Uccidere di fame, crimine di lesa umanità


Manuel Humberto Restrepo Domínguez

Si dice che durante l’ultimo decennio nella Guajira siano morti di concreta fame più di 4770 bambini, provenienti dalle 45.000 famiglie indigene che debolmente resistono alla pianificata distruzione della loro cultura, dell’habitat e dei modi di vita. Hanno cercato di cambiarli e di allontanarli mediante la spregevole barbarie paramilitare, l’intervento delle transnazionali minerarie che hanno anche cambiato il corso dei fiumi e le politiche governative di disprezzo e abbandono che hanno facilitato il clientelismo e la corruzione della classe politica che ha trovato la propria nicchia di potere tra il deserto e il mare.

Ma non è solamente nella Guajira, è palesata da frammenti in tutta la Colombia nella quale la concreta fame uccide, come dire, morire di questa carenza che chiede ad un corpo umano debole di concentrare le proprie difese e la scarsa energia per auto proteggersi da altre malattie, infezioni, virus e alterazioni, che alla fine provocano il decesso che finisce nelle statistiche. La concreta fame dimostra il livello più criticabile della sottovalutazione a cui è portato un essere umano, posto in una situazione di massima impotenza, anche come essere biologico che lotta per sopravvivere.

Ogni anno i titoli della grande stampa a tratti annunciano la tragedia umana. Nel 2011 un annuncio in prima pagina diceva: “Fame Concreta! e indicava che questo è il rabbrividente dramma dei bambini indigeni di Puerto Gaitán, Meta, nel quale, nonostante sia il municipio che nel paese riceve più contributi dal petrolio, ha visto morire di inazione 13 bambini”. Sono morti di questa fame che quando si contraggono gli intestini produce blocchi respiratori e altri mali, che alla fine occultano le cause di quanto avvenuto e rendono opaca la tragedia. Un altro commento annunciava che i bambini giungevano con i capelli dritti che si rompevano e cadevano facilmente, con la pelle ruvida e squamata, senza peso né capacità di sostenere neppure la testa. Un altro caso commentava la morte di un bebè di undici mesi che poco tempo dopo essere giunto in ospedale è morto con una diagnosi di grave anemia, come dire, che non aveva nemmeno una goccia di sangue negli organi ed era totalmente pallido (semana.com).

Sono tutti casi inammissibili in pieno XXI secolo e colpiscono la dignità umana come lo fa qualsiasi altro crimine sistematico di lesa umanità, in un mondo nel quale per 7 miliardi di abitanti si producono alimenti per 12 miliardi e in un paese sintetizzato nel titolo “La crudeltà di soffrire la fame!”, che segnala la Colombia come un paese che nuota tra ondate di paradossi: da un lato aspira ad entrare nel club dei paesi ricchi, OCSE, la cui missione è “promuovere nel mondo politiche che migliorino il benessere economico e sociale delle persone”, mentre secondo l’Istituto Nazionale di Sanità nel proprio territorio muore di fame ogni 33 ore un minore di cinque anni o tre ogni giorno per questa causa secondo altre fonti (elespectador.com).

Ogni anno i titoli si ripetono in una cartografia che va da un regione all’altra, passa nel Córdoba, nel Magdalena o nella Regione Caraibica che ha presentato il 45% dei 240 casi registrati nel paese nel 2014. Passa nel Vaupés, dove il tasso di mortalità infantile per denutrizione raggiunge il 34%, al di sopra del 13% nazionale. Passa anche nel Risaralda, nel Nariño e nelle città dove gli esuli ammucchiati dall’esclusione cercano di adattarsi alla miseria provocata dalla disuguaglianza che porta a seppellire i propri bambini e bambine perché non si alimentavano come dovevano. La morte per fame si posa sulle vittime più innocenti dello sfollamento forzato, della guerra, della corruzione –che si ruba a miliardi i bilanci– e della prepotenza del potere che rende invisibile e nega continuamente la realtà o la distorce con giudizi mediatici che mostrano i signori ben nutriti ed eleganti assolti dai loro delitti che hanno conseguenze sulla sicurezza alimentare, dall’appropriazione dei bilanci, di terre, di acque, di minerali e animali che erano la garanzia del sostentamento delle loro vittime.

La fame concreta uccide i più deboli tra i deboli, anziani, bambini bambine che passano periodi prolungati senza provare un boccone o accumulano giorni e mesi alimentandosi male, senza nutrienti, senza proteine, senza calcio, senza ferro, senza le vitamine e i minerali della frutta e delle verdure che le istituzioni promuovono con cartelloni che si trovano appesi alle porte delle aule di lezione, a cui gli sfollati vorrebbero assistere solo per ottenere un boccone di cibo o un po’ di latte annacquato.

Non sono questioni biologiche quelle che uccidono, né la morte nascosta quella che minaccia le vite degli umiliati, è il modello di accumulazione, di arricchimento, il processo socioeconomico dell’impoverimento provocato da politiche e strategie di saccheggio che danneggiano tutto il sistema umano, di cui la fame che uccide è appena una delle sue conseguenze insieme alla distruzione della cultura, della solidarietà, dei modi e dei mezzi di vita e che tratta le sue vittime come animali che possono essere esclusi da colui che neppure si preoccupa di alimentare.

La fame non si contagia, né si trasmette, semplicemente uccide la vittima selezionata, che prima è stata esclusa e dopo è individualizzata dal sistema di sviluppo, come in un obbrobrioso e parziale sistema penale, che trasforma gli umani in cose e le cose in valori, usati per sottomettere, dominare e uccidere. Le morti per fame non le causa una generalizzata denutrizione per carenza di alimenti, è morte selettiva su umani trattati con disuguaglianza, discriminazione, odio, rabbia, e indolenza e realizzata da quelli che riscuotono i conti per i voti non ottenuti negando il cibo alle proprie vittime. Dietro la fame che uccide c’è un esercizio di potere e una sistematica strategia del lento sterminio con pubblico sberleffo. La fame provocata non fugge le situazioni di guerra e i conflitti che creano sfollamenti forzati, propagazione di epidemie, destrutturazione comunitaria e aumento della mortalità. La fame che uccide nasce in un contesto di disuguaglianza e richiede interventi di fondo e democrazia, per creare condizioni di pace in cui non ci sia né il timore di morire di fame né la paura di essere sfollato.

01-03-2016

Rebelión

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Manuel Humberto Restrepo Domínguez, “Matar de hambre, crimen de lesa humanidadpubblicato il 01-03-2016 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=209470&titular=matar-de-hambre-crimen-de-lesa-humanidad-] ultimo accesso 01-03-2016.

 

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