Oggi il Brasile passa attraverso una delle crisi istituzionali e politiche più forti degli ultimi decenni. Quello che trasmettono i media egemonici è che la corruzione costituisce il nocciolo di questa crisi. Nonostante ciò, considerando la dimensione che sta acquistando il Lava Jato, sembrerebbe che portare la politica in giudizio abbia un chiaro proposito (non sempre evidente all’opinione pubblica): condannare la “inefficienza” di quanto è “pubblico”, l’incapacità dello stato e la corruzione (inevitabile) dei politici, per giustificare così il ritorno sul sentiero neoliberale, ritorno che si sta già sperimentando e a grande velocità.
Alcune diffidenze sul modo con cui viene presentato il Lava Jato obbediscono all’opinione degli “esperti” della stampa e di think tanks degli Stati Uniti, che abbondano in analisi che si reggono su una sorte di morale liberale. Sostengono, per esempio, che il caso Lava Jato sta aiutando a cambiare la “cultura dell’impunità” che ha caratterizzato il Brasile. Secondo loro “la pressione popolare è molto forte in Brasile e la gente non può più sopportare la corruzione”. Il fatto sospetto è che non si dà il medesimo peso alla pressione popolare della gente nelle strade contro le misure di aggiustamento neoliberale che è applicato dal governo di Temer. Queste misure “anti popolari”, sono niente meno che necessarie e “grazie” alla bassa popolarità di cui gode, Temer è l’unico capace di portare a termine queste riforme “fondamentali” affinché funzioni l’economia brasiliana [1].
A sua volta, quello che da una prospettiva strettamente limitata agli attributi di uno stato sarebbe considerato come una ingerenza, si ritorce secondo un discorso nel quale gli Stati Uniti appaiono come il salvatore o come parte della salvezza del Brasile, perché tutto il processo del Lava Jato e fatto in coordinamento con (e la consulenza preventiva di) il Dipartimento di Giustizia di questo paese -situazione che deve inquadrarsi nel processo di riforme giudiziarie finanziate e promosse in piena era neoliberale da BID, USAID e dalla Banca Mondiale in tutta l’America Latina [2]-. Un dato recente è che uno dei testimoni, quello che ha insistito sul legame di Lula con il caso, ha dovuto dichiarare direttamente e senza motivo specifico di fronte al Dipartimento di Giustizia statunitense, dando chiaramente conto del controllo che il governo statunitense esercita sui processi in Brasile [3].
Ma portare la politica in giudizio ha dei chiari obiettivi materiali. Senza necessità di esaminare troppo minuziosamente, si può vedere che “l’albero” della corruzione, sembrerebbe nascondere un bosco: lo smantellamento della struttura economica brasiliana. Così come lo rilevano alcuni specialisti, i settori chiave di questa lotta (che stanno venendo colpiti) come il petrolio, le costruzioni e la produzione di carne, sono la colonna vertebrale dell’economia nazionale [4]. Un fatto che lo dimostra è che, nel momento di punta della crisi istituzionale, agli inizi del 2016, l’opposizione al PT ha presentato dei progetti di legge per revocare il monopolio operativo della Petrobras sulle riserve di idrocarburi di grande entità [5] (obiettivo che hanno ottenuto dopo il golpe contro la Rousseff), legando in modo diretto e indiretto il Lava Jato agli interessi di affari e geopolitiche del settore privato e del governo degli Stati Uniti.
Stati Uniti e la direzione del Brasile [6]
Nel 2013, Edward Snowden pubblicò dei documenti trapelati dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (NSA) che dimostrano la permanente vigilanza sul governo brasiliano [7]. In questi documenti il Brasile appare come una specie di “nemico” non solo degli USA ma agli occhi della NATO (a causa, tra le altre cose, della vicinanza alla Cina). A partire da quanto enunciato nei documenti, sembra chiaro che una delle motivazioni dello spionaggio è stata la Petrobras e il ruolo del Brasile nel mercato mondiale degli idrocarburi. Questo non è un segreto, nel 2012, l’Agenzia di Informazione sull’Energia degli USA metteva in risalto la cruciale scoperta di riserve di petrolio in Brasile, i depositi sulla piattaforma sottomarina Presal, che potevano trasformare quel paese in uno dei maggiori produttori di petrolio a livello mondiale [8].
