Intervista a Héctor Llaitul, portavoce del Coordinamento Arauco Malleco, una delle principali organizzazioni di lotta contro lo stato cileno.
La vecchia e rabbiosa repressione dello stato cileno contro la lotta Mapuche reinventa formule per disintegrare un intero popolo. Ora è il turno della Commissione di Consulenza Presidenziale o “tavolo di dialogo”, arrischiata dall’amministrazione della Nuova Maggioranza. Per conoscere l’opinione relativa ad una delle forze che si scontra mediante l’azione diretta e un progetto politico anticapitalista, in formazione, propriamente mapuche, ci incontriamo con il portavoce del Coordinamento Arauco Malleco (CAM), Héctor Llaitul.
-Qual’è l’opinione del CAM riguardo la cosiddetta Commissione di Consulenza Presidenziale o “tavolo di dialogo” che l’amministrazione della Nuova Maggioranza ha avviato nel territorio Mapuche?
-Per noi si tratta più di una scommessa delle autorità di turno con l’intenzione di affrontare il conflitto tra il nostro Popolo Nazione e lo Stato cileno. Per noi è semplicemente più o meno lo stesso”. C’è una situazione che non è nuova. È stato fatto un appello per istituire un tavolo di consulenza presidenziale allo scopo di stabilire alcune misure per bloccare il conflitto, ma consideriamo che alla lunga non ci sarà nessuna risposta concreta al confronto.
-Perché?
-Perché sembrerebbe che siano le voci più conservatrici del settore imprenditoriale, che nell’Araucanía guida il regime di occupazione coloniale, soprattutto l’industria forestale e il latifondo che si sono appropriate del territorio del Wallmapu, quelle che hanno maggiore preminenza in questo “tavolo di dialogo”. Di conseguenza, la proposta e i suoi risultati sono stati preventivamente definiti nel senso di mantenere l’attuale stato delle cose e il capitalismo neoliberale attraverso la politica estrattiva che sta causando distruzioni nei nostri territori. Questo ha a che vedere con la rapina e il saccheggio delle nostre risorse, principalmente della terra e dell’acqua. Pertanto, il “tavolo di dialogo” offre solo maggiori garanzie a questo sistema, che è eretto sul principio fondamentale dello sviluppo capitalista di salvaguardare ad ogni costo la proprietà privata.
-Perché pensi che il“tavolo di dialogo” emerga ora e non prima?
-Per il livello di antagonismo inconciliabile che ha raggiunto la lotta tra le comunità mobilitate, e le loro rappresentanze (tra le quali ci annoveriamo), e il sistema della proprietà privata usurpatrice, principalmente dell’industria forestale. Questo scontro si è ampliato e approfondito. E ciò che realmente c’è, è una destabilizzazione della riproduzione del capitale e delle sue relazioni. Questo è lo scenario che segna il confronto. E in questo ci tocca una reale responsabilità politica. Nel Wallmapu, il capitale e le sue rappresentanze politiche istituzionali non possono più governare come lo hanno fatto prima. Oggi c’è un conflitto dalle caratteristiche strategiche.
-Che significa questa strategia?
-Con i risultati del rapporto che è stato consegnato all’esecutivo si vuole il continuismo e con questo lapidare le aspirazioni di autodeterminazione che gran parte del Popolo Mapuche ha assunto negli ultimi tempi, al di là del CAM. Il movimento Mapuche in generale, e l’autonomista in particolare, si sono proposti con molta forza la lotta per la ricostruzione nazionale Mapuche”.
-Quali sono le caratteristiche lapidarie per la causa liberatrice Mapuche che il “tavolo di dialogo” comporta?
C’è una diagnosi e ci sono delle proposte che in fondo preparano il governo di turno a che non sia neanche stabilito il riconoscimento costituzionale o la possibilità di uno stato plurinazionale all’interno degli ambiti legali e riformisti della sua stessa architettura politica. Per questo, anche molti settori mapuche diversi dai nostri e che sono impegnati in una aspirazione autonomista, criticano questa Commissione di Consulenza Presidenziale – “tavolo di dialogo”.
-La “caramella” del “tavolo di dialogo”, almeno sulla carta, considera delle quote parlamentari per i mapuche. Al di là di questa classica forma di cooptazione sistemica che storicamente il potere ha usato, che c’è di fondamentale per voi?
