A 15 anni dalla ribellione del 2001: Ripensare costruendo


Dopo quel 20 dicembre, nulla sarebbe stato più uguale. Avevo quasi 16 anni e per di più ogni tanto una manifestazione, ma non dubitiamo mai di ciò che vivemmo in quella giornata, sapevamo che quel giorno non era uno dei tanti. Lo stato d’assedio decretato dal presidente De la Rúa, dopo un giorno di saccheggi aizzati dal PJ (Partito Giustizialista), ma dei quali fu protagonista un popolo affamato che da anni non si lasciava più occultare, fu il detonatore della rabbia accumulata dopo anni di resistenza. A centinaia nella notte del 19 uscivamo in strada, alcuni rimanevano negli angoli dei quartieri dando fuoco all’immondizia e altri di noi affluivano nei viali, era una marea umana che avanzava verso il Congresso e dopo verso Plaza de Mayo. Lì ci ricevette la polizia con gas lacrimogeni e proiettili di gomma, dando inizio ad una battaglia che sarebbe durata lunghe ore della notte e sarebbe iniziata di nuovo il giorno dopo fino a quando nel pomeriggio l’elicottero si fosse portato via il presidente rinunciatario, senza aver prima lasciato nelle strade decine dei nostri morti ai quali avevano sparato. Avevo visto per la prima volta la polizia arretrare, per sempre questa immagine è rimasta incisa nella mia coscienza e da quei giorni mi accompagna la certezza che quando un popolo decide ad andare avanti, nulla può fermarlo.

Quelle giornate, rappresentarono la fine del modello neoliberale degli anni novanta. Questo processo abbracciò, con diverse modalità, quasi tutta la regione sudamericana. Nel nostro paese, l’esplosione sociale fu il risultato di anni di resistenza, il movimento dei disoccupati fu il grande protagonista. Riprendendo lo storico metodo del picchetto, gli emarginati del sistema mettevano nelle strade l’unica cosa gli rimaneva, il proprio corpo. E così guadagnarono notorietà i paesi di Cutral Co, Tartagal, Matanza e tanti altri. La parola d’ordine “picchetto e casseruole, la lotta è una sola” che agitavamo nei giorni successivi all’esplosione e che aveva un eco nel popolo mobilitato, fu l’espressione del desiderio di tracciare un cammino comune tra la vecchia e la nuova resistenza, tra il popolo umile e i settori medi, tra il movimento piquetero e quello assembleare che dopo la ribellione formammo. È chiaro che in quel 19 e 20 confluirono anche altre resistenze, come il santiagazo e le grandi rivolte popolari dell’interno del paese, i pensionati di Norma Pla (attivista per i diritti dei pensionati, ndt) e i mercoledì, noi studenti che difendevamo la gratuità della scuola pubblica e che ci siamo spostati dalle nostre organizzazioni alla complice Franja Morada (organizzazione universitaria, ndt), i ferrovieri e i lavoratori petroliferi che lottarono contro le privatizzazioni, i docenti e gli statali che affrontarono la precarietà, i correntisti truffati, e tante altre.

Il sistema visse una crisi organica nei termini di Gramsci, la classe dominante perse il consenso, il grido comune di “che se ne vadano tutti” fu l’espressione più chiara di quello. Nonostante ciò, noi dominati non sapemmo costruire un progetto comune capace di opporsi a loro. Il kirchnerismo avrebbe ripreso varie bandiere di quei giorni concedendo varie conquiste sociali, si sarebbe incaricato di ricostruire il consenso al sistema senza alterare la sua struttura economica dipendente e costruire strumenti che dessero potere al popolo mobilitato.

In questi tempi di nuove destre, nella regione si è aperto un nuovo ciclo politico al quale non stanno bene vecchie categorizzazioni. I diritti conquistati si trovano minacciati e torna ad essere protagonista della resistenza il settore che in quei giorni, come attualmente, ha dimostrato di essere il più dinamico della classe lavoratrice, che sono gli emarginati dal sistema. Questi emarginati, vecchi disoccupati che dovettero reinventarsi per sopravvivere, oggi si riconoscono come lavoratori e lavoratrici dell’economia popolare e non partono più da zero, contano su una esperienza accumulata di più di 20 anni di lotta. Per questo, ricordare a quindici anni quel 19 e 20 dicembre 2001, è un esercizio necessario per ripensare i limiti del passato, per avere presenti quei sogni e costruire il cammino per renderli realtà.

20 dicembre, 2016

Revista Venceremos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
A 15 años de la rebelión del 2001: Repensar construyendo” pubblicato il 20-12-2016 in Revista Venceremossu [https://revistavenceremos.wordpress.com/2016/12/20/a-15-anos-de-la-rebelion-del-2001-repensar-construyendo/] ultimo accesso 24-12-2016.

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