni sociali conservatrici, così come la società industriale generava una potente classe operaria e valori di comunità e solidarietà. Nelle grandi fabbriche, migliaia di operai si sono trasformati in classe organizzandosi per resistere ai padroni.

Al contrario, l’estrattivismo non genera soggetti interni, ossia dentro la trama “produttiva”, perché è un modello finanziario speculativo. Le resistenze sono sempre esterne, in generale ne sono protagonisti i danneggiati.

La seconda questione è il logoramento del progressismo dopo un lungo decennio di governo. Qui appaiono due elementi. Uno, il naturale logoramento interno o per la corruzione e la cattiva gestione, e combinazioni di ambedue. Due, perché lo stesso modello spoliticizza e disorganizza la società che si articola solo attraverso il consumo. Lì è dove mordono le destre.

Il consumismo è l’altra faccia della società estrattiva. Una società che non genera soggetti, né identità forti, con valori legati al lavoro degno, ossia produttivo, ma appena “valori” mercantili e individualisti, non è in condizioni di potenziare progetti di lungo respiro per la trasformazione sociale.

La terza questione che spiega l’auge delle destre è la debolezza del campo popolare, che colpisce dai movimenti fino alla cultura del lavoro e delle sinistre. La società estrattiva crea le condizioni materiali e spirituali di questa anemia di organizzazione e lotte. Ma c’è di più.

Le politiche sociali del progressismo, soprattutto l’inclusione attraverso il consumo, hanno moltiplicato gli effetti depredatori del modello in quanto a disorganizzazione e spoliticizzazione. Nello shopping spariscono le contraddizioni di classe, anche quelle etniche e di genere, perché in quei “non luoghi” (Marc Augé) il contesto fa sparire l’umanità delle persone.

Ma i movimenti sono anche responsabili delle scelte che hanno preso. Invece di costruire mirando al lungo termine, preparandosi all’inevitabile collasso sistemico, hanno preso la scorciatoia elettorale che li ha portati a costruire impossibili alleanze con risultati patetici. Alcuni movimenti argentini, che hanno scelto di allearsi con la destra giustizialista, potrebbero fare un bilancio sui disastrosi risultati che hanno ottenuto, e non mi riferisco alla magra raccolta di voti.

Da ultimo, dobbiamo pensare agli insegnamenti che ci lasciano l’ascesa delle destre e la crisi dei movimenti. Alla società estrattiva di quarta guerra mondiale, non ci si può opporre con la medesima logica della lotta operaia nella società industriale. Non esiste una classe da dirigere. I soggetti collettivi devono essere costruiti e sostenuti tutti i giorni. Le organizzazioni devono essere solide, scolpite per il lungo periodo e resistenti alle scorciatoie istituzionali.

27 ottobre 2017

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl ZibechiDel fin de ciclo a la consolidación de las derechas” pubblicato il 27-10-2017 in La Jornadasu [http://www.jornada.unam.mx/2017/10/27/opinion/016a1pol] ultimo accesso 31-10-2017.

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