Il quotidiano La Nación ha salutato l’elezione di Maurizio Macrì con un editoriale da cavernicoli dal contenuto paradossale. Intitolato “Mai più Vendetta”, ordina al nuovo governo di mettere fine ai processi per i crimini di lesa umanità, che attribuisce al kirchnerismo. Mette anche sul conto dell’odioso governo uscente la definizione di gioventù meravigliosa per i militanti rivoluzionari del secolo passato, che il quotidiano equipara ai terroristi che hanno assassinato un centinaio di spettatori e commensali nei teatri e bar di Parigi. Qualifica, inoltre, come vergogna nazionale che siano morti in prigione più di 300 detenuti per queste cause.
Sono troppe menzogne. Quando Néstor Kirchner assunse il governo, più di mezzo centinaio di alti comandanti delle Forze Armate erano già detenuti per decisione della magistratura, tra i quali i massimi comandanti della prima giunta golpista, Jorge Videla e Emilio Massera (il terzo membro, Orlando Agosti, era morto sei anni prima). La nullità delle leggi del punto finale e dell’obbedienza dovuta fu pronunciata dalla giustizia federale due anni prima, a seguito della perseveranza delle organizzazioni che difendevano i diritti umani, le quali non hanno mai consentito l’impunità per questi gravi crimini. “Gioventù meravigliosa” fu il grato riconoscimento di Juan D. Perón alla militanza sacrificata, armata e non armata, che nel 1972 avrebbe reso possibile il suo ritorno in Argentina al termine di quasi due decenni di esilio forzato. È stato appena pubblicato l’eccellente libro di Ariel Hendler 1964, storia segreta del ritorno reso vano di Perón, che mostra l’impegno di varie generazioni con questa rivendicazione fondamentale del popolo argentino. Comparare questi fatti con gli attentati di Parigi è uno sproposito maiuscolo che scredita i suoi autori.
In quanto ai giudizi, fino ad ora ci sono stati 522 condannati e 57 assolti, oltre a 250 archiviati o con mancanza di merito nell’istruzione dei processi. Questa proporzione indica che non si tratta di tribunali popolari che esercitano la vendetta ma di processi regolari, con garanzia del dovuto processo e del diritto alla difesa, nei quali nessuno entra condannato. È evidente che un numero di imputati ha un’età avanzata e che molti sono morti, già condannati o sotto processo, cosa che non si deve alla perversità di nessuno ma ad un lungo periodo durante il quale è stato impossibile andare avanti nel giudicare per decisioni politiche che La Nación ha applaudito. Ma il tempo è passato anche per le vittime e i loro familiari, per ragioni ovvie e non come conseguenza dello svolgimento processuale. Il designato successore di Hitler, Rudolf Hess, morì nella prigione alleata di Spandau a 93 anni, la stessa età che ha ora il contabile di Auschwitz, Oskar Gröning, che ad aprile di quest’anno è stato condannato in Germania a quattro anni di prigione. A differenza dei suoi pari argentini, ha riconosciuto la propria responsabilità negli orribili crimini commessi e li ha ripudiati.
Il giornale del mattino delle famiglie Mitre e Saguier ha pubblicato molte risoluzioni simili e durante gli anni atroci ha convalidato con il suo silenzio informativo e il suo plauso editoriale i crimini del governo che gli concesse l’unica fabbrica di carta per i quotidiani, in associazione con il Clarín e La Razón, finanziata con crediti a tasso agevolato delle banche pubbliche.
Se questo era prevedibile, il fatto straordinario è avvenuto durante la giornata. Juan Pablo Varsky nel suo programma radio, Gabriel Sued, Mariana Verón, Patricio Insúa e Hugo Alconada Mon su Twitter, sono stati i primi a segnalare il loro completo disaccordo con l’editoriale del quotidiano in cui lavorano. Con il passare delle ore questo stillicidio si è trasformato in una cateratta alla quale si sono aggiunti anche Pablo Mendelevich e Pablo Sirven. Mendelevich ha scritto che non condivideva “né il contenuto né il tono né l’opportunità”. Per il redattore Diego Battle l’editoriale è “infame” e la cosa più triste è stata che fosse uscito senza firma e nel primo giorno di Macrì come presidente eletto.
