Marielle Palau et al

Rapporto sugli Agro-affari in Paraguay.

L’avanzata degli agro-affari si dà in molteplici e differenti dimensioni, la più visibile di queste è l’occupazione del territorio. Già i dati dell’anno 2008 indicavano che il 3% delle tenute occupavano l’85% della terra, e dati attuali indicano che il 94,25% delle terre coltivate sono destinate alla produzione di commoditiy agricole e solo il 5,75% alla produzione contadina. Questa situazione ha sempre più effetti diretti sulla vita di tutta la popolazione paraguaiana.

Negli ultimi dodici anni, la coltivazione di prodotti agricoli orientati all’esportazione è passata da poco più di ha. 2,3 milioni a circa 5,5 milioni, e lo ha fatto a spese delle comunità contadine e indigene che nel medesimo periodo di tempo hanno diminuito della metà la superficie utilizzata. C’è stata anche una perdita di ha. 416.5000 di boschi nella Regione Orientale (solo tra gli anni 2007 e 2014) e di 6.840.000 nel Chaco paraguaiano (tra gli anni 2005 e 2015).

Nella misura in cui il modello avanza e al suo passaggio va radendo al suolo la vita, il discorso egemonico ripete sistematicamente che l’economia paraguaiana dipende dall’esportazione dei prodotti dell’agro-affare, principalmente soia e carne. Nonostante ciò, coloro che esportano sono principalmente imprese a capitale straniero, con un praticamente inesistente carico tributario nel caso della soia; nel stesso momento in cui l’importazione di alimenti di base per la popolazione è crescente, così come i suoi costi. E non solo aumenta l’importazione di alimenti, avviene la medesima cosa con l’importazione di semi -non solo transgenici- e con i cosiddetti prodotti chimici agricoli, facendo riferimento alle migliaia di chili e di litri di veleni che sistematicamente entrano nel paese.

Il governo di Horacio Cartes è un attore chiave di questo processo, perfino i suoi programmi destinati all’agricoltura contadina sono orientati a rafforzare il modello degli agro-affari e la logica del mercato.

06/12/2016

ALAI