In effetti, quando il governo brasiliano si rese conto dell’operazione di spionaggio, addussero che erano sicuri che il motivo era “commerciale” soprattutto a seguito della scoperta del Presal. La cosa interessante è che, oltre alle menzionate agenzie del governo degli USA, a queste operazioni partecipò anche il Dipartimento di Stato (lasciando tracce attraverso i cablogrammi con i suoi diplomatici in Brasile). In uno di questi cablogrammi del 2009, José Serra, del Partito della Social Democrazia Brasiliana (a quel tempo candidato alle elezioni e dopo il golpe cancelliere di Michel Temer) affermava che giungendo alla presidenza avrebbe cambiato le leggi che regolavano il settore petrolifero.
Nei documenti si percepisce anche l’attività di lobby esercitata dalle imprese petrolifere statunitensi, che nei loro comunicati al Dipartimento di Stato avvertivano sul difficile clima per gli investimenti e gli affari in Brasile: “Mentre fare affari in Brasile è più facile che operare in Bolivia, ci hanno commentato che per molti aspetti le condizioni per investire sono peggiori che in Venezuela”, specificava un cablogramma del 2006.
Riprendendo nomi concreti, si legge la discrepanza di giudizio della Chevron, impresa che nonostante stia operando come partner della Petrobras, considerava che l’impresa statale “abusava” dei propri privilegi nel settore. In un altro cablogramma si dà conto della riunione tra l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Brasile, Clifford Sobel (2006-2009), e i CEO delle principali transnazionali di idrocarburi, incluse Chevron, Exxon Mobil, Devon Energy, Anadarko, ecc., dando conto del coinvolgimento del governo statunitense nella “questione” del petrolio brasiliano. Nei cablogrammi sulla situazione in Brasile si può leggere: “Ora la strategia è reclutare nuovi compagni per lavorare nel Senato, per approvare emendamenti essenziali alla legge…”.
La profezia auto compiuta: il cambio di direzione della Petrobras
La Petrobras è l’impresa brasiliana di maggiori dimensioni, responsabile della ricerca, lo sfruttamento, la trasformazione e la distribuzione di una risorsa strategica per eccellenza, il petrolio. Gestisce, inoltre, la maggioranza delle concessioni brasiliane registrate, e ha un ruolo da protagonista nelle costruzioni navali e nello sviluppo e fabbricazione di macchinari pesanti. Pertanto, si tratta di uno strumento strategico per l’economia e lo sviluppo brasiliano. Nell’anno 2010, nel cosiddetto Presal situato in acque profonde dell’Atlantico, hanno scoperto riserve di petrolio e gas [10] che per il 2013 sono state stimate in 40 miliardi di barili (appross.) e di probabili riserve non scoperte per 176 miliardi. Secondo quanto calcolato, inoltre, il suo costo di estrazione sarebbe molto al di sotto del costo medio della produzione mondiale [11]. Dopo la scoperta, il monopolio della Petrobras ha cominciato ad essere sempre più molesto per le transnazionali petrolifere.
In un rapporto sugli affari petroliferi del settembre 2016, si avverte che la Petrobras, “l’impresa statale più indebitata del mondo”, sta reindirizzando le proprie energie verso lo sfruttamento dell’area del Presal, nonostante che abbia tagliato l’ambito d’azione ad un minimo di esplorazione. Il problema -per le grandi imprese petrolifere- è che tali limiti non possono essere superati, dato che la Petrobras ha il monopolio di questi spazi, agendo come operatore, situazione che -avvertivano con sollievo- sarebbe stata capovolta al Senato, per togliere questa restrizione d’azione agli altri operatori e togliere tanta “pressione” sulla statale brasiliana [12]. La cosa certa è che la Petrobras non è mai entrata in fallimento e, anche con difficoltà, ha continuato a sfruttare i giacimenti del Presal.