-Il fatto trascendentale è che, non esistendo un riconoscimento costituzionale della nostra condizione di Popolo Nazione, lo stato cileno si rifiuta di dichiararsi plurinazionale e con questo frena ogni possibilità di autodeterminazione, che è l’aspirazione e la richiesta che per noi mapuche ha più significato. Ossia, qui la monolitica unità dello Stato del Cile non permette un suo dibattito democratico. Questo esprime una posizione straordinariamente conservatrice, di destra e perfino fascista. Pertanto, ci troviamo, una volta di più nella storia, con una concezione che rifiuta completamente l’insieme dei diritti che compongono e sono la condizione per la ricostruzione della Nazione Mapuche. In fondo, lo stato cileno e la sua amministrazione si rifiutano una volta di più di riconoscere la differenza rispetto i soggetti collettivi che presentano forme di vita diverse e che noi certamente possediamo nostre proprie richieste. Perché? Perché non si adeguano ai loro interessi.
Quanto detto precedentemente per la Nazione Mapuche è altamente grave e spiega perché il nostro progetto di emancipazione si basi sulla indiscutibile realtà che siamo un popolo occupato, sottomesso. Che differenza c’è con la militarmente criminale “pacificazione dell’Araucanía”, imposta contro di noi dallo Stato del Cile verso l’ultima parte del XIX secolo? Perfino oggi continua questo medesimo regime di occupazione coloniale, di “integrazione” e cilenizzazione forzata, dove non ha spazio la nostra concezione di autodeterminazione e sovranità. E questa oppressione non avviene solo contro di noi. È alla base delle resistenze dei popoli palestinese, curdo, saharawi, dei popoli indigeni di tutto il Continente, del popolo basco, dei movimenti di liberazione africani, asiatici, in Nordamerica, in Australia, ecc.
-Rispetto agli altri momenti storici cosa è cambiato per il Popolo Mapuche che possa spiegare perché viene lancita questa Commissione di Consulenza Presidenziale – “tavolo di dialogo”?
-I molteplici sforzi del movimento Mapuche (con morti, prigionieri, processi di lotta, sistematica persecuzione politica) sono andati creando una correlazione, e delle condizioni di forze, diversa con l’obiettivo di rendere fattibile un progetto autonomista. La lettura è che la lotta mapuche autonomista si è intensificata e lo stato deve fare qualcosa di fronte a questo. E dentro il suo abituale repertorio, la risposta dello stato cileno è di utilizzare un’apparente strategia di “dialogo”. Chiaro che qui ci sono state decisioni politiche e pressioni degli impresari. L’uso di questo mezzo non solo è una “sbattuta” [di porta], una unilaterale chiusura alla nostra causa di autodeterminazione, ma minaccia tutte le cause di autodeterminazione dei popoli e delle comunità non Mapuche soggiogate dallo stato cileno, e si propaga più del dovuto il paradigma dominante di quello che territorialmente si chiama “paese cileno”. Si tratta di un brutale schiaffo contro tutti i popoli del mondo che lottano per la propria autodeterminazione.
-Che significa “autodeterminazione” per l’insieme della Resistenza Mapuche?
-L’esistenza etnico-politica delle condizioni e delle capacità di autogovernarci e di definire il nostro stesso destino. Di continuare ad essere mapuche. Di ricostruirci, nei mapuche kimun (saperi), nel mapuche rakiduam (pensiero), nel ad mapu (leggi mapuche) nel itrofil mongen (biodiversità). Tutto.
“Sempre abbiamo subito una dittatura”
-Che differenze ci sono verso il mondo Mapuche tra il trattamento della dittatura pinochettista rispetto ai governi civili?
-Per il Popolo Nazione Mapuche, al riguardo, non ci sono sostanziali variazioni. Abbiamo sempre subito una dittatura, indipendentemente dalle forme che il regime politico cileno abbia adottato.
-Per voi che è la dittatura?
-Noi continuiamo a subire la dittatura del capitale monopolista finanziario. Essa è quella che ha guidato l’ordine del razzismo e l’intolleranza verso i nostri diritti. Per questo, di fronte alla presente contingenza, dall’alto, non ci sarà altro che “soluzioni” sulla linea della “integrazione”. Integrazione come assimilazione e sottomissione alla totalità dello stato nazione cileno. E concretamente anche il tentativo di annichilamento di fronte alle nostre posizioni di lotta per il territorio e l’autonomia. Questo accrescerà la repressione e la persecuzione politica verso i settori più conseguenti verso queste aspirazioni.
-Che succede se dopo il rapporto della Commissione di Consulenza Presidenziale – “tavolo di dialogo”, come è stato pubblicato dai media, la Nuova Maggioranza offrirà un gruppo parlamentare mapuche?
-È certo che il governo offrirà una rappresentanza politica, ma non ai legittimi dirigenti mapuche che sostengono coerenti convinzioni autonomiste, ma ad individui mapuche che sono funzionali ai suoi interessi. Questo è, funzionali al progetto sviluppista, produttivista, consumista ed estrattivista che è nel DNA dell’accumulazione capitalista.
