L’America Latina e il trionfo di Trump


Raúl Zibechi

A coloro che avevano dei dubbi sul fatto che sia nata una nuova destra, il trionfo di Donald Trump dovrebbe convincerli del contrario. La nuova destra conta su un ampio appoggio popolare, soprattutto tra i lavoratori e le classi medie bastonate dalla crisi del 2008 e dagli effetti della globalizzazione, come è già successo in Inghilterra con la Brexit. Siamo di fronte ad un nuovo mondo dove questa destra machista e razzista raccoglie la rabbia dei milioni colpiti dal sistema. Una destra nostalgica di un passato che non tornerà, in un periodo di decadenza imperiale e del sistema-mondo capitalista.

Ciò che hanno messo a nudo le elezioni statunitensi è la frattura interna che vive la società, l’impoverimento delle maggioranze e l’arricchimento osceno dell’1%. Ma hanno anche messo a nudo il ruolo vergognoso dei mezzi di comunicazione, incominciando dai “rispettabili” The New York Times e The Wall Street Journal, che non hanno avuto imbarazzo nel titolare che Trump era il candidato di Vladimir Putin. Robert Parry (giornalista di indagine che ha fatto scoppiare lo scandalo Iran-Contras) afferma che il rispettabile, un tempo,  Times “ha perso la sua vena giornalistica, trasformandosi in una piattaforma di propaganda e apologia dei potenti” (goo.gl/BbVy1d).

La campagna elettorale ha anche messo a nudo la frattura di istituzioni così vitali per l’1% come l’Ufficio Federale di Investigazioni (FBI), che si è spaccato internamente per le pressioni di Hillary Clinton affinché non indagasse i suoi messaggi. Con Trump hanno perso Wall Street, il complesso industriale-militare, l’architettura internazionale forgiata dagli Stati Uniti dal 1945 e l’1%, che ha puntato forte su Clinton. Ora circondano il vincitore per condizionarlo, qualcosa che non gli costerà molto perché appartengono alla medesima classe e difendono i medesimi interessi.

È probabile che neri e latini soffrano di più con un governo di Trump. Ma, ora che se la stanno passando bene? Sotto i governi di Barack Obama le morti degli afrostatunitensi per mano della polizia sono cresciute in modo esponenziale, la differenza di entrate tra latini e afrostatunitensi rispetto ai bianchi è cresciuta a seguito della crisi del 2008.

Nel 2013 il reddito dei bianchi era 13 volte maggiore di quello degli afrostatunitensi e 10 dei latini, mentre nel 2004 era sette volte superiore sui primi e nove sui secondi (goo.gl/7CWaIE).

La situazione degli emigranti migliorerà se rafforzeranno le loro organizzazioni, le diffonderanno e si mobiliteranno contro l’1%, non per ciò che decide la Casa Bianca. La politica dei democratici è consistita nel cooptare delle piccole élite delle minoranze razziali per usarle contro le maggioranze nere e latine, e per esibirle come trofei elettorali. Lo stesso hanno fatto rispetto le donne: un femminismo per bianche delle classi medio alte.

Ma non è il razzismo né il maschilismo quello che ha irritato l’1%, ma le proposte di Trump verso il settore finanziario e sulla politica internazionale. Ha proposto di aumentare le imposte ai mediatori di fondi ad alto rischio, i nuovi ricchi sottomessi a Wall Street. Difende un’alleanza con la Russia per combattere lo Stato Islamico e sponsorizza vie d’uscita negoziate in Medio Oriente. Di fronte all’interventismo sfacciato, propone di concentrarsi sui problemi domestici. Un’altra cosa è che lo lascino fare, giacché senza guerra l’1% può venir giù.

Dall’America Latina, il trionfo di Trump può essere inteso come un momento di incertezza nella politica imperiale verso la regione. Non dobbiamo arrischiare pronostici. Ricordate quando Bergoglio è stato unto Francesco I, e molti hanno affermato che sarebbe stato un papato reazionario? Sotto l’amministrazione Obama (iniziata nel 2009) ci sono stati colpi di stato in Honduras e Paraguay, la destituzione di Dilma Rousseff in Brasile, l’insurrezione di destra in Venezuela, incluso l’aggravamento della guerra contro il narco in Messico, iniziata dal suo predecessore George W. Bush. Peggio non ci è potuto andare con il “progressista” alla Casa Bianca.

Per quelli in basso dell’America Latina le cose possono cambiare, in vari sensi.

In primo luogo, il discorso maschilista e razzista di Trump può incoraggiare le nuove destre e facilitare l’aumento dei femminicidi e il genocidio dei popoli indigeni e neri. La violenza contro i popoli, principale caratteristica della quarta guerra mondiale/accumulazione per saccheggio, può incontrare minori scogli istituzionali (ancor meno!), maggiore legittimazione sociale e silenzio dei media monopolistici. Non è una nuova tendenza, ma più della stessa cosa, che di per sé è grave. Sarà più difficile contare su ombrelli istituzionali di protezione e, perciò, i repressori si vedranno con le mani più libere per colpirci.

La seconda tendenza è che il sistema perde legittimità quando prendono la mano tendenze come quelle che incarna Trump. Questo processo si stava già profilando, ma ora avviene un salto in avanti con la perdita di credibilità popolare nelle istituzioni statali, che è una delle questioni che le élite del mondo temono di più.

La terza questione è la divisione tra le classi dominanti, tendenza globale che deve essere analizzata con maggiore profondità, ma che ha effetti destabilizzatori per il sistema e, pertanto, per la dominazione. Fondamentalmente, ci sono coloro che puntano tutto sulla guerra contro i popoli e altri che credono che sia meglio cedere qualcosa per non perdere tutto. Che quelli in alto siano divisi è una buona notizia, perché la dominazione sarà più instabile.

Da ultimo, noi in basso ce la passeremo peggio. In questo periodo, l’instabilità e il caos sono tendenze strutturali, non congiunturali. È doloroso, ma è la condizione necessaria per poter cambiare il mondo. Subiremo più repressione, correremo il pericolo di essere incarcerati, fatti scomparire o assassinati. All’orizzonte si intravede molta sofferenza. Il capitalismo cade a pezzi e le macerie possono sotterrarci. L’altra faccia della medaglia è che molti smetteranno di credere che l’unico modo di cambiare il mondo sia votare ogni quattro o sei anni.

11-11-2016

La Jornada

http://www.jornada.unam.mx/2016/11/11/opinion/020a1pol

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl ZibechiAmérica Latina y el triunfo de Trump” pubblicato il 11-11-2016 in La Jornadasu [http://www.jornada.unam.mx/2016/11/11/opinion/020a1pol] ultimo accesso 15-11-2016.

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