Con il Golpe Parlamentare contro Dilma Rousseff (processo nel quale il governo degli Stati Uniti ha mostrato un sospetto “basso profilo”) [13], le compagnie sono riuscite ad accelerare la lotta per le così preziose riserve di idrocarburi. Passati due mesi dal golpe, la Camera dei Deputati ha approvato una riforma della legge che esonera la Petrobras dall’obbligo di mantenere una partecipazione minima del 30% nello sfruttamento del Presal [14], permettendo l’accesso diretto alle transnazionali petrolifere nello sfruttamento delle riserve di petrolio del Brasile [15]. Uno dei suoi propugnatori è stato niente di meno che José Serra, a seguito di un impegno precedentemente preso, così come si percepisce nei Wikileaks menzionati prima.
Così, la Petrobras non detiene più il monopolio sugli idrocarburi brasiliani. Il primo affare per l’apertura si è avuto con l’impresa francese Total SA per vendere attività per 2,2 miliardi di dollari. Include la partecipazione nei campi petroliferi e in due stazioni di energia termica. In cambio, la Petrobras ha ricevuto in un primo momento 1,6 miliardi di dollari oltre a poter scegliere di partecipare nella produzione dei campi di petrolio del Golfo del Messico, attualmente di proprietà della Total e della Exxon Mobil [16]. Precisamente, un dato da rilevare è che il cambio della legislazione ha creato delle aspettative nella Exxon Mobil, l’unica transnazionale statunitense che non era presente in Brasile, e che sta già progettando i suoi prossimi passi per accedere alle riserve off-shore di quel paese. Un’altra delle imprese che per prima ha avuto benefici è stata la statale del petrolio norvegese, acquisendo Carcará per 2,5 miliardi di dollari [17].
Dal mondo degli affari (leggasi, i settori interessati all’apertura del mercato degli idrocarburi), come risultato del Lava Jato, nel 2015 la Petrobras ha perso investimenti e sarà “difficile” uscire da quella situazione. Affermano che con la nuova legge la Petrobras “comincerà a ingrandirsi di nuovo”, anche se prevedono tempi delicati a causa di possibili cambiamenti di direzione nelle decisioni dell’OPEP di tagliare la produzione di greggio -sospetto infondato perché l’Arabia Saudita (leader dell’OPEP) sembra decidere non solo di mantenere ma di ampliare nei prossimi mesi i tagli alla produzione di greggio [18]. Ma la cosa che preoccupa di più gli imprenditori brasiliani sono le elezioni del prossimo anno: “speriamo che Lula non vinca” [19], dichiarano.
Dalla prospettiva dei lavoratori legati al settore degli idrocarburi, si dice che la modifica della legge (insieme al Lava Jato) è una strategia molto bene elaborata con l’obiettivo di privatizzare (cosa che è già stata fatta) il settore affinché le multinazionali accedano alle riserve di petrolio del Brasile in un momento di rapina di risorse strategiche a livello mondiale. Per legittimare questa vendita (di idrocarburi e sovranità) è fondamentale mostrare l’inefficienza della Petrobras, come impresa statale, per farsi carico dello sfruttamento delle risorse [20].
Dagli affari alla geopolitica
Nel 2015, nonostante le critiche al governo di Dilma Rousseff, il Dipartimento del Commercio degli USA affermava che “il Brasile continua ad essere molto attraente per le imprese statunitensi”. Si chiariva che il Brasile era il principale socio commerciale degli Stati Uniti, poiché nel 2014 lo scambio tra ambedue i paesi raggiunse i 37 miliardi di dollari, oltre ad essere la settima economia del mondo e che per quello (nonostante la crisi) continua ad essere un “mercato fantastico”. Nel medesimo documento si dichiara che ambedue i governi firmarono nel 2010 un Accordo di Cooperazione nella Difesa, che la Rousseff ha inviato al Congresso per la sua ratifica. Questo è suggestivo, nel medesimo testo si chiarisce agli imprenditori che uno degli ambiti preferenziali per fare affari è quello della difesa [24].