-Nonostante ciò, ci sono gruppi mapuche che non guardano di mal occhio questa “offerta”…
-In effetti, c’è una raccolta in corso legata ad un che fare politico che fa parte dell’istituzionalizzazione di certe frange della lotta mapuche. E si esprime con persone di cognome mapuche che sono assolutamente funzionali ai poteri stabiliti dall’alto. In questo ambito qual’è il principale problema? Che date le attuali condizioni di resistenza, organizzazione e lotta autonomista conseguente di ampi settori del Popolo Mapuche, verificandosi l’istituzionalizzazione via parlamentare di individui mapuche, si acutizzeranno le contraddizioni nel movimento generale.
-Che succederà?
-Il movimento si polarizzerebbe. Da un lato, noi che siamo per l’autonomia, incluso per l’autonomia rivoluzionaria come propone il CAM, e coloro che sono per istituzionalizzare la lotta mapuche. Con queste circostanze si provocherebbe una spaccatura. Dalla nostra prospettiva, non smette di essere un esercizio doloroso, ma sano. Per noi una virtuale spaccatura rappresenta una sfida e una visibilizzazione delle posizioni. In ogni caso, la cosa certa è che non esiste nessuna garanzia che ci siano seggi riservati da deputato o da senatore per mapuche che non appartengano ad alcun partito della stessa classe politica dominante che, d’altronde, si trova in mezzo ad una feroce crisi della propria democrazia rappresentativa che non sa da dove risalire. Allo stesso tempo, “l’offerta” del governo riunisce i tipici “aiuti” focalizzati e clientelari che lo stesso popolo cileno conosce bene.
La dottrina del nemico interno e il conflitto a bassa intensità
-Quali sono le condizioni della resistenza del movimento autonomista Mapuche?
-Riguardo al modo di agire dello stato cileno, noi diciamo che i fatti hanno più forza delle parole. Ciò che osserviamo è che l’istituzione sta portando avanti un vero scenario di guerra, nella logica della dottrina del nemico interno e del conflitto a bassa intensità. Parliamo, da parte dello stato, di un macchinario politico e militare per la guerra nella zona. Per chi vuole vedere, lì c’è la crescente militarizzazione di ultima generazione (si tratta di armamento comprato in Israele), criminalizzazione e repressione nel Wallmapu; la prigione politica, le montature, le sistematiche persecuzioni, i controlli di identità. Ossia, viviamo la permanente violazione dei diritti civili e umani della nostra gente.
A questo aggiungiamo che la totalità del personale statale militarizzato appostato nel territorio è lì per garantire gli interessi imprenditoriali. Operano come la “guardia pretoriana” del capitale forestale. Allo stesso tempo, affrontiamo la proroga del Decreto 701 che ha a che vedere con la certificazione del saccheggio forestale.
-E che avviene con le bocche della cosiddetta “classe politica”?
-In questo senso, noi affrontiamo non solo il sistema politico dominante, ma anche le cosiddette “sinistre tradizionali” e le “sinistre rivoluzionarie”. Qual’è la loro posizione in relazione alla nostra lotta?
-Già si conoscono le posizioni della “destra tradizionale” (UDI, RN, etc.) e di altri negozi sistemici…
-Che non ci sia un riconoscimento costituzionale del nostro Popolo Nazione è il risultato del fatto che la destra economica è stata imposta nelle istituzioni. E la Nuova Maggioranza si è sottomessa a questa imposizione. Nonostante ciò, quello che attira fortemente la nostra attenzione è che settori della Nuova Maggioranza, che si autoproclamano “progressisti”, non abbiano una posizione chiara al riguardo. Perché, che c’è dietro al “tavolo di dialogo”? La continuità di un processo di sfruttamento delle risorse su base capitalista nella sua forma estrattivista, insieme allo sterminio del Popolo Nazione Mapuche.
Che pensa la sinistra della resistenza del nostro popolo? Per noi non si tratta semplicemente di appoggiare una machi (medica, consigliera, religiosa, ndt) o un lonko (capo, ndt) in particolare. Vogliamo conoscere il suo pensiero pratico riguardo l’oppressione e il saccheggio totale che subiamo. Abbiamo bisogno di definizioni concrete riguardo al modello di sviluppo che nel territorio ci sta distruggendo. Non ci interessano i “saluti alla bandiera”.
Se la nostra decisione, di fronte all’integrazione forzata e all’assoggettamento allo stato e al suo sistema politico, è la resistenza organizzata e l’autodifesa come assi dinamizzatori delle nostre lotte, qual’è la posizione che adotterà la sinistra? Che dirà la sinistra, e i progressisti, se facciamo il legittimo uso delle armi, fondato sul Diritto alla Ribellione dei Popoli del mondo di fronte alla tirannia? Lo stato esercita quotidianamente e a discrezione il monopolio della violenza politica contro di noi. Noi non lo possiamo sopportare più. È la violenza dello stato che ci violenta e non il contrario.
