Il secondo decennio del neosviluppo: il presidente Macri visto dai movimenti argentini


Eliana Gilet

Mauricio Macri porta un marchio di classe tatuato in fronte. Figlio di un magnate, la sua apparizione come personaggio mediatico avvenne come conseguenza di un club di calcio: il Boca Juniors, del quale è stato presidente, amministratore e mecenate. Da lì, il salto nell’arena della politica di partito è stato quasi meccanico. Conquistò il governo della città di Buenos Aires. La sua gestione è stata essenzialmente repressiva.

Ha creato la polizia metropolitana, ingrossando l’apparato repressivo (6 mila agenti) che, a sua volta, è stato messo al lavoro in coordinazione con la polizia federale. Insieme sono state protagoniste dei tre episodi più sanguinosi degli ultimi cinque anni: tre persone morte nello sgombero del Parco Indoamericano, il 7 dicembre 2010, che era stato occupato da centinaia di famiglie emigranti, e ha reso visibile la crisi nell’accesso alla casa che affronta la capitale; la repressione nell’Ospedale Borda, il 26 aprile 2013, ha lasciato decine di feriti e 8 arrestati; e lo sgombero della Sala Alberdi, il 12 marzo 2013, un teatro e spazio culturale autogestito, dove due giornalisti della Rete Nazionale di Media Alternativi (RNMA) sono stati feriti con munizioni vere. Hanno represso con proiettili di piombo.

Per il restante tempo la sua forza di polizia si è divertita a perseguitare e assassinare dei poveri pibes (giovani, ndt).

“Pochi giorni fa abbiamo accompagnato una famiglia vittima del grilletto facile. Il poliziotto che ha ucciso Matías Casas è stato condannato a 20 anni di prigione. Il modo con cui lo ha fatto è stato raccapricciante, gli hanno tirato un colpo quando era già morto”.

Quello che Relmu Ñamku racconta nel precedente paragrafo non è avvenuto a Buenos Aires ma a Neuquén, una delle provincie argentine patagoniche, sulla cordigliera, assediata dalle imprese minerarie, petrolifere e del fracking.

Relmu è di Neuquén, è mapuche, un popolo originario diviso tra due stati, Cile e Argentina. Nell’ottobre del 2015, Relmu e gli altri due membri della Comunità Winkul Newen furono accusati (e assolti) di tentato omicidio e danno aggravato per aver resistito ad un ordine giudiziario favorevole ad una delle imprese petrolifere che sfruttano i pozzi nei loro territori ancestrali.

Per Relmu, una donna indigena di 37 anni, portavoce della resistenza mapuche contro l’avanzata dello sfruttamento petrolifero, i procuratori chiesero 15 anni di carcere. Il danno? Il naso rotto di un ausiliario di giustizia per una sassata durante un blocco che la comunità stabilì, negli ultimi giorni del 2012, contro l’Apache Corporation. La funzionaria di giustizia era andata nella comunità in compagnia dei rappresentanti dell’industria petrolifera per obbligare i mapuche a aprire il passaggio nel loro territorio alle macchine dell’impresa.

“Mentre a noi fecero il processo in un gigantesco tendone in mezzo alla piazza di Zapala, il processo per la morte di Matías fu fatto in un luogo praticamente nascosto. Il poliziotto che lo uccise lo condannarono a 20 anni, che è quasi il medesimo tempo di pena che chiedevano per me”.

Con il kirchnerismo l’Argentina non ha vissuto dodici anni in un paradiso socialista

Il grilletto facile non è stato una politica esclusiva delle polizie macriste, ma si è esteso come un massacro con il contagocce, con milioni che muoiono per mano delle forze dello stato, in lungo e largo il territorio argentino.

“Con il kirchnerismo l’Argentina non ha vissuto dodici anni in un paradiso socialista, sono stati in auge gli arresti arbitrari, le fucilazioni per il grilletto facile, la tortura e la morte nei luoghi di detenzione”, spiega María del Carmen Verdú, portavoce del Correpi, la principale organizzazione antirepressiva del paese, che ha anche portato alcuni casi davanti la giustizia, e ha realizzato il minuzioso compito di creare un archivio dei casi (disponibile nel suo web) che permette di rendere visibile la pandemia.

“Nonostante abbiano ucciso un pibe al giorno, abbiano fucilato 20 persone nelle manifestazioni e abbiano sancito 7 leggi antiterrorismo, i ka hanno ottenuto il consenso apparendo come un governo non repressore”.

La differenza, spiega Verdú alla luce della repressione dei lavoratori della Cresta Roja e dei lavoratori municipali di La Plata, è che il macrismo non si preoccupa di mascherare la propria politica.

Agli inizi di gennaio il coordinamento repressivo praticato nella città di Buenos Aires è stato trasformato in realtà. La polizia metropolitana e quella federale sono state unificate sotto un unico comando politico, agli ordini del capo di governo portegno. La mega forza poliziesca disporrà di 21 mila agenti solo per agire nella capitale federale.