In serata è stata effettuata un’assemblea dentro il quotidiano che ha emesso una dichiarazione di rifiuto, mettendo in evidenza la diversità di idee, progetti e identità politiche che convivono nella loro redazione. Da questa diversità, hanno rifiutato la logica che vuole fare un editoriale “rendendo, nei casi di delitti di lesa umanità, uguali le vittime del terrorismo di stato e l’azione della Giustizia in cerca di riparazione con i castighi ai prigionieri comuni e con una ‘cultura della vendetta’. Noi lavoratori del quotidiano La Nación diciamo SÌ alla democrazia, alla continuità dei processi per i delitti di lesa umanità e diciamo NO all’oblio”. Prima della firma delle commissioni interne di stampa e grafici e del resto dei lavoratori del quotidiano, proclamano “Per la Memoria, la Verità e la Giustizia”. Perfino la senatrice Norma Morandini ha fatto sapere che l’editoriale aveva travisato le sue parole sui processi, di cui difende la continuità.
Qualcosa di simile è avvenuto tre anni fa nel Gruppo Clarín, quando questa impresa denunciò i giornalisti Sandra Russo, Nora Veiras, Roberto Caballero, Orlando Barone, Edgardo Mocca e Javier Vicente per incitazione alla violenza e violenza aggravata, a causa di inchieste e opinioni diffuse nei media in cui lavorano. L’editore responsabile Ricardo Kirschbaum e vari giornalisti espressero il proprio disaccordo, fatto che obbligò l’impresa multimediale a ritirare la denuncia che attentava alla libertà di espressione. La differenza è che questa volta si è trattato di un movimento collettivo con decisioni risolute adottate in assemblea. Durante la riunione i lavoratori hanno esibito cartelli che dicevano “Mai Più” e “Io rifiuto l’editoriale”.
L’episodio è espressione di un momento speciale della vita politica del paese. La maggioranza di coloro che hanno espresso queste posizioni sono molto critici del kirchnerismo, ma non per questo rimangono ai margini dei cambiamenti profondi che questo decennio ha prodotto nel paese. Perfino la Corte Suprema di Giustizia ha affermato che questi processi sono irreversibili perché fanno già parte del contratto sociale degli argentini del secolo XXI. Lo stesso Macrì ha compreso che l’evoluzione della società e le difficoltà dei numeri con cui ha superato il candidato del Fronte per la Vittoria non permettono nessuna confusione cronologica del tipo che suggeriscono alcuni ostinati sostenitori dell’alleanza Cambiemos. Il nuovo governo entrerà in carica il 10 dicembre 2015, non il 6 settembre 1930, quando il gabinetto dei ministri fu lottizzato tra gli avvocati e i rappresentanti dei grandi gruppi agropastorali e le principali imprese britanniche in Argentina. Non si avvicina nemmeno il fatidico 9 giugno 1956, quando “finì il latte della clemenza”, come il socialista Américo Ghioldi commemorò le fucilazioni. Ed è meglio che si sveglino dalle loro illusioni coloro che hanno nostalgia dell’ordine antisovversivo impiantato il 24 marzo 1976. Tutti loro si sbagliano, come ha dimostrato ieri il nuovo presidente affermando nella sua prima conferenza stampa che sarebbero continuati i processi contro i repressori della dittatura. Nessuna politica che la società abbia assunto come propria potrà essere riportata indietro senza gravi scompigli, come ieri ha comunicato il portavoce della nostalgia dei tempi andati, che se la società non vuole non torneranno mai.
24-11-2015
Página/12
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Horacio Verbitsky, “Una primicia extraordinaria” pubblicato il 24-11-2015 in Página/12, su [http://www.pagina12.com.ar/diario/elpais/1-286815-2015-11-24.html] ultimo accesso 16-12-2015. |