“Non contrattiamo con le politiche statali e istituzionali”
-Qual’è il progetto politico del CAM?
-L’esercizio di ricostruzione nazionalitario (che non ha nulla a che vedere con il nazionalismo patriottardo del fascismo), dell’autonomia sulla base della lotta per il territorio ancestrale, e dell’autodifesa. E l’autonomia è anche indipendenza politica dai poteri che ci sottomettono, acquisiscano la forma che acquisiscano (il capitale, lo stato, le religioni, i partiti, le ong, ecc.). Noi parliamo della costruzione in corso di un nuovo progetto e pensiero mapuche, da, con e per il Popolo Nazione Mapuche, UN NUOVO RAKIDUAM. Si tratta di definizioni collettive e dal basso, che abbiamo trovato attraverso il divenire della nostra stessa lotta e che hanno le categorie dell’anticapitalismo, dell’anti oligarchia, dell’antimperialismo. Non provengono dall’accademia né dalle élite.
Ora bene, noi ci siamo impegnati a costruire nuove condizioni, superando le attuali, attraverso la medesima lotta. Nuove proprie condizioni mapuche, politiche, culturali, cosmovisionarie e, soprattutto, valoriali ed etiche. Noi parliamo molto dell’etica dell’azione politica, non solo riguardo all’azione diretta, ma alla condotta e al comportamento nella lotta. Per questo non veniamo a patti con le politiche statali e istituzionali. E il controllo territoriale diventa la nostra concreta piattaforma per far fronte a tutta l’impalcatura del potere che cerca di farci morire.
-Qual’è la differenza tra il “nazionalismo” e il “nazionalitario”?
-Noi qui combiniamo due modi mondialmente conosciuti riguardo a ciò che intendiamo per liberazione. Da un lato, c’è l’emancipazione delle classi oppresse dalle classi oppressore, e dall’altra parte, c’è la liberazione di un popolo quando è soggiogato da un altro popolo. Ambedue le lotte sono assolutamente legittime. La nostra resistenza coniuga ambedue i momenti in un solo movimento liberatore. Noi facciamo convergere la lotta anticapitalista con la lotta di liberazione nazionale.
-A quale società aspirate?
-Proponiamo la liberazione dell’umanità da ogni oppressione. E in particolare, dal nostro posto nel mondo, la liberazione come mapuche. Il nostro popolo si è storicamente attenuto ad una concezione collettiva di popolo e di nazione. Con autogoverno, autodeterminazione, autonomia. Noi mapuche siamo una formazione storica e culturale comune, con un idioma proprio, con una concezione del mondo e una spiritualità propria; con un caratteristico senso di appartenenza e identità. In questo contesto rivendichiamo il concetto di nazione. La nazione, e le relazioni sociali e materiali che cerchiamo di recuperare dai nostri antenati, dalla loro eredità, è un tipo di società che entra immediatamente in contraddizione con la società capitalista. Siamo contro l’ideologia della modernità capitalista, dello sviluppismo, produttivista, dell’infinito falso progresso a costo di mettere fine autodistruttivamente alla stessa natura di cui facciamo parte; siamo contro il beneficio individuale e privato al di sopra del bene comune e collettivo. Noi mapuche abbiamo sempre avuto un punto di vista comunitario e di reciprocità con la natura.
Allora lì diventa chiarissimo lo scontro tra due modi concreti e culturali inconciliabili. Lo sviluppo della ricostruzione del mondo mapuche diventa anticapitalista. E questa contraddizione insuperabile tra il progetto di sviluppo capitalista e la cosmovisione mapuche, la conoscono molto bene i padroni del capitale e da lì, il loro obiettivo di distruggerci. Qui dovrebbe esserci una profonda riflessione di coloro che si dicono vicini alla causa mapuche o pro-causa mapuche, nel senso di intenderci come soggetti rivoluzionari.
-Alcuni vi accusano di “nazionalisti e settari”?
-Questo deve essere chiarito e che non ci siano equivoci. La fattibilità della liberazione mapuche ha a che vedere con la liberazione della società cilena dalla predominante totalità capitalista. Per questo chiediamo a questi settori comprensione e autocritica. Non siamo “proletariato rurale, né classe contadina”. Cerchiamo l’accompagnamento e la solidarietà delle sinistre.
26/01/2017
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Andrés Figueroa Cornejo, “Chile: El Estado implementa un escenario de guerra contra la Resistencia Mapuche” pubblicato il 26-01-2017 in La Haine, su [http://www.lahaine.org/mundo.php/chile-el-estado-implementa-un] ultimo accesso 03-02-2017. |