“Lo ha detto lo stesso Macri, se finora abbiamo potuto coordinare e lavorare insieme, tra la federale e la metropolitana, immaginate ora che è una stessa forza. Il discorso repressivo ha fatto parte anche della sua campagna politica, la mano dura che i settori della borghesia reclamano a chi li rappresenta”.

Dalla strada A88, non molto lontano dalla capitale della provincia cordobesa, una delle attiviste dell’Assemblea degli Autoconvocati che fa parte dell’Accampamento che sta bloccando la Monsanto, riconosce che il cambio di governo è un tema di cui stanno parlando.

“Con Macri c’è un discorso più esplicito riguardo le logiche del saccheggio e della discriminazione. Anche sui legami con le multinazionali e l’allargamento di questo modello”.

Come dimostrano due fatti rivelatori: come ministro degli affari agrari della provincia di Buenos Aires, Macri nominò un ex impiegato della Monsanto: Leonardo Sarquís. A San Juan, provincia dove la Barrick Gold ha sversato un milione di litri di una soluzione al cianuro nel corso d’acqua che rifornisce di acqua potabile Jáchal e i paesi limitrofi, ha messo Gustavo Fariña alla direzione della Segreteria per la Sicurezza della provincia, che ha lavorato per le imprese minerarie Yamana Gold, GoldCorp e la stessa Barrick.

“Vediamo questo come qualcosa di positivo giacché con un discorso così esplicito forse non ci sarà tanta confusione tra la gente. Vedremo se la gente reagirà di fronte alle cose che si dicono nella rete televisiva nazionale. Questo discorso evidenzia che tornano i ’90, che il neoliberismo è a fior di pelle”.

“Non credo che sia necessario dire che è tornato il neoliberismo perché il neoliberismo non se ne è mai andato”: Raúl Zibechi

Dal sopore umido dell’estate di Montevideo, Raúl Zibechi afferma che stiamo vivendo la fine del progressismo che guidava i governi latinoamericani. “Non credo che sia necessario dire che è tornato il neoliberismo perché il neoliberismo non se ne è mai andato. Quello che si può dire con proprietà è che il modello estrattivista continua ad andare avanti con più forza, con più sostegni politici, si approfondisce di più. Quello che cambia è il clima politico, più polarizzato, con una offensiva della destra e delle forze pro yankee. C’è anche un importante cambiamento nella percezione di alcuni giocatori politici e mediatici”.

L’intellettuale charrúa precisa che Mariano Féliz, professore dell’Università di La Plata, lo spiega perfettamente in un recente articolo pubblicato su Contrahegemonía: “è l’inizio del secondo decennio del neosviluppismo”.

Il macrismo è venuto a completare il processo di “aggiustamento eterodosso” iniziato durante l’ultima presidenza di Cristina Kirchner, sostiene Mariano Féliz: è venuto a radicalizzare il progetto egemonico: “Invece di attaccare i punti fondamentali della crisi, il kirchnerismo ha operato sugli effetti della stessa cercando di allontanare nel tempo i limiti del progetto neosviluppista per giungere vincitore alle elezioni presidenziali del 2015”. Non ci è riuscito.

Le lotte

“Vinca chi vinca, non vince il popolo. Noi non votiamo. Non crediamo a questo sistema democratico. Queste persone non ci rappresentano, nemmeno i partiti di sinistra”, dichiarano da Córdoba.

Qualcosa di simile propone da Neuquén Relmu Ñamku: “Noi non siamo né macristi né ka, né di sinistra né di destra, e so che questo a volte fa male. Ma la sinistra può essere ugualmente razzista e discriminatrice come la destra. Forse non con i settori popolari, ma sì con i popoli originari. Il governo che è passato non era per nulla popolare. Gli ultimi dodici anni sono stati il periodo in cui ci sono state più morti di indigeni che si sono scontrati con il modello estrattivista”.

Quello che è in gioco è la vita, è la salute, è l’ambiente. Ci sono i dati delle indagini del Conicet (Consiglio Nazionale di Ricerche Scientifiche e Tecniche) e della Facoltà di Medicina che hanno rilevato che la media del cancro nella località è elevatissima rispetto alla media nazionale: ne soffrono 7 su 10 malvinesi, precisa dal blocco alla Monsanto.

Malvinas Argentinas è stata, ed è, una delle basi della denuncia degli effetti nocivi delle fumigazioni con pesticidi: da parte delle Madri di Ituzaingó Anexo, dell’Assemblea Malvinas Lotta per la Vita e di coloro che si sono aggiunti, da parte della scienza e di alcune facoltà di medicina.

