Il massacro di Tumaco del passato giovedì 5 ottobre dimostra non solo che la Forza Pubblica continua ad essere determinata a dare un trattamento di guerra alla protesta sociale, ma l’incapacità dello stato a risolvere con un metodo differente dalla violenza il grave problema della popolazione che sopravvive grazie alle coltivazioni di uso illecito e, così, rispettare quanto concordato all’Avana.
I fatti sono avvenuti quando la Polizia ha aperto il fuoco contro i contadini, gli afrodiscendenti e gli indigeni che protestavano contro lo sradicamento forzato delle coltivazioni di coca nel consiglio comunitario afro dell’Alto Mira e Frontera della zona di Llorente del porto nariñense, causando almeno 6 morti e 20 feriti per proiettili secondo quanto ha potuto appurare la Difensoria del Popolo.
Nonostante ciò, le testimonianze apportate da varie organizzazioni difensore dei diritti umani parlano di un numero maggiore di morti che non hanno potuto essere verificati, dato che gli uomini in divisa hanno aperto il fuoco e lanciato granate stordenti contro la missione indipendente di verifica che ha cercato di giungere sul luogo dei fatti il passato 8 ottobre, simultaneamente la Forza Pubblica viene accusata di alterare la scena del crimine.
Coca per poter vivere
A Tumaco le terre sono ricoperte del colore verde chiaro della foglia di coca e non sono pochi i contadini, gli afrodiscendenti e gli indigeni che si vedono costretti a vivere di questa economia illecita che, in pratica, ha poco a che vedere con i sostanziosi guadagni degli esportatori di cocaina.
Questo ha una stretta relazione con il volatile prezzo che pagano i narcotrafficanti e con l’inquietudine con cui devono convivere i coltivatori. È tutto un caos quello che la gene deve sopportare non solo per l’espansione paramilitare, dopo il disarmo della oggi chiamata Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune (FARC), ma per il potere che questo fatto ha dato ai commercianti di droga. Nel febbraio del 2017, degli abitanti di Tumaco narravano a questo media che, ritirandosi l’antica guerriglia nei propri accampamenti e nella zona di La Playa, il prezzo si è abbassato perché i narco non erano più obbligati da quella a mantenere i prezzi regolati e perché il chilogrammo di pasta base era passato a valere $1.600.000. Oggi, secondo fonti della zona consultate, lo sradicamento ha portato il prezzo di una arroba di foglia di coca al rialzo e il chilogrammo di pasta base è a $1.800.000 mentre corre pericolosamente verso il suo massimo storico di $2’000.000. Queste cifre sono di molta rilevanza quando nel Pacifico colombiano da ogni tonnellata di foglia di coca fresca si processa circa 1,6 kg di pasta base, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), per cui con ogni chilogrammo di foglia viene pagato al cocalero una cifra di circa $2.800.
Così le cose, non è per avarizia che le comunità afrodiscendenti, indigene e contadine coltivano coca e protestano contro lo sradicamento forzato, mentre lo stato non presenta piani attuabile per sostituirla con un altro tipo di prodotti. Oltre che i coltivatori della pianta ancestrale, migliaia di raccoglitori o “raspachines”1 di differenti etnie e condizioni formano un gigantesco gruppo di transumanti che dipende per vivere dallo strappare le sue foglie nell’unica attività che risulta redditizia e dinamizza l’economia nel municipio che, secondo la Polizia Nazionale, ha in Colombia la maggior concentrazione di queste coltivazioni.
La situazione di dipendenza forzata dall’economia illecita della coca che si vive a Tumaco è condivisa non solo da altri municipi del Nariño ma da vari dipartimenti della Colombia. Da qui l’importanza di rispettare quanto concordato all’Avana riguardo la situazione delle coltivazioni. Lo sradicamento forzato, accompagnato da uomini in divisa armati fino ai denti, senza che ci siano i titoli delle terre per i contadini, gli indigeni e gli afrodiscendenti che vivono delle coltivazioni illecite, e senza condizioni per uno sviluppo agrario integrale e sostenibile può solo provocare timore e fame.
Se un coltivatore di coca perde tutto il suo raccolto e non ha un’altra fonte d’entrata, di sicuro soffrirà penuria e si vedrà costretto a seminare più coca per supplire alle proprie necessità e a quelle della sua famiglia non potendo contare su nessun altro prodotto che sia redditizio. Questo lo sa bene la gente di campagna, così come comprende che lo stato colombiano non gli ha offerto nessuna garanzia per vivere con un’altra cosa: fino alla data odierna tutti i programmi si sostituzione concertata hanno fracassato per corruzione, cattiva gestione dei semi, assenza di centri di raccolta e mancanza di assistenza tecnica al contadino e di sostegno per la commercializzazione di prodotti alternativi come il cacao, tanto menzionato nelle conversazioni dell’Avana.
Le proteste continueranno
Di fronte alla dipendenza dall’economia della coca, le proteste di afrodiscendenti, indigeni e contadini accompagneranno lo sradicamento forzato che impone lo stato di fronte al fracasso del Piano Colombia e la minaccia di decertificazione antidroga di Trump. Per questo, deve essere preso molto sul serio il massacro commesso a Tumaco, dato che situazioni simili stanno sul punto di ripetersi in zone come il Catatumbo e in altre nelle quali, nonostante che la mobilitazione cocalera abbia ottenuto accordi con il governo, la Polizia e gli sradicatori hanno lanciato tutta una offensiva a partire dalla dichiarazione di ingerenza del presidente statunitense.