Con l’ascesa di Temer, sono stati stretti legami con le FF.AA. degli Stati Uniti in virtù di questo ruolo privilegiato del settore difesa (come “nicchia di mercato” e certamente, in termini geopolitici). Nel marzo 2017, l’Esercito degli USA ha inaugurato un centro di tecnologia a San Paolo per “diventare socio del Brasile in progetti di ricerca mirati all’innovazione” -analogo alle basi militari che gli USA progettano di installare in Argentina per “ricerche scientifiche” [23]- e il Ministero della Difesa del Brasile e il Dipartimento della Difesa degli USA hanno firmato l’Accordo per lo Scambio di Informazioni su Ricerca e Sviluppo, il MIEA (Master Information Exchange Agreement).
Di fronte a quanto detto e considerando l’importanza geostrategica e geopolitica del Brasile, preoccupa una informazione che è apparsa riguardo l’invito delle Forze Armate brasiliane a truppe degli USA per partecipare ad una esercitazione militare “inedita” nella triplice frontiera tra Brasile, Perù e Colombia. L’esercitazione si chiama “Operazione America Unita”, inspirata ad un’attività simile che fu effettuata dalla NATO in Ungheria, nel 2015 (occasione a cui il Brasile partecipò come osservatore). Dopo quella esercitazione, la NATO aprì una base in Ungheria. Bisogna ricordare, inoltre, che nel 2013, la Colombia firmò un accordo di cooperazione con la NATO [24]. Questo non deve passare inosservato nelle attuali circostanze di aumento del conflitto in Venezuela (la cui principale e non occultabile motivazione sono le riserve di petrolio), che si inserisce in uno schema di provocazione e/o mantenimento di “situazioni belliche” da parte degli USA, in uno scenario di rapina per l’appropriazione di risorse strategiche.
Note:
1 https://www.ft.com/content/8edf5b2c-c868-11e6-9043-7e34c07b46ef
2 http://www.celag.org/lawfare-la-judicializacion-de-la-politica-en-america-latina/
4 http://www.celag.org/el-impacto-del-lava-jato-en-el-capitalismo-brasileno/
5 https://mundo.sputniknews.com/americalatina/201602171056856274-brasil-petrobras-reserva/
6 Questa sezione è realizzata in base a informazioni prese da https://wikileaks.org/Nos-bastidores-o-lobby-pelo-pre.html; http://www.brasilwire.com/snowden-wikileaks-brasil/
7 Questi documenti fanno conoscere l’addestramento di agenti per accedere e spiare le reti interne di imprese, governi e istituzioni finanziarie, intromettersi in reti progettate per proteggere informazioni di quelle istituzioni
8 Fino al 1997 la Petrobras aveva il monopolio della produzione di petrolio, anno in cui il governo decise di aprire il settore alla concorrenza, così la Shell è stata la prima transnazionale a produrre petrolio greggio nel paese. Dopo si aggiunsero Chevron, Repsol, BP, Anadarko, El Paso, Galp Energia, Statoil, BG Group, Sinopec, ONGC and TNK-BO.
9 http://www.as-coa.org/speakers/ambassador-clifford-sobel
10 http://www.elmundo.es/america/2010/10/29/brasil/1288378788.html
13 http://www.celag.org/estados-unidos-y-el-perfil-bajo-sobre-brasil-por-silvina-m-romano/
15 http://www.brasilwire.com/snowden-wikileaks-brasil/
17 http://www.brasilwire.com/snowden-wikileaks-brasil/
18 http://www.preciopetroleo.net/opep-reunion-mayo-2017.html
22 https://www.commerce.gov/news/blog/2015/06/brazil-continues-be-attractive-us-companies-says-andrews
20 maggio 2017
CELAG
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Silvina M. Romano, “Estados Unidos y Brasil: lo que oculta el Lava Jato” pubblicato il 20-06-2017 in CELAG, su [http://www.celag.org/estados-unidos-y-brasil-lo-que-oculta-el-lava-jato/] ultimo accesso 28-06-2017. |