Il 16 maggio è cominciato uno sciopero civico nella città colombiana di Buenaventura, popolata nella sua immensa maggioranza da afrocolombiani. Durante queste tre settimane la repressione è stata l’unica risposta del governo a richieste ben precise, focalizzate sulla scandalosa mancanza d’acqua che da secoli patisce una popolazione povera, schiavizzata e discriminata.
Buenaventura è il principale porto sull’oceano Pacifico, fulcro del voluminoso commercio con l’Asia. La città è l’epicentro del movimento nero colombiano, dove la popolazione nera sta realizzando importanti mobilitazioni, in un periodo di aumento delle lotte dirette dal Processo delle Comunità Nere (PCN) e da altre organizzazioni etnico-territoriali.
L’attuale sollevazione è cominciata con paralisi delle attività e del commercio, blocchi stradali e barricate, riunioni pacifiche alle quali lo Squadrone Mobile Antisommossa (ESMAD) ha risposto con violenza militarizzando la città. Tre giorni dopo l’inizio dello sciopero, il 19 maggio, 3.000 uomini in divisa hanno occupato la città aggredendo i suoi abitanti e reprimendo ogni protesta.
L’obiettivo è recuperare l’operatività del porto che è stata colpita dallo sciopero. Una parte della popolazione ha risposto alla repressione con saccheggi dei negozi che in alcuni casi sono stati impediti dagli stessi abitanti (formando cordoni umanitari) per non dare pretesti alla repressione.
La mobilitazione è stata convocata con il motto “Sciopero civico per vivere con dignità e pace nel territorio”, perché la popolazione vive sotto una triplice emergenza sociale, economica ed ecologica giacché soffre di gravi problemi di acqua potabile, fognario, educazione e mancanza di un ospedale in una città con più di 200.000 abitanti.
Come segnala un manifesto delle organizzazioni locali, oltre alla morte di uno studente, hanno subito attacchi dell’ESMAD che “ha fatto incursioni nei quartieri lanciando gas lacrimogeni all’interno delle case, come è successo all’alba del 26 maggio, per cui sono rimasti severamente colpiti bambini neonati, tra le molte altre persone adulte e giovani ferite per i proiettili di gomma”.
Le organizzazioni popolari affermano che hanno trattato la popolazione come se ci fosse una guerra e se stessero affrontando degli attori armati, senza una capacità di negoziazione da parte del governo ma scaricando l’apparato repressivo contro di lei.
A mio modo di vedere, la situazione che si vive a Buenaventura riflette due gravi problemi attuali della Colombia.
Da un lato, la fragilità del processo di pace si evidenzia nell’incapacità dello stato a soddisfare le richieste sociali lungamente rimandate. La popolazione di Buenaventura sopporta un calvario per la scarsezza e la contaminazione dell’acqua, rendendo molto penosa la vita quotidiana. Per quei milioni di colombiani il processo di pace non ha lasciato nulla più che repressione e militarizzazione dei suoi paesi e dei quartieri.
Dall’altro, le richieste dei popoli più oppressi (indigeni e neri) stanno aprendo una nuova congiuntura politica, nella quale la polarizzazione guerriglia-stato passa al secondo posto. Quella contraddizione che ha dominato la scena colombiana per più di mezzo secolo, sta cedendo il passo alle più diverse lotte di classe, che possono riassumersi nel conflitto tra quelli in basso e quelli in alto.
Da un lato, allevatori, imprenditori rurali e urbani, guidati dal settore finanziario, militari e paramilitari con affari illegali (come l’attività mineraria informale e il narcotraffico), formano il polo che ha beneficiato della guerra accumulando milioni di ettari di terre rubate ai contadini.
Dall’altro, si va formando un’ampia gamma di lotte popolari: popoli che resistono all’attività mineraria e ottengono vittorie parziali; la lunga lotta indigena focalizzata nel Cauca, che lotta per rompere la cooptazione e la sottomissione promosse dalla Costituzione del 1991; il ri-emergere della classe contadina che lotta contro le devastatrici conseguenze del TLC con gli Stati Uniti (coltivatori di caffè, di patate, e una lunga lista di dignità in lotta); camionisti e maestri, studenti e donne, tra le molte altre.
A tutte quelle, che sono andate scalando processi nell’ultimo decennio, ora debbono aggiungersi le lotte del popolo nero. Lotte che si stavano portando avanti da quando nel 2008 i tagliatori di canna del Valle del Cauca si sono uniti alla Minga indigena che quell’anno percorse mezzo paese e partorì il Congresso dei Popoli, il maggiore e più diverso coordinamento di processi popolari. L’anno scorso, la lotta nera è stata protagonista di una spettacolare occupazione di Buenaventura, paralizzando lo strategico porto del Pacifico.
Lo sciopero civico in corso colloca il popolo nero colombiano, tra il 10 e il 15% della popolazione del paese (da 5 a 8 milioni di persone), al centro dello scenario delle lotte. Quando quel popolo lotta per costruirsi come soggetto autonomo, superando enormi difficoltà esterne e interne, è il momento della solidarietà incondizionata. Una solidarietà che sia capace di superare un razzismo di cinque secoli, incistato come senso comune anche nelle sinistre.
12 giugno 2017
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “Rebelión negra y popular en Buenaventura” pubblicato il 12-06-2017 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/rebelion-negra-popular-buenaventura/] ultimo accesso 13-06-2017. |