A Tumaco è stato dimostrato come la Forza Pubblica continua a pensare in tempi di pace: gli uomini in divisa continuano a vedere sé stessi come un potere onnicomprensivo che può passare sopra a chi che sia e ai cocaleri, come su di un nemico interno al quale si può sparare ed eliminare. Questo massacro di civili da parte della Polizia dimostra anche come allo stato colombiano, al suono di sommare aree sradicate e risultati da mostrare agli Stati Uniti, poco importa della vita di coloro che sono storicamente privati di diritti o di risolvere le molteplici necessità della Colombia rurale, da sempre la più colpita dalla violenza e dal narcotraffico.
Per quanto riguarda questa idea del nemico interno, bisogna tener conto della sua amara storia in Colombia: basta vedere il genocidio dell’UP e di altri ampi movimenti di cittadini come A Luchar e il Fronte Popolare nel decennio dei 80, i crimini di guerra e di lesa umanità commessi dal paramilitarismo contro i civili e la costante criminalizzazione della protesta sociale per intendere quanto questa dottrina, fabbricata dal Pentagono durante la Guerra Fredda, abbia messo radici tra la Forza Pubblica e l’élite politica ed economica del paese. Per disgrazia, quanto avvenuto a Tumaco dimostra non solo che non c’è una maggior possibilità che gli agenti statali l’abbandonino, ma bisogna aspettarci il peggio quando il disarmo delle FARC, il cessate il fuoco con l’ELN e la recente annunciata disposizione al dialogo dell’EPL stanno lasciando gli uomini in divisa senza evidenti nemici e affrontando con le armi in mano conflitti sociali con genti del comune che reclamano disarmate i propri diritti.
La guerra con altri mezzi
Dato quanto sopra, è molto probabile che dovremo affrontare più tragedie come questa. Per lo meno, questo sembra indicare la cinica risposta della Forza Pubblica incolpando del massacro una presunta dissidenza guerrigliera, che nessuno ha visto, che avrebbe lanciato contro gli uomini in divisa alcuni esplosivi artigianali che, scoppiando, avrebbero fatto alcuni feriti e morti. Quando le denuncie delle vittime e delle organizzazioni difensore dei diritti umani hanno smentito questa versione, che è stata difesa con veemenza dal ministro della Difesa e dal presidente, che oggi stanno in silenzio, e che dopo è stata freneticamente ripetuta dai grandi monopoli dell’informazione, gli apologisti del massacro sono passati a dire che sono stati i cocaleri quelli che avevano lanciato il tatuco (cilindro bomba, ndt) contro i poliziotti e gli sradicatori.
È sfrontato dire che nella zona di Llorente, dove è avvenuto il massacro, operano le dissidenze quando il dominio di questa zona di frontiera con l’Ecuador è condiviso da paramilitari e narco da molto prima che le FARC abbandonassero le armi e si trasformassero in un movimento politico. Questo, sommato al comportamento di un governo che difende a ogni costo i poliziotti, che offre ricompense per intimorire i cocaleri e non dimostra un minimo interesse a che si indaghi quanto avvenuto a Tumaco e siano puniti i responsabili, dimostra che tra coloro che definiscono il destino della Colombia non c’è volontà di indirizzare la rotta della Forza Pubblica e di incominciare ad abbandonare le pratiche di terrore di stato che hanno caratterizzato il nostro conflitto.
Circondare coloro che lottano
Il massacro di Tumaco ci mostra la necessità di accompagnare la gente del campo che ha trovato nella coca un modo per sopravvivere. Questo media ha sentito dire ai cocaleri, in lungo e largo del paese, che se un’altra coltivazione gli fosse data per vivere loro smetterebbero di seminare arbusti di coca e questa pianta sacra sarebbe usata solo secondo le tradizioni ancestrali e come alimento nutritivo qual è. Di fatto, loro sono i più interessati a che avvenga così, al fin dei conti, sono le principali vittime di un’economia illegale che li emargina e di una nefasta cultura traqueta2 che ha permeato il campo e della quale si approfittano, dai narco e il paramilitarismo fino ai produttori di narco-serie.
Non possiamo lasciare soli coloro che oggi continuano a lottare nelle strade del paese. È chiara l’importanza di atti di solidarietà come quelli che sono stati realizzati lo scorso lunedì in varie città, devono moltiplicarsi per cercare di chiarire il massacro quando, di fronte alla dimensione dello scandalo e alla pressione cittadina, la Procura ha dovuto inviare nella zona un numeroso gruppo di investigatori.
Allo stesso tempo, la solidarietà deve mobilitarsi per evitare che altre mobilitazioni sociali, come quelle che sono organizzate nell’ambito dell’attuale “Settimana dell’indignazione”, da parte di diverse organizzazioni, siano silenziate con i proiettili. Altrimenti, la pace continuerà ad essere schiva per tutti coloro che abitano la Colombia rurale che vive nelle condizioni di violenza che lo stato ha imposto.
12 ottobre 2017
El Turbión
Nota del traduttore:
1 – Sono così chiamati in Colombia i bambini che raccolgono le foglie di coca.
2 – Dal suono di un mitra, tra tra tra, nel mondo del narcotraffico e del paramilitarismo è così definito il membro di gradino inferiore della piramide delinquenziale, ossia il sicario che spara.
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
“Tumaco: coca y terror de Estado” pubblicato il 12-10-2017 in El Turbión, su [http://elturbion.com/?p=15395] ultimo accesso 24-10-2017 |