In Brasile, criminalizzazione e razzismo contro i Tupinambá


Ernenek Mejía

L’ultimo arresto di un indigeno Tupinambá che lotta per la restituzione del proprio territorio è stato quello del capo Luciano Akauã, lo scorso 21 ottobre. La richiesta legale per delimitare questa Terra Indigena nel sud dello stato di Bahía, nordest brasiliano, è cominciata 15 anni fa, ma la sua lotta ne ha per lo meno 80 da quando i fattori e i latifondisti spogliarono gli indigeni delle terre che occupavano. Una storia che si ripete in tutto il Brasile, come le sue conseguenze attuali.

L’arresto del capo è avvenuto nello stesso giorno in cui il Supremo Tribunale di Giustizia ha rigettato il ricorso interposto dai fattori per evitare la consegna del territorio agli indigeni attraverso il processo legale che ha già passato tutte le fasi indiziarie.

Quest’ultima causa è cominciata nel 2013 con l’argomentazione razzista che le popolazioni Tupinambá non avrebbero il diritto alla terra poiché, secondo le parole della difesa dei latifondisti, si tratta di “meticci risultanti dall’incrocio che è avvenuto tra indigeni e non indigeni che (…) sono giunti sulla scena più tardi”.

Nelle notizie di quel giorno non si è parlato della decisione del Tribunale di Giustizia contro i ricorsi legali che hanno impedito per tre anni la restituzione del territorio. Una votazione che ha favorito i Tupinambá, tra gli altri motivi, poiché legalmente non è in discussione l’identità indigena.

Nonostante ciò, nei media locali è uscita nella cronaca nera la versione ufficiale dell’arresto del capo Akauã, dove hanno descritto che in una operazione della 69ª Compagnia Indipendente della Polizia Militare avevano fermato il capo in una strada comunale, trovando nella motocicletta su cui viaggiava della marijuana, per cui è stato arrestato per il delitto di possesso di droghe.

Gli indigeni in un comunicato hanno denunciato che l’arresto del capo non è stato fortuito, ma una rappresaglia per la falsa voce che loro avrebbero ripreso delle aziende agricole, per cui i fattori, con l’appoggio della Polizia Militare, sarebbero passati per la regione nei giorni precedenti l’arresto intimidendo gli indigeni con messaggi come quelli di “non mettersi a litigare con la nostra gente” o “ditegli che hanno figli da crescere”, come raccontano nel comunicato.

La situazione non è stata differente a quella di sette mesi prima (07/04/2016) quando arrestarono il capo Babau e suo fratello per “porto illegale di armi”. Allo stesso modo, nei media locali fu divulgato il racconto ufficiale con il quale dicevano che durante un’operazione portata a termine dalla 69ª Compagnia Indipendente della Polizia Militare, gli agenti sarebbero stati aggrediti iniziando così un inseguimento che terminò con la detenzione degli indigeni, e avendo trovato nella loro auto armi da fuoco li arrestarono “in flagrante”.

Anche la versione ufficiale è diversa dal racconto degli indigeni che spiegano che l’arresto fu una risposta all’opposizione che lui e gli altri capi avevano avuto contro il lucroso affare dell’estrazione della sabbia nel territorio indigeno per l’industria delle costruzioni, sfruttamento che ha già provocato in questa zona l’erosione del delicato suolo della selva e la sedimentazione nei fiumi vicini.

Nelle notizie non fu nemmeno detto che alcune settimane prima la relatrice speciale dell’ONU per i diritti indigeni visitò i Tupinambá per constatare le precedenti raccomandazioni e ricevere nuove imputazioni di violazione dei diritti umani indigeni, come appunto denunciarono, tra le altre cose, l’estrazione illegale di risorse naturali nel territorio indigeno con l’appoggio delle autorità, come lo dimostrano i video che furono prodotti per divulgare il problema.

In quel momento, la relatrice dell’ONU dichiarò che nel suo viaggio di lavoro attraverso il Brasile avvertiva la ripetizione e le somiglianze tra i casi, fatto che la portò a raccomandare nel suo rapporto finale la “realizzazione di una Indagine Nazionale per valutare le denunce di violazioni dei (…) diritti [indigeni] e (…) riconoscere gli errori dello stato e fornire una riparazione per le violazioni dei diritti umani”.

Nell’incontro con la relatrice, i Tupinambá denunciarono anche la permanente criminalizzazione dei loro capi e rappresentanti da parte di governi, giudici e compagnie di polizia in congiura tra di loro e a favore degli interessi dei fattori, come si constata nell’imputazione di ogni tipo di delitti e arresti in flagrante predisposti per detenere i loro dirigenti, configurando una specie di controllo di polizia del movimento indigeno attraverso il territorio.

Fu con questo modus operandi che la cacicca Maria Valdelice fu arrestata nel 2011 per formazione di banda e saccheggio, in rappresaglia alla sua posizione di continuare a rioccupare, senza di lei, aziende per garantire terra agli indigeni e far pressione sull’impasse governativa nel delimitare la Terra Indigena. Liberata solo dopo un mese di carcere e quattro di arresti domiciliari.