A queste latitudini il nome di Andrés Carrasco risuona ancora forte. Lo scienziato che morì nel maggio del 2014, fu il primo a provare gli impatti (e gli effetti) devastatori del glifosato sugli embrioni. Fu anche perseguitato e contestato dalla comunità di intellettuali perché di fronte all’evidenza raggiunta, Carrasco decise di rendere pubblico il risultato delle proprie ricerche prima che passassero preventivamente attraverso la burocrazia della conoscenza scientifica: la pubblicazione dei risultati in una rivista scientifica. In cambio, ha parlato con Darío Aranda, uno dei giornalisti che di più (e meglio) ha coperto tutti i temi relativi all’ambiente, alla salute, e alle popolazioni originarie.

In Argentina abbiamo più di 30 popoli indigeni. A Formosa ci sono i Qom, i Pilagá, i Wichí, i Nivaclé che da anni vengono attaccati, dove hanno perseguitato e criminalizzato Félix Díaz, il loro portavoce, per isolarlo hanno violentato donne, hanno colpito bambini, hanno anche assassinato dei parenti di Félix”.

Relmu spiega che dopo essere sopravvissuta a due lunghi accampamenti nella città di Buenos Aires (il primo nel 2011, lo sostennero per un anno senza mai essere ricevuti dal governo, il secondo di 3 mesi nel 2015) i popoli originari di Formosa hanno formato un’organizzazione chiamata Qopiwini.

“In questa provincia ci sono ancora malattie che devono essere debellate, come il male di Chagas o la tubercolosi. Sono i fratelli quelli che soffrono di queste malattie, dove si muore denutriti”.

Nell’Accampamento contro la Monsanto sono in allarme dopo il giro giudiziario del 30 dicembre, quando il procuratore Víctor Chiapero ha ordinato lo sgombero del terreno. “Ci ha attirato l’attenzione il fatto che il procuratore abbia osato firmare l’ordine di sgombero e per giunta in un modo così povero, perché non c’è nessun sostegno giuridico per sgomberarci. Non esplicita che leggi stiamo violando”. E anche se la procuratrice supplente ha congelato l’esecuzione della misura, è ancora vigente. Per questo a Malvinas hanno pianificato una serie di mobilitazioni per le successive settimane.

“Il fatto peculiare e principale, secondo i miei criteri, dell’Accampamento, è che nei 2 anni e 4 mesi che abbiamo passato abbiamo creato un forte spazio di lotta. Stiamo creando un’alternativa che dimostra che si può vivere con un altro modello: di produrre alimenti utilizzando semi organici e senza fumigazioni, di includere conoscenze ancestrali, di coltivare altri legami. Non solo contestiamo il modello produttivo ma quello di vita. Si può essere autonomi. Qui si sta costruendo qualcosa, questo è il fatto interessante”.

Per i popoli originari la sorpresa è stata un’altra. Il governo macrista ha ordinato il passaggio dell’Istituto Nazionale degli Affari Indigeni dal Ministero dello Sviluppo Sociale, a quello di Giustizia e Diritti Umani.

“In Argentina la questione indigena è sempre stata gestita con una logica assistenziale, non considerandoci un soggetto di diritto ma un soggetto di assistenza. Il passaggio ci apre la porta per avviare la discussione su una politica territoriale. Non siamo mai stati nell’orbita del Ministero dell’Economia nonostante che i megaprogetti che sostengono il paese siano situati nei nostri territori, mentre di fatto i fratelli continuano ad essere poveri”.

Alla fine, un punto critico. Macri ha convocato i popoli originari a riunirsi con lui e i rappresentanti dei vari popoli sono accorsi all’appuntamento. Perché riunirsi con Macri? viene domandato al portavoce mapuche.

“Noi abbiamo sempre chiesto di avere la possibilità di intavolare un dialogo. Con Macri non abbiamo concordato nulla né abbiamo negoziato nessun posto di lavoro come è stato detto. Nemmeno possiamo continuare a guardarla alla televisione. Siamo coscienti che il giorno in cui non otterremo risposte, non ci sarà difficile tornare alla resistenza, perché è dove siamo stati dall’origine dell’Argentina come paese”.

Più interessante è forse mettere a fuoco le ripercussioni che ci sono state per i popoli originari a partire da questa riunione da parte dalle più diverse posizioni dello spettro politico:

“Macri ha messo alla guida del Consiglio Nazionale della Donna una femminista molto conosciuta (ci si riferisce a Fabiana Tuñez) che viene dalle lotte. Quando parliamo con la gente, a nessuno è capitato di dire che questa donna aveva cambiato posizione o che l’avevano cooptata, mentre a noi sì. Noi non abbiamo assunto nessun incarico, l’unica cosa che abbiamo fatto è stata andare alla riunione. Questo riflette la discriminazione che c’è”.

18 gennaio 2016

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Eliana Gilet, “La segunda década del neodesarrollo: Macri, presidente visto desde los movimientos argentinospubblicato il 18-01-2016 in Desinformémonos, su [http://desinformemonos.org.mx/la-segunda-decada-del-neodesarrollo-macri-presidente-visto-desde-los-movimientos-argentinos/] ultimo accesso 28-01-2016.

 

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