Brasile, il golpe e il golpe dentro il golpe


Eric Nepomuceno

A questo punto, passati quasi sei mesi dalla nomina di Michel Temer come presidente ad interim e poco più di due dall’essere stato elevato alla categoria di presidente effettivo, dopo il golpe istituzionale che ha destituito la presidente Dilma Rousseff, lo scenario politico brasiliano è sempre più avvolto da nuvoloni opprimenti e infausti.

Recentemente hanno incominciato a guadagnare peso le voci che indicano che sarebbe in corso una nuova trama dei golpisti che hanno portato al potere Temer: per abbatterlo. Come dire: ci sono chiarissimi indizi che si avvicina pericolosamente (per Temer) l’ora e il turno del golpe dentro il golpe.

Fino a qui l’unica dimostrazione concreta di efficacia da parte del nuovo governo è stata quella di aver ottenuto un apparente solido sostegno nel Congresso. E ciononostante, questo sostegno sarebbe una scommessa arrischiata: il sistema politico brasiliano si basa sullo scambio di interessi. Questa lealtà -non i principi ideologici, etici o politici, ma puramente interessi- è qualcosa di molto relativo nel mio paese.

Del resto, Michel Temer e i suoi accoliti e complici sono riusciti, in questi sei mesi, ad affondare ancor di più un paese che già stava passando un momento sfortunato.

In un solo colpo l’economia è crollata, la disoccupazione continua ad aumentare, e la cosiddetta ripresa dell’economia, così come degli investimenti, tanto insistentemente menzionati, continuano ad essere sempre più lontani dalla realtà delle belle bambine di Oaxaca dalla mia strada a Rio de Janeiro.

Inoltre, continua ad essere sospesa sul governo l’imminente minaccia di un disastro di proporzioni olimpiche. Appena si conosceranno le denunce dello schema di corruzione che fino ad ora ha avuto come bersaglio preferenziale di una giustizia parziale e ingiusta solo il Partito dei Lavoratori di Lula da Silva.

Per completare, il governo, tutto quanto, è un disastro e Michel Temer, in definitiva, non ha la statura morale e politica per assumere la guida di un paese che è sul bordo di un oscuro precipizio.

Di fronte a un tale quadro, sarebbe naturale che incominciassero a sorgere voci sulla possibile brevità del suo mandato. Temer non ha ottenuto il tanto sognato riconoscimento internazionale (eccetto dell’argentino Mauricio Macri, un altro fondamentalista del neoliberalismo), affronta una dura resistenza di ampi settori interni (tutti, senza eccezione, solennemente ignorati o disprezzati dalla grande stampa brasiliana) e, per completare, non riesce a fare qualcosa per cui il paese si muova dal suo pantano. La principale resistenza non viene dai movimenti sociali o dai partiti di sinistra, ma dalla gioventù: oggi stesso, domenica 6 novembre, ci sono più di mille scuole della secondaria occupate da migliaia di studenti che protestano contro il governo. La resistenza avviene lontano dalle strutture conosciute, fatto che rende più difficile sgominarla.

Quello che fino a poco tempo fa erano pure voci e speculazioni sono diventate parole concrete.

Con l’economia paralizzata, senza aver conquistato legittimità fuori dal suo circolo più stretto di fedeli complici, Michel Temer è incalzato.

Da due settimane si è incominciato a ventilare il nome del presunto successore. La trama è chiara: grazie allo stesso Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB), artefice del golpe che ha destituito Dilma Rousseff, vanno avanti, nel Tribunale Superiore Elettorale, un paio di azioni che chiedono l’impugnazione del risultato delle elezioni del 2014. Accusano il modulo Dilma-Temer di aver commesso crimini elettorali, come abuso di potere economico e uso di risorse illecite per finanziare la loro campagna elettorale.

Ora si entra nella fase finale del giudizio. E condannare i vincitori significa, direttamente, allontanare Michel Temer dalla presidenza che occupa dal golpe istituzionale promosso dallo stesso PSDB: siccome Dilma è già stata destituita, l’unico reo del giudizio è l’attuale mandatario.

Come successori si parla di due nomi. Uno, Nelson Jobim. È stato ministro di Fernando Henrique Cardoso, di Lula da Silva e di Dilma Rousseff. È stato deputato e presidente del Tribunale Supremo Federale. Più camaleontico, impossibile.

L’altro nome che si sussurra è quello dello stesso Fernando Henrique Cardoso, figura patriarcale del neoliberalismo fondamentalista del Brasile.

Ambedue hanno caratteristiche favorevoli: non si candiderebbero alla rielezione del 2018, e circolano liberamente tra i sostenitori del golpe. E almeno fino ad ora, non appaiono nelle liste dei denunciati per corruzione, al contrario di sette su dieci seguaci di Temer.

Così il mio paese si prepara all’immediato futuro: sono alte le possibilità che avvenga un golpe dentro il golpe.

Mentre, Temer, senza ottenere la tanto agognata legittimità, distrugge ciò che ha davanti. Giorno dopo giorno cresce l’attacco ai diritti individuali che sono alla base di uno stato democratico. E ad ogni minuto aumentano le ombre che, dietro l’angolo, indicano la presenza di uno stato d’emergenza che minaccia.

6 novembre 2016

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Eric NepomucenoBrasil, el golpe y el golpe dentro del golpe” pubblicato il 06-11-2016 in La Jornadasu [http://www.jornada.unam.mx/2016/11/06/opinion/018a1pol] ultimo accesso 08-11-2016.

 

, , ,

I commenti sono stati disattivati.