Fu anche il modus operandi con il quale Babau fu accusato, nel 2014, dell’assassinio di un agricoltore a pochi giorni dal suo viaggio in Vaticano, che non poté effettuare, per consegnare al papa dei rapporti relativi alla violenza sui popoli indigeni del Brasile. Sette giorni dopo fu liberato dalla prigione per mancanza di prove, aggiungendo una detenzione all’inchiesta che insieme ad altre accuse infondate mantengono il capo nel Programma di Protezione del governo federale verso i Difensori dei Diritti Umani.

In questo situazione non è difficile ascoltare di un qualsiasi Tupinambá che è nella lotta per il territorio che abbia bisogno di perdere la paura di essere arrestato, poiché la maggioranza si trovano con inchieste di polizia aperte per delitti fabbricati o accusati di occupare le terre che si trovano già delimitate e aspettano solo la pubblicazione ufficiale del rapporto per cominciare il processo di delimitazione e indennizzo dei fattori.

La persecuzione e criminalizzazione dei rappresentanti Tupinambá rappresenta, nella formalità legale, violenza di stato per azione e omissione delle autorità, fatto che ha già notato la relatrice dell’ONU. Violenza attraverso la quale è passata la maggioranza dei capi e dei dirigenti accusati di crimini come quelli di furto, assassinio, violenza, traffico di droga, porto illegale di armi, ecc., riducendo la lotta indigena per il territorio e i propri diritti attuali e storici a cronaca nera, contribuendo ad una immagine stereotipata che i non indigeni della regione e il paese hanno di queste popolazioni.

Questi atti aperti di discriminazione e razzismo sono praticati dalle stesse autorità che si rifiutano di riconoscerli come popoli originari trattandosi, secondo le loro parole, da “meticci”, per cui hanno cercato nell’ultima giocata legale e politica a favore dei fattori di suddividere il territorio già delimitato in aree discontinue che sarebbero cedute a ciascun capo, mantenendo così le esenzioni delle proprietà. Al contrario della richiesta dei 47.376 ettari occupati tradizionalmente da loro.

Sono pratiche comuni anche tra i fattori che attraverso la propria Associazione, ironicamente chiamata dei Piccoli Agricoltori (Associazione dei Piccoli Produttori Agricoltori di Ilhéus, Una e Buerarema), affermano che restituire le terre agli indigeni è sprecare la capacità produttiva di questo suolo e un attentato alla proprietà privata, conformemente al discorso nazionale dell’agro negozio e del loro gruppo alle camere dei deputati e senatori.

Scontro che ha portato ad attacchi fisici contro i Tupinambá da parte di persone comuni, che considerano queste popolazioni delinquenti, e delle stesse guardie bianche che sono state finanziate dai fattori, che nei momenti più acuti ha comportato la necessità di militarizzare la zona per evitare la scalata di violenza contro gli indigeni.

Il ciclico scenario di scontri si poté evitare per opera del governo Dilma nel 2012 quando non c’era un impedimento legale per delimitare la Terra Indigena, ma, per omissione e disinteresse governativo di quel momento, i fattori guadagnarono tempo per fare dei ricorsi legali che solo in data recente sono stati rigettati, allungando fino ad ora il teso conflitto.

In questo contesto, la detenzione del capo Akauã potrebbe essere l’ultima o solo una di più della lista. Questo perché, da un lato, senza l’attuale impedimento legale per delimitare la Terra Tupinambá per la decisione del Tribunale Superiore, le autorità federali dovrebbero restituire nei prossimi mesi il territorio, iniziando il processo di delimitazione e indennizzo che, per i tempi e gli obblighi legali, avrebbe dovuto essere realizzato dal 2012.

Ma, d’altra parte, il governo del Brasile, occupato dal vicepresidente conservatore, potrebbe continuare ad allungare i tempi della restituzione del territorio, inadempiendo agli obblighi dello Stato Brasiliano nei confronti degli indigeni, poiché si è già dichiarato contrario a qualsiasi proprietà sociale e tradizionale, così come è favorevole alla revisione delle prerogative legali dei popoli indigeni.

La rotta che prenderà la demarcazione di questa Terra Indigena e di altre che sono in questa medesima condizione, permetterà anche di sapere se il discorso di legalità che il governo ribadisce in tutte le sue comunicazioni per legittimare le proprie politiche si riferisca al rispetto della costituzione brasiliana che garantisce agli indigeni diritti come poche legislazioni al mondo, o si riferisca solo alle leggi che favoriscono il suo progetto apertamente neoliberale e conservatore, collaborando alla violenza di stato che i Tupinambá hanno evidenziato in tutte le loro denunce, riassunta nel loro ultimo comunicato:

“Siamo tutti oppressi e preoccupati per quello che potrà succedere d’ora in poi, sappiamo che, allo stesso modo traditore con cui sono avvenute le detenzioni del capo Babau e di Luciano, possono creare delitti per qualsiasi membro del movimento indigeno (…), chiediamo che si prendano le misure necessarie nei confronti dei poliziotti che agiscono come milizie”.

17 novembre 2016

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Ernenek MejíaCriminalización y racismo contra los Tupinambá, en Brasil” pubblicato il 17-11-2016 in Desinformémonossu [https://desinformemonos.org/criminalizacion-racismo-los-tupinamba-brasil/?platform=hootsuite] ultimo accesso 24-11